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CENTRAFRICA

Le farfalle della Pasqua a Bangui

Cronaca dal Carmel di Bangui, Centrafrica, con 7.500 rifugiati. Una Pasqua celebrata fra piogge tropicali e le notizie di una guerra che continua. E i profughi, spontaneamente, decorano la chiesa con farfalle di carta. 

Esteri 07_05_2014
Bambini a Bangui

Le celebrazioni pasquali sono trascorse abbastanza bene e la partecipazione della gente è stata altissima. La nostra chiesa è ormai troppo piccola per accogliere tutti i nostri amici. E per fortuna, come dice qualche mio confratello pieno di zelo missionario, che i nostri profughi non sono tutti cattolici e neppure tutti praticanti!

In occasione del Triduo Pasquale abbiamo accolto in convento un gruppo di dieci giovani aspiranti. Non sapendo dove alloggiare tanta benedizione del Signore, abbiamo trasformato il nostro refettorio (che ancora non utilizziamo, perché mangiamo nella sala del capitolo) in un simpatico dormitorio: quante belle cose si possono fare in un grande refettorio conventuale in tempi di guerra!

Per la Veglia Pasquale i nostri fedeli, con mia grande sorpresa e ancora mi sfugge il perché, hanno attaccato sui muri della chiesa decine di colorate farfalle di carta. Forse vi hanno visto un simbolo della risurrezione di Gesù che, come una farfalla, esce vittorioso dalla crisalide di morte che lo teneva prigioniero. E probabilmente non sanno che la farfalla è anche uno delle immagini più amate da santa Teresa per descrivere la trasformazione dell’uomo unito a Cristo. Padre Matteo ha cantato a squarciagola l’Exultet in sango, la lingua locale; purtroppo, a causa della pioggia battente sul tetto di lamiera, nessuno l’ha sentito, ma il Signore è risorto lo stesso. L’offertorio è stato un tripudio di danze, manioca e ananas che, a Bangui, sono enormi e gustosissime. Se a Natale i nostri profughi avevano cantato più forte della guerra, a Pasqua i nostri profughi hanno cantato più forte della pioggia.

Tuttavia la guerra non è finita. Ogni giorno, infatti, sappiamo di uccisioni e rappresaglie nei quartieri della capitale o in altre zone del paese. Se la presenza dei militari impedisce che tali episodi possano degenerare, la situazione resta comunque tesa e incerta. Anzi, proprio durante la Settimana Santa, la Chiesa Cattolica si è trovata nel mirino dei ribelli. A farne le spese è stato dapprima il vescovo di Bossangoa, una diocesi a 400 Km da Bangui. Mentre qui a Bangui celebravamo la Messa Crismale ci raggiunge la notizia del suo rapimento insieme ad altri tre sacerdoti. Per fortuna sono rilasciati il giorno seguente. Il Venerdì Santo, invece, un sacerdote centrafricano, della medesima diocesi, viene barbaramente ucciso mentre sta raggiungendo in moto il villaggio di cui è parroco. Al momento in cui vi scrivo non ho ancora notizie precise riguardo a queste due vicende. Se si tratta di due episodi isolati – state tranquilli: non è iniziata nessuna caccia al prete! –, essi manifestano chiaramente il clima d’insicurezza e di tensione che regna nel paese. E la Chiesa non sta sicuramente a guardare: continua la sua missione e può dare fastidio a qualcuno cui non piace la pace.

Torniamo al Carmel. Secondo l’ultimo censimento effettuato da un’ONG il numero dei nostri profughi è sceso e si è ormai stabilizzato a 7.500. Siamo uno dei 5 campi profughi più grandi della capitale. Vi sono state settimane nelle quali siamo stati molti di più. Resta comunque una bella cifra: ben cinque volte Cerrina, il piccolo paese della mia infanzia! Da circa due settimane siamo riusciti a liberare tutti i cortili interni del convento, occupati dai profughi dal 5 dicembre. Ora tutti i nostri ospiti hanno trovato rifugio sotto tendoni di plastica, dove possono abitare più famiglie insieme. Per l’esattezza, sono state costruite ben 79 tendoni:  21 da 80 m² e 58 da 160m². Vi sono poi da aggiungere un centinaio di altre piccole abitazioni abusive – per la carità, si fa per dire! – per una sola famiglia. Oltre alle tende sono state installate 116 latrine e 110 docce. Il nostro campo profughi è diviso in 12 quartieri. Ogni quartiere ha un responsabile coadiuvato da due consiglieri. Un comitato, composto di un presidente, un segretario generale e un sorvegliante, presiede e organizza ogni attività e movimento nel campo. Un’equipe di vigilanza per la notte e un’altra per il giorno (con tanto di fascia rossa al braccio e un rosario blu al collo) si occupano della sicurezza 24 ore su 24; altre due equipe sono incaricate della pulizia dei servizi igienici, delle docce, della pulizia del campo e della raccolta dell’immondizia. Immaginate di avere una media di 10.000 persone che stanno facendo una sorta di pic-nic, lungo 5 mesi, nel vostro giardino: qualche tonnellata di immondizia è inevitabile e l’erba è ormai un ricordo. Inoltre, sono stati creati tantissimi drenaggi per evitare l’allagamento delle tende durante le piogge più torrenziali. Un’altra equipe ancora, formata di giovani alquanto muscolosi, si occupa dello scarico dei viveri.  Ogni due settimane, infatti, la Croce Rossa Internazionale deposita, in uno dei chiostri del convento, qualcosa come 16 tonnellate di riso, 6 tonnellate di fagioli, 2800 litri di olio e 12 grandi sacchi di sale. Infine, un consiglio di 10 saggi – uomini e donne – svolge un influente ruolo di controllo su tutte le attività. C’è poi uno spazio giochi per i bambini, un ambulatorio medico e una scuola. Il mercato gode sempre di buona salute e si sono aggiunti sarti, calzolai, falegnami e meccanici. In un cortile del convento è stato installato un serbatoio da 10.000 litri di acqua che, dopo essersi riempito durante la notte grazie alla nostra pompa, viene svuotato il mattino seguente, in meno di un’ora, tramite 12 rubinetti.

