Le "invasioni di campo" di Obama e Napolitano
Il Presidente della Repubblica Napolitano, dopo il suo lungo incontro con Obama, ha garantito che il Presidente degli Stati Uniti “è stato assolutamente impeccabile". Ma è andata davvero così?
Mentre gli intellettuali organici alla sinistra – tra gli altri, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Gustavo Zagrebersky, Alberto Asor Rosa, Stefano Rodotà, Barbara Spinelli – firmano appello ai cittadini per la coalizione di centro-sinistra e chiedono un governo "stabile, autorevole e rispettabile a livello europeo, per evitare il ritorno al potere di uomini che hanno già portato l'Italia verso la catastrofe”, la portavoce della Casa Bianca, Caitilin Hayden, in vista della visita del Presidente della Repubblica a Washington, ha dichiarato: “L’Italia ha fatto grandi progressi con il primo ministro Monti che ha intrapreso riforme ambiziose per rafforzare l’economia e giocato un ruolo decisivo per risolvere la crisi dell’eurozona”. Ha aggiunto: “Il governo italiano ha intrapreso passi cruciali per affrontare le sue sfide economiche, compreso un forte sforzo per il risanamento del bilancio e riforme strutturali per rafforzare la competitività. Mantenere la spinta sulle riforme sarà importante specialmente per le misure focalizzate su competitività e crescita”.
Napolitano, il “comunista perfetto”, come lo definiva Henry Kissinger, dal canto suo, dopo il lungo incontro con Obama, ha garantito che il Presidente degli Stati Uniti “è stato assolutamente impeccabile. Non ha nominato nulla e nessuno, nessuna formazione politica, nessuna possibile soluzione per la formazione del nuovo governo”. Forse non c’era bisogno che Obama si sbilanciasse, viste le considerazioni preventive della sua portavoce, alle quali hanno fatto obiettivamente da supporto le affermazioni del nostro Presidente: “Ho un pò deplorato – ha detto - l'atteggiamento di qualche partito che ha sostenuto per tredici mesi tutte le decisioni del governo Monti per poi dare giudizi liquidatori su quelle stesse scelte”.
Un appoggio al Governo Monti e un’ipoteca che si prepara per il dopo? Sta di fatto, che il centrodestra ha parlato d’ingerenza nella campagna elettorale e il Quirinale ha risposto con una nota, precisando: “E' palesemente infondato e del tutto gratuito parlare - a proposito della visita del Presidente della Repubblica a Washington - di 'ingerenza' nella campagna elettorale. L'incontro con il presidente Obama si è aperto con brevi dichiarazioni dinanzi a stampa e tv: il presidente degli Usa ha ribadito il suo ben noto apprezzamento per i progressi compiuti dall'Italia, e al presidente Napolitano è sembrato giusto sottolineare che essi erano stati possibili grazie al sostegno parlamentare di diverse e opposte forze politiche”.
Non c’è dubbio che il ruolo del Presidente della Repubblica preveda intrinsecamente un “potere di esternazione”. La dottrina giuridica lo definisce come “potere implicito”, che si esplica ogni qual volta il Capo dello Stato interviene nel dibattito pubblico. Se questo potere, però, non viene esercitato con prudenza, di fatto rende il Presidente della Repubblica protagonista del dibattito politico, che in base alla nostra Costituzione è di competenza del Parlamento e del Governo. Viene meno il suo ruolo di “garante”, che impone il suo “non prendere parte”, il suo non dare giudizi su questo o su quello, la sua totale estraneità alla contesa politica.
Per intenderci, così come i giudici dovrebbero parlare solo attraverso le sentenze, il Presidente della Repubblica ha già uno strumento costituzionalmente assegnato, di carattere formale: il messaggio motivato alle Camere.
Avrebbe avuto un ben maggior rilievo politico, ad esempio, indirizzare un messaggio al Parlamento sul problema della giustizia e delle carceri, piuttosto che dichiarare pubblicamente – come ha fatto Napolitano – che lui il provvedimento sull’amnistia, l’avrebbe firmato non una, ma dieci volte.
Su questo e su altri temi – pensiamo alla questione della riforma della legge elettorale, sulla quale il Capo dello Stato è intervenuto informalmente innumerevoli volte nell’ultimo anno – si è verificato un paradosso: si è affermata una posizione politica, negandole la dignità formale prevista dalla Costituzione.
Nel 1991, Gustavo Zagrebelsky, già Presidente della Corte Costituzionale, in un intervento per “Il corriere giuridico”, intitolato “Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica”, scriveva: “Il minimo dei poteri presidenziali, il topolino chiamato innocentemente ‘esternazione’ – scriveva Zagrebelsky - è cresciuto a tal punto da diventare un mostro che scuote dalle fondamenta la nostra Costituzione”.
Quello che valeva ai tempi del povero Francesco Cossiga, che “picconava” la Prima Repubblica presa a bordate dall’inchiesta su “Tangentopoli”, non può non valere anche per i nostri tempi, nei quali – e questo è un altro aspetto da sottolineare – la fragilità e la confusione del sistema politico richiederebbero ancora più senso di responsabilità, specie se le esternazioni del Presidente della Repubblica concernono, com’è avvenuto nel viaggio negli Stati Uniti, giudizi sulla condotta di singole forze politiche, impegnate peraltro in una contesa elettorale.