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TAIWAN-CINA

Le due "Cine" si avvicinano

Primo contatto formale fra due rappresentanti dei governi di Pechino e Taipei. Si tratta di una svolta storica (anche se limitata) considerando che le due "Cine" non si parlano dal 1949, ciascuna considerandosi unica legittima Cina.

Esteri 12_02_2014
Taipei

Wang Yu-chi e Zhang Zhijun, rappresentanti, rispettivamente, del governo di Taiwan e di quello della Repubblica Popolare Cinese, si sono incontrati ieri nella città cinese di Nanchino. Il meeting è avvenuto in una sobria sala riunioni, priva di bandiere e di ogni riferimento nazionale, né un gagliardetto, né un simbolo, né un colore riconducibile alla propria bandiera. Entrambe le parti, infatti, si considerano uniche legittime leadership dell’intera Cina. E si è trattato di un evento storico, perché è la prima volta in assoluto che due membri dei governi delle due Cine si incontrano ufficialmente e si stringono la mano. «In passato era impossibile immaginare di sederci qui assieme», ha dichiarato Wang. Non si sa di cosa i due abbiano parlato. Si trattava di un incontro “esplorativo” chiuso alla stampa. Il solo fatto che si siano visti faccia a faccia, però, può segnare l’inizio della fine di un lunghissimo ciclo storico iniziato nel 1949. Da allora ad oggi è cambiato il mondo. Nel 1949, dopo quattro anni di sanguinosa guerra civile, Mao Zedong prese il potere e instaurò il regime comunista in Cina. Le truppe superstiti del precedente governo nazionalista di Chang Kai-shek, assieme a milioni di profughi, si rifugiarono nell’isola di Formosa (Taiwan) per condurvi un’ultima disperata resistenza. La situazione, invece di finire in una temuta ecatombe, rimase congelata da allora. “Merito” della minaccia dell’uso della bomba atomica statunitense, che scoraggiò ogni tentativo di invasione. Il “fronte” si è trasformato in una frontiera di fatto, attraverso il braccio di mare dello Stretto di Taiwan.

Fra Cina e Taiwan vige una strana pace. Da un punto di vista economico, le due Cine si sono già riavvicinate da almeno sei anni. Nel 2008 sono stati riaperti i voli turistici. Circa 1400 cinesi del continente si recano ogni giorno (media del 2013) nell’isola “ribelle”, come la chiamano ancora a Pechino, per fare una prima visita a un territorio fino ad allora off limits, così come i taiwanesi hanno potuto rivedere di persona i loro luoghi di origine, da cui i loro padri e nonni erano fuggiti durante la guerra civile o dopo la presa del potere di Mao Zedong nel 1949. Oltre ai collegamenti aerei, che connettono cinque città cinesi a otto aeroporti di Taiwan, altre forme di cooperazione avvengono già in campo culturale, come quando il National Palace Museum di Taipei e il Palace Museum di Pechino hanno organizzato mostre in comune.

Gli investimenti nei reciproci mercati sono già molto ricchi. Dal 2010 è stato firmato a Chongquing, nella Repubblica Popolare Cinese, l’Ecfa, accordo quadro di cooperazione economica: se non proprio un trattato di libero scambio, è comunque un patto per abbassare reciprocamente le tariffe protezionistiche e ridurre i divieti sugli investimenti. Nel 2010, gli investimenti di Taiwan nella Cina continentale ammontavano già all’80% dei suoi investimenti diretti all’estero. Nello stesso anno, la Cina era la principale meta d’esportazione di Taipei (28%) e il secondo più grande fornitore (14,2%). Alcuni analisti ritengono che la Cina non abbia nemmeno bisogno di muovere la sua flotta per conquistarsi l’isola: se l’è già, di fatto, comprata, perché mentre la Cina è ormai indispensabile per Taiwan, non così l’isola è indispensabile per il continente. Inoltre, da quando, nel 2009, Taiwan ha liberalizzato parzialmente gli investimenti esteri, Pechino sta acquistando la proprietà di aziende isolane in centinaia di settori della produzione, dei servizi e della finanza.

Dunque il riavvicinamento fra le due Cine esiste già. Ed è questo il paradosso, perché i due governi sono ancora, tecnicamente, in guerra. La Cina, annualmente, svolge le sue esercitazioni di sbarco e mantiene il grosso dell’“Esercito di Liberazione Popolare” sulla sua costa orientale, di fronte a Taiwan. L’isola, invece, si prepara al peggio, grazie all’appoggio degli Stati Uniti che forniscono tutta la tecnologia necessaria, anche se devono evitare (per ovvie ragioni) di mandare truppe. Le sue spiagge occidentali sono tuttora militarizzate e, per ragioni di sicurezza, anche gli aerei di linea civili devono girare al largo dallo stretto che separa le due terre, passando dallo spazio aereo di Hong Kong.

Le due autorità politiche non si sono mai riconosciute. Le mappe della Repubblica Popolare Cinese includono anche l’isola. Ma a Taiwan, dove si sentono una nazione a parte, si contendono due opposte visioni. Il partito fondatore, quello nazionalista del Kuomintang, è paradossalmente il più ben accetto da Pechino. Fino agli anni ’60, progettava improbabili riunificazioni della Cina sotto Taipei. Dopo la morte del fondatore Chang Kai-shek, ha iniziato a democratizzarsi e a mirare a un tipo di riunificazione diverso, più pacifico. E dal 1979 la Cina ha lanciato, a sua volta, la politica dei “tre legami” (aereo, postale e commerciale) per riportare i due territori sotto uno stesso tetto politico. Nel 1986, Taiwan da dittatura autoritaria quale era è diventata una repubblica democratica. E il principale partito di opposizione, il Partito Progressista Democratico, teoricamente il più pacifista, è invece quello che potrebbe far scoppiare la guerra con Pechino. Perché non mira alla riunificazione, ma all’indipendenza. E alla parola “indipendenza”, il regime comunista cinese, che considera quell’isola come “cosa propria” potrebbe veramente dare il via all’invasione.

Anche lo status internazionale è paradossale. Fino al 1971 Taiwan era un membro permanente delle Nazioni Unite, un piccolo territorio che rappresentava l’intera Cina. Dopo la vittoria nella Guerra Civile, Mao Zedong, infatti, non era ancora stato riconosciuto internazionalmente. Ora la situazione è rovesciata. Grazie al cinismo del presidente Usa Richard Nixon e del suo consigliere Henry Kissinger, che volevano solo separare la Repubblica Popolare Cinese dall’Unione Sovietica, Pechino venne riconosciuto come l’unico legittimo governo di tutta la Cina, Taiwan inclusa. Mentre il governo di Taipei, ufficialmente, "non esiste". L'isola “ribelle” è ora riconosciuta da un pugno di piccoli Stati, fra cui il Vaticano. La Santa Sede, infatti, è ancora ai ferri corti con una Cina comunista che, non solo perseguita i cristiani, ma ordina i propri vescovi della sua Chiesa Patriottica, fedele al regime e non al Papa. I cristiani possono vivere liberi solo nell’altra Cina, quella oltre lo Stretto.