Tutti questi numeri possono darvi un’idea abbastanza precisa della straordinaria realtà sorta, poco a poco, attorno al nostro convento. Se vi dicessi che quasi non ci accorgiamo della presenza di tutta questa gente, mentirei. Ma sicuramente, da alcuni mesi a questa parte, i profughi sono quasi autosufficienti e il nostro ruolo si ‘limita’ ad accogliere gli organismi umanitari, presiedere le riunioni, trovare una soluzione agli imprevisti, intervenire per le urgenze, risolvere i litigi e aiutare i più poveri tra i profughi… Il nostro campo profughi è quasi una macchina perfetta che abbiamo imparato a guidare, giorno dopo giorno, anche se nessuno di noi aveva la patente per una vettura di questo tipo. Ogni tanto c’è qualche rallentamento e manca la benzina; ma poi si riparte… chissà fino a dove e chissà fino a quando.

Da pochi giorni è venuto a darci una mano padre Andrea, che era già stato in missione 20 anni fa. Starà al Carmel un mese e si è subito ambientato bene. Al Carmel è passato anche padre Carlo, il fondatore della missione dei carmelitani scalzi in Centrafrica nel lontano 1971, diretto alla nostra casa di noviziato a Bouar. Padre Carlo, originario delle Langhe, ha ormai 77 anni, ma non manca anno che non venga a farci visita. Scrive libri di alta teologia e si occupa dei giardini con la stessa passione. Nato per comandare – ma non trovando chi fosse disposto ad obbedirgli – ha pensato bene di obbedire tutta la vita. Si autodefinisce un povero tappabuchi. Ma i buchi li tappa così bene… che, quando non c’è, sentiamo tutti la sua mancanza. Dice poi di essere un fifone, ma non è vero. L’anno scorso, quando c’è stato il colpo di stato, era qui. E non è scappato. E anche ora, che la situazione non è molto più tranquilla rispetto a un anno fa, non ha avuto paura e, senza farsi troppo pregare, è venuto anche lui a darci una mano (e a verificare se le mie lettere dicevano il vero!).

Quando osservo il miracolo del Carmel mi tornano alla mente le parole dette da Gesù a Pietro che, sconsolato, gli chiedeva quale ricompensa lo attendesse a lui che, come gli altri apostoli, aveva lasciato tutto per seguirlo. La risposta di Gesù – che promette la vita eterna, ma anche il centuplo su questa terra in campi, figli, fratelli e quant’altro – mi è sempre sembrata esagerata, utile solo a convincere gli ingenui, quasi una raffinata fregatura. Anche gli esegeti risolvono la questione sbrigativamente, affermando che si tratta di ‘linguaggio iperbolico’. Passi ancora per la vita eterna; ma i cento campi, i cento figli, i cento fratelli? Dai, siamo sinceri: chi li ha mai visti?  Eppure, almeno per quanto mi riguarda, la matematica del Vangelo si è dimostrata più generosa di ogni mia previsione. Ho lasciato, sulle colline del Monferrato, un fazzoletto di terra, dove mio padre forse coltiva ancora due filari di buon barbera. E ora, eccomi in una proprietà di 130 ettari con 15.000 palme da olio. Ho scelto di non avere figli.  E ora, stando ai parametri dell’ONU, dovrei averne qualche migliaio, una trentina dei quali nati addirittura nella sala da pranzo e altri che, con mio notevole imbarazzo, continuano imperterriti a chiamarmi papà. Ho lasciato, 24 anni fa, un fratello e una sorella. E ora, soltanto qui al Carmel, ne ho ben undici: una straordinaria squadra di calcio, della quale io sono l’indegno commissario tecnico...