Le due facce della medaglia iraniana
Il riarmo di Teheran, le strategie dell'Arabia Saudita, le manovre di Obama, la veglia armata di Israele. Un nuovo vespaio?
Ci sono molti aspetti da chiarire nella vicenda del presunto attentato di matrice iraniana all'ambasciatore saudita a Washington scoperto dagli statunitensi. A dire il vero "l'agente" di Teheran che avrebbe organizzato il piano assoldando con i soldi dei pasdaran killer delle bande narcos messicane per uccidere il diplomatico Adel al Jubeir, sembra più uno sfigato che un "james bond" islamico. Inconcludente nella vita privata, considerato a Corpus Christi (Texas) persona inaffidabile, dedita ad alcool e prostitute, Mansour Arbabsiar aveva uno stile di vita troppo sopra le righe per fare l'agente segreto.
Nonostante le prove un po' debolucce o poco credibili raccolte dall'Fbi, Barack Obama ha puntato il dito sul regime di Teheran chiedendo alla comunità internazionale «dure sanzioni per isolarlo» e annunciando che Washington non esclude «nessuna opzione» nei confronti dell'Iran. Di fatto una minaccia militare neppure tanto velata, la stessa che sostenuta per anni da George W. Bush e all'epoca criticata duramente da un'Obama oggi alla disperata ricerca di occasioni per fermare l'emorragia di consensi.
Il Dipartimento di Stato ha fatto sapere che presenterà all'Onu le prove del complotto (la stessa procedura utilizzata per giustificare l'invasione dell'Iraq nel 2003) sul quale si mostra cauta anche la stessa Ryad che pure ha molti motivi di tensione con l'Iran legati non solo al sostegno che Teheran offre alle minoranze sciite nei paesi arabi ma anche per la minaccia rappresentata dal programma atomico iraniano che le cui finalità militari sono sotto gli occhi di tutti.
Certo esistono almeno due facce del regime iraniano. Quella ufficiale del presidente Mahmoud Ahmadinejad che ha saputo creare una vasta rete di Paesi amici che si è rivelata molto utile alle Nazioni unite quali il Venezuela, la Russia, la Cina e la Turchia pur continuando a sostenere la destabilizzazione dell'Iraq, del Libano e delle monarchie sunnite del Golfo.
La faccia meno ufficiale ma pur sempre radicata nelle istituzione iraniane è quella dell'opposizione radicale della "Guida suprema", l'ayatollah Khamenei e che comprende anche molti elementi dei Guardiani della Rivoluzione (l'esercito parallelo dei pasdaran legato agli ayatollah) impegnati in operazioni all'estero, la nota divisione "Gerusalemme" (al-Quds) responsabile di attentati, azioni di guerriglia e terrorismo, gestione di traffici illeciti in combutta con organizzazioni malavitose per creare fondi neri. Sono questi uomini che forniscono armi ai talebani afghani o appoggiano le milizie di al-Qaeda in Mesopotamia che compiono attentati in Iraq, che hanno acquistato sul mercato clandestino armi trafugate dai depositi libici (inclusi missili antiaerei e anticarro) facendoli poi arrivare a Hezbollah nel Libano meridionale ad Hamas a Gaza.
Proprio la presenza di queste due anime del regime di Teheran, costrette a convivere, ha indotto in questi anni l'Occidente e la stessa Nato in Afghanistan a denunciare i traffici dei quali erano responsabili i pasdaran precisando però di non poter confermare se dietro di essi vi fosse il governo iraniano.
Un approccio utile a mantenere aperta la porta del dialogo con Teheran, fino a poco tempo fa fulcro della politica di Obama per risolvere la questione del programma nucleare. Al di là che le prove sull'attentato all'ambasciatore saudita si rivelino vere, false o manipolate dobbiamo chiederci quali obiettivi intenda ora perseguire Washington.
L'impressione è che i toni duri di Obama puntino ad aumentare il consenso internazionale per iniziative contro l'Iran seguendo una strada che ricalca quella già tracciata da Bush che accusò Teheran di alimentare il terrorismo e di essere uno dei Paesi del cosiddetto "Asse del Male".
A differenza degli anni scorsi gli Stati Uniti non hanno più la possibilità politica né forse la necessità di impegnarsi in conflitti di lunga durata ma sembrano avere tutto l'interesse a impegnare i loro principali competitori globali (inclusi molto loro alleati) in crisi militari che assorbano molte risorse economiche. Il coinvolgimento diretto dei sauditi potrebbe creare i presupposti per un'azione coordinata contro Teheran che veda gli Stati Uniti presenti solo come "collante" e supporto militare strategico ma non come protagonisti. Un po' come è accaduto in Libia dove il peso del conflitto è stato lasciato sulle spalle degli europei.
Anche se in Italia se ne è parlato molto poco, le monarchie sunnite del Golfo riunite nell'organismo militare Gulf Cooperation Council sono i Paesi più direttamente minacciato dal riarmo strategico iraniano che oltre al programma atomico in fase di sviluppo comprende armi chimiche, biologiche e missili balistici a medio raggio già operativi. Una caratteristica che unisce questi Paesi arabi (Bahrein ed Emirati Arabi Uniti hanno in corso dispute dirette con Teheran per la repressione degli sciiti e il controllo di alcuni isolotti) a Israele, che ha già da tempo pronti i piani per un attacco aereo e missilistico ai siti nucleari e strategici iraniani.
La comune minaccia pare abbia creato situazioni paradossali che secondo indiscrezioni hanno visto i jet israeliani schierarsi segretamente in una base saudita nel deserto per simulare i raid sull'Iran anche in cooperazione con l'aeronautica saudita. Se uno egli Stati arabi più tradizionalisti accoglie soldati e aerei israeliani a pochi chilometri dalla città santa della Mecca significa che la percezione della minaccia posta dall'Iran è considerata molto elevata.
Washington potrebbe quindi avere tutto l'interesse ad alzare molta polvere sull'Iran per favorire le opposizioni democratiche interne e creare un contesto internazionale favorevole a punire Teheran. Un compito che potrebbe poi essere attuato da altri Paesi pur con un supporto strategico e informativo statunitense. Le prossime settimane ci diranno cosa bolle in pentola ma la linea dura contro Teheran sembra piacere anche al governo israeliano, ufficialmente ammonito dal numero uno del Pentagono, Leon Panetta, dal lanciare blitz contro i siti atomici iraniani.