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EUTANASIA

Le Dat di Patrizia e la nostra umanità residua

A cosa serve la legge sulle DAT? Ad uccidere i malati, prima che la natura faccia il suo corso. Fra qualche mese, poi, iniziamo a domandarci: ma in fondo, non è forse una cosa buona che un malato di SLA che vuole morire possa essere ucciso senza soffrire? La risposta che ciascuno di noi darà a se stesso sarà una cartina di tornasole della nostra umanità residua.

Editoriali 07_02_2018

La morte procurata di Patrizia Cocco – la sua uccisione ad opera dei medici, questa è l'espressione corretta che, ancora per poco, ci lasceranno usare – è un evento che parla da solo sul reale contenuto di questa legge che, ormai da molti mesi, cerco di spiegare dove vengo invitato.

A cosa serve la legge sulle DAT? Ad uccidere i malati, prima che la natura faccia il suo corso.

Nient'altro: non serve ad altro! Anzi, sì: serve ad uccidere anche i disabili o i malati gravi, anche se non l'hanno chiesto; serve a non salvare la vita – anche quando è possibile – di persone che hanno perso la coscienza.

Cosa serve la sedazione palliativa profonda prevista dalla legge? Ad uccidere il paziente senza farlo soffrire.

Il dolore per quanto è avvenuto e per quanto avverrà regolarmente da oggi in poi non ci deve impedire di ragionare