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MATRIMONIO

Le istruzioni del cardinale per scalare la montagna

Crisi del matrimonio & Eucaristia, questo il titolo del libretto firmato dal cardinale Ennio Antonelli, pubblicato dalle edizioni Ares. Un pensiero controcorrente che si inserisce dentro al dibattito sinodale dando un contributo specialmente sul tema dei divorziati risposati, dei conviventi, e del loro eventuale accesso all'eucaristia.

Famiglia 14_06_2015
La copertina del libro del cardinale Ennio Antonelli

Quello del cardinale Ennio Antonelli, pubblicato dalle edizioni Ares, è un pensiero controcorrente. I motivi sono vari, ma uno, al giorno d'oggi, merita attenzione: la brevità. Perché nel maremagnum di documenti e parole in cui navighiamo a vista, questa è merce rara, specialmente quanto va a braccetto con chiarezza di idee e di intenti. Crisi del matrimonio & Eucaristia, questo il titolo del libretto, si inserisce dentro al dibattito sinodale dando un contributo specialmente sul tema dei divorziati risposati, dei conviventi, e del loro eventuale accesso all'eucaristia. L'attuale presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia, già cardinale di Firenze e segretario generale della Cei, raccoglie innanzitutto il sentire «consonante e convinto» del cardinale Elio Sgreccia che firma la prefazione.

Tanto per essere chiari, già al capitolo 3 il cardinale Antonelli dice che «l'attuale posizione dottrinale e disciplinare della Chiesa nei confronti dei divorziati risposati e dei conviventi è coerente e solidamente fondata nella Scrittura e nella Tradizione». Per chi volesse fare un breve ripasso può leggersi con profitto il n°84 dell'enciclica Familiaris Consortio, scritta dal “papa della famiglia”, San Giovanni Paolo II. Lì si ribadisce che non è possibile ammettere i divorziati risposati alla comunione eucaristica, «dal momento che il loro stato contraddice oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa». «L'esclusione dalla comunione eucaristica», scrive Antonelli, «permane per tutto il tempo che dura la convivenza coniugale illegittima (…) e questa situazione non discrimina i divorziati risposati rispetto ad altre situazioni di grave disordine oggettivo e di scandalo pubblico». A questo proposito «chi ha commesso un furto deve restituire, chi ha l'abitudine di bestemmiare deve impegnarsi seriamente a correggersi». Per chi non fosse avvezzo alla tematica diciamo che questa è semplicemente la strada della conversione, quel «va e non peccare più»che è la via di chi ha incontrato Gesù.

La cosa, spiega il cardinale, non è affatto in contrasto con la misericordia di Dio, semmai è proprio questa che «opera la conversione dei peccatori» e «non ha nulla a che fare con la tolleranza». Non è possibile banalizzare l'Eucaristia «e ridurla a un rito di socializzazione», non si può rendere la condizione dei divorziati risposati e dei conviventi «l'unico caso di perdono senza conversione». A questo proposito «bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini». Una cosa è una cura pastorale che accompagna verso un progressivo superamento di situazioni irregolari, altro «è orientarli a rimanere nell'unione illegittima, indicando a quali condizioni [questa] possa diventare il bene possibile». Perché «il rubare di meno non diventa mai lecito, neppure per chi è abituato a rubare molto, il bestemmiare raramente non diventa mai lecito per chi era abituato a bestemmiare spesso», e così «neppure un'unione coniugale illegittima può essere resa moralmente buona dalle condizioni previste dai sostenitori dell'eucaristia ai divorziati risposati». 

Il problema è una questione di vette. «La castità», scrive il presidente emerito, «anche se difficile, è possibile a tutti, secondo la loro condizione». Forse qui, a queste altezze, a qualcuno manca l'aria, ma la grazia divina è una cosa seria. «Chi si impegna seriamente in un cammino di vita cristiana riceverà prima o poi la grazia della piena conversione e riconciliazione in modo da poter ricevere i sacramenti o almeno la grazia di raggiungere la salvezza eterna al termine della vita terrena».

L'indissolubilità del matrimonio e la castità, nella prospettiva delineata dal cardinale, coerentemente alla Scrittura e alla Tradizione, non sono un peso insopportabile, o un'utopia che solo alcuni raggiungono, ma sono doni da custodire e coltivare. «Non è graduale l'obbligo di fare il bene, ma è graduale la capacità di farlo», cioè, mostra Antonelli, non esiste nessuna gradualità della legge, ma, appunto, una legge della gradualità. Tradotto questo è il vecchio adagio per cui un conto è il peccato, un conto il peccatore, un conto è la persona che, con tutti i suoi limiti, tende decisamente verso la vetta, un conto è il disordine di chi vuole abbassare la montagna a un cavalcavia qualsiasi. «La Chiesa», dice Antonelli, ha «il suo primo compito [nell'] insegnare la verità oggettiva, valida per tutti, e in base a essa regolare la vita cristiana personale e comunitaria. Quanto ai singoli fedeli, ha il dovere di accompagnarli pazientemente» secondo il loro passo e «affidando la loro fragilità umana alla misericordia di Dio». In questo cammino verso la vetta non mancano indicazioni e aiuti, così il cardinale propone due citazioni da un'altra enciclica, Veritatis Splendor (1993), che sembra essere caduta troppo rapidamente nel dimenticatoio. «Con i comandamenti il Signore ci dona la possibilità di osservarli», scriveva Giovanni Paolo II, infatti, «il credente trova la grazia e la forza di osservare sempre la legge santa di Dio, anche in mezzo alle difficoltà più gravi». 

Le vette che ci aspettano non sono impossibili, o fuori dalla portata della grazia ricevuta, ma doni che ci impegnano e, contemporaneamente, danno la forza per raggiungerli. Se tutto questo non fosse reale difficilmente, noi che siamo in cordata, potremmo pensare di salire in cima solo con le nostre forze, per capirlo basta guardarsi intorno dove la povertà affettiva dilaga e la gente scivola a valle. Il cardinale Antonelli cita un discorso di Giovanni Paolo II per dire che lui «era solito raccomandare ai pastori della Chiesa di non abbassare la montagna, ma aiutare i credenti a salirla con il loro passo. Da parte loro, i fedeli non devono rinunciare a salire verso la vetta; devono sinceramente cercare il bene e la volontà di Dio». «Sarebbe fuorviante», conclude, «inseguire l'appartenenza numerica, mediante il disimpegno formativo e l'apertura indifferenziata, che concede tutto a tutti, provocando un appiattimento generalizzato verso il basso».