Le leggi sessantottine che disgregano la società
C'è una sostanziale liberalizzazione della droga, si procede verso il divorzio breve, si marcia verso la legge contro l'omofobia. Perché tutto così in fretta?
Giovanardi: ma sulla droga la legge è buona. L'intervento in Senato
L’approvazione definitiva in Senato delle nuove norme sulla droga è il primo obiettivo tangibile conseguito dal fronte post-sessantottino nella Legislatura in corso, ed è il primo concreto segnale di inversione di tendenza rispetto a un orientamento che, quanto a leggi e ad azione di governo, sembrava in anni passati aver frenato la deriva libertaria. Se si guarda il calendario dei lavori parlamentari, senza perdere di vista alcune Corti, si constata che il resto è dietro l’angolo: il c.d. “divorzio breve” sta per arrivare in Aula alla Camera; la legge sulle unioni civili, anche fra persone dello stesso sesso, pende davanti alla Commissione Giustizia al Senato; la fecondazione eterologa è possibile grazie alla recente sentenza della Corte Costituzionale; il d.d.l. Scalfarotto è sempre in Commissione Giustizia al Senato.
Sembra di essere in una multisala cinematografica, al cui interno ogni sala proietta un proprio film, ma nell’ambito di un’unica rassegna tematica. È difficile negare il legame esistente fra di esse.
La facilità di scomporre la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna col divorzio “sprint”: mentre oggi può essere proposta domanda di divorzio purché decorsi tre anni dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale per il giudizio di separazione personale, con gli emendamenti approvati il 14 maggio in Commissione Giustizia basterà un anno dalla notifica del ricorso per la separazione. E se la separazione è consensuale, i dodici mesi sono ridotti a sei! È evidente che una così drastica compressione dei tempi rende più complicati ripensamenti o ricomposizioni;
Si tende alla sostanziale equiparazione al matrimonio, per come finora è stato disciplinato, dei diritti e dei doveri derivanti dall’unione civile, anche fra persone dello stesso sesso.
Il ricorso alla fecondazione eterologa; reso possibile dalla Consulta in nome del principio di eguaglianza, determinerà pesanti diseguaglianze e sofferenze nei rapporti fra i genitori “formali”, i figli e i genitori “biologici”, come attestano la vicenda del “Pertini” e le cronache degli Stati nei quali è riconosciuta da tempo;
Le sanzioni penali, con carcere e pene accessorie, della legge sull’omofobia sono pronte a colpire chi osi affermare che l’educazione di un bambino riesce meglio con un padre e una madre, e non con due persone del medesimo sesso.
Come mai tutto insieme, e adesso? In fondo, sono trascorsi appena dieci anni, se non di meno, da quando il Parlamento ha varato la legge 40 sulla fecondazione artificiale (2004), ha approvato la Fini-Giovanardi sulla droga (2006), ha resistito a novità disgregatrici per la famiglia e la libertà di educazione (fino al 2010); erano i tempi in cui il Governo italiano contrastava con successo l’imposizione europea di estromettere il Crocifisso dai luoghi pubblici, e collaborava in prima fila e senza imbarazzi nelle missioni internazionali più delicate. E il popolo seguiva: nel 2005 il referendum che puntava a distruggere la legge 40 è stato largamente sconfitto; nel 2007 il Family day ha avuto il merito, richiamando le ragioni della famiglia, di archiviare senza tante discussioni il progetto di introduzione dei cosiddetti “dico”.
È che risultati importanti sul piano delle norme e dell’azione di governo si conseguono se sono preceduti, accompagnati e seguiti da un intenso e diffuso lavoro pre-politico, anzitutto di formazione e di informazione. Si affrontano le battaglie difficili se vi è una base culturale solida e partecipata; si difendono i risultati di quelle battaglie se si hanno costantemente presenti le ragioni che le fondano. Ma se, per partire dai dati più elementari, da un lato il Parlamento approva la Fini-Giovanardi e dall’altro le tv pubbliche e private continuano a mandare in onda talk show e presunti approfondimenti in cui falsamente si dice che quelle norme servono solo a riempire le carceri di tossicodipendenti (lo ripeto: falsamente! i dati obiettivi attestano l’esatto contrario), non c’è da meravigliarsi se perfino chi ha voluto la Fini-Giovanardi a distanza di otto anni vota per la sua demolizione. Né c’è da sorprendersi se, dopo che per anni Parlamento e Governo hanno resistito all’introduzione delle norme liberticide sull’omofobia o a quelle sul paramatrimonio fra persone dello stesso sesso, la moltiplicazione di film e di fiction nelle quali si esalta quanto è bella la convivenza e quanto è salutare la pratica omosessuale, Parlamento e Governo capovolgono i propri orientamenti.
Con il che, ovviamente, non si invoca la censura sulle fiction o sui talk show; si invoca la ripresa di una grande e ampia e coraggiosa battaglia culturale che convinca dell’importanza civile e sociale della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, di una educazione e di una istruzione rispettose di questo fondamento, di una proiezione alla vita senza forzature e senza manipolazioni. Una battaglia che non si concentri esclusivamente sull’attività del Parlamento: che è importante – ogni legge passa da lì – ma non tale da esaurire il quadro di insieme, e anzi è condizionata dal quadro di insieme. Una battaglia che non immagini scorciatoie di alcun tipo rispetto allo studio, all’approfondimento basata su una sana antropologia, e al confronto in tutte le sedi possibili, piazze incluse.
Per avere conferma di ciò che è opportuno fare, pensiamo a quel che è accaduto nelle ultime settimane a proposito della nuova legge sulla droga e a proposito del d.d.l. Scalfarotto. Come mai la prima, con la sua portata devastante, è giunta al traguardo praticamente senza opposizione, e il secondo, che sembrava dovesse essere approvato in poche battute all’inizio della Legislatura, è passato velocemente alla Camera, ma poi ha iniziato a segnare il passo al Senato? È che sulla droga il dibattito all’esterno del Palazzo è mancato quasi del tutto; i media ne hanno parlato poco e male, non c’è stata mobilitazione, né vi è stata consapevolezza della gravità del merito e degli effetti del provvedimento. Sul d.d.l. Scalfarotto, dopo un momento iniziale di sbandamento, la mobilitazione è partita: associazioni ecclesiali hanno pubblicato appelli a pagamento sui principali quotidiani italiani, si sono tenuti convegni ai quali sono stati invitati numerosi parlamentari, tanti non cattolici hanno assunto posizioni critiche, si sono moltiplicate le manifestazioni di piazza, fra Manif italiana, Sentinelle in piedi e altre realtà. Tutto questo ha avuto un riflesso dentro il Palazzo, e ha indotto i parlamentari e il Governo a maggiore cautela. Morale della favola: se ci si muove i risultati non mancano. Meglio ancora muoversi avendo presente l’intero quadro di riferimento.
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