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L'INTERVISTA

Le lettere a mia moglie. Noi due punk con l’anello

Giuseppe Signorin e Anita Baldisserotto sono due sposi di 34 e 26 anni, conosciuti al popolo della rete come Mienmiuaif, il loro gruppo musicale dal cristianesimo un po' punk (come lo definisce lui, convinto che la trasgressione oggi stia nella normalità), condito da una certa gioia missionaria. Ma quello che ha reso noti i due coniugi è sopratutto il libro che Giuseppe ha scritto alla moglie Anita, Lettere a una moglie.

 

Cultura 03_07_2016
Il libro di Giuseppe Signorin

Giuseppe Signorin e Anita Baldisserotto sono due sposi di 34 e 26 anni, conosciuti al popolo della rete come Mienmiuaif, il loro gruppo musicale dal cristianesimo un po' punk (come lo definisce lui, convinto che la trasgressione oggi stia nella normalità), condito da una certa gioia missionaria. Ma quello che ha reso noti i due coniugi è sopratutto il libro che Giuseppe ha scritto alla moglie Anita, Lettere a una moglie (ovvero la genesi del duo con l’anello noto in tutto il mondo come Mienmiuaif), pubblicato quando hanno capito di avere una compito: loro, un tempo atei convinti che «il matrimonio fosse una tomba», ora combattono con G.K Chesterton per dimostrare che invece «è un duello all'ultimo sangue» necessario a diventare liberi.

Giuseppe come mai hai scritto queste lettere a tua moglie?

«Ho deciso di farlo durante il primo anno di matrimonio. Per lo stesso motivo avevo cominciato a cantare e far circolare su Youtube le nostre canzoni: capivo che era un modo per sdrammatizzare i momenti quotidiani e le angosce causate inizialmente dalla convivenza, come i litigi per decidere chi prepara la colazione o le piccole cose su cui si tende a misurarsi, sopratutto se sei abituato a vivere da solo. Ecco perché registrai delle canzoni divertenti in cui parlo della colazione o della dieta al pomodoro. Questo umorismo, oltre che aiutare me, facevano ridere mia moglie. Quindi le scrissi anche queste lettere, che dovevano rimanere private, un regalo solo per lei. Poi, però, abbiamo aperto un blog (clicca qui), le nostre canzoni hanno fatto ridere qualcuno e il messaggio si è allargato. Il secondo anno di matrimonio ho scritto altre lettere e alla fine abbiamo pensato che diffonderle avrebbe potuto aiutare anche qualcun altro».

Come vivevate prima di sposarvi?

«Il nostro primo anno di fidanzamento, nel 2010, lo abbiamo vissuto da pagani. Ma poi, entrambi, in circostanze particolari, abbiamo incontrato Dio: io che non credevo in Lui ho capito che esisteva per la presenza del male, mia moglie invece si convertì nel 2012 a Medjugorje e da quel momento cambiò tutto, tanto che l'anno successivo ci siamo sposati. Non avremmo mai pensato di farlo altrimenti, perché prima eravamo convinti che il matrimonio fosse una tomba. Oggi cantiamo e scriviamo per testimoniare che è vero il contrario».

Nel tuo libro prendi in giro l'“ideologia gender” e parli di differenza di ruoli. L'hai sempre pensata così?

«La fede ha illuminato la mia ragione. Prima semplicemente non mi interessavo di nulla, il mondo era una dimensione di cui non mi curavo. Ero un anarchico nichilista. Poi cambiò tutto: se nel 2011 stavo per pubblicare un libro con grosso editore, scelsi poi di mollare tutto. Anita, invece, era accanita verso la Chiesa e per lei sposarsi era scegliere la schiavitù. Dopo la conversione abbiamo passato i primi due anni a pregare moltissimo insieme a un gruppo di preghiera legato a Medjugorje e ci siamo legati anche al movimento dei neocatecumenali. Queste sono tutt'ora le nostre due sponde per camminare».

Parli di tua moglie come di una forza di redenzione. Cosa significa?

«Gli opposti in natura si lodano a vicenda, il tronco dell'albero con la sua ruvidezza fa vedere meglio la limpidezza del cielo. Il fiume trasparente fa vedere meglio le rocce. Allo stesso modo mi accorgo che contemplando Anita, allenandomi anche con queste lettere, comprendo di più me stesso e prendo consapevolezza che sono la persona giusta per lodarla anche con umorismo. Osservare la sua diversità mi aiuta a capire che Dio mi ha messo accanto mia moglie per servirLo servendo lei. Fosse anche semplicemente per farla ridere quando è giù di morale».

E infatti le scrivi: «Sono nato per servirti». Addirittura?

«Sono nato per servirla prendendola in giro. Cosa posso farci se vedendola felice mi sento realizzato? Capire che sono utile mi valorizza, non mi schiavizza. E poi Anita è così bizzarra che attraverso di lei vedo davvero l'umorismo di Dio: quello che manca a lei non manca a me e viceversa, la complementarietà fra noi è unica, non sarebbe possibile con nessun'altra donna. Anche questo lo scopro contemplandola e scrivendo. É commuovente. Ripeto che servirla è usare i talenti che mi ha dato il Signore quindi non mi toglie la mia libertà, anzi mi permette di esprimermi».

Il matrimonio è un lavoro da artigiano. Chi ti insegna il mestiere?

«Leggo, mi formo. In ogni caso quello che mi aiuta di più è semplicemente la preghiera del Rosario recitata insieme a mia moglie, la frequentazione dei sacramenti, la Messa quotidiana, la confessione, perché è solo Dio che ti cambia e ti permette di amare. Questa è la linfa che nutre il matrimonio. Anche per questo ogni lettera finisce come una benedizione ironica».

Nel tuo libro ringrazi continuamente di ogni banalità, persino dei difetti tuoi e di tua moglie

«La fede non toglie, ma ti fa gustare e possedere di più tutto. Prima di convertirmi scrivevo con uno stile umoristico nero. Il mio cammino di conversione invece, accompagnato anche da Guareschi e Chesterton, è stato gioioso. Così rido anche dei nostri difetti, perché siamo insieme per un Dio che li supera tutti. È anche sopravvivenza: ora, quando cominciamo a litigare, dopo un po' succede che a uno dei due venga da ridere. Queste lettere sono un vero e proprio esorcismo: come diceva san Giovanni Bosco il diavolo ha paura della gente allegra. Ecco, allora ritratto: il matrimonio sta in piedi con la preghiera, i sacramenti ma anche con l'umorismo contemplativo».

Come è cambiata la vostra vita dopo la pubblicazione del libro?

«All'inizio della conversione perdemmo tutti gli amici. Anita piangeva, io soffrivo ma il Vangelo diceva che ci sarebbe stato dato cento volte tanto. Ora siamo pieni di amici che condividono con noi il cammino della fede e la vocazione matrimoniale. Si è dunque generata una grande amicizia. Credo che noi sposi abbiamo una missione specifica in un momento così particolare della storia che è quella di generare comunione fra i credenti. Il nostro blog, le canzoni, il libro, i socialnetwork, sarebbero inutili se si fermassero lì: hanno senso solo se ti portano fuori a incontrare le persone. E infatti la rete che si è generata non è più virtuale ma di tante persone in carne ed ossa che sanno di avere un compito in un mondo ferito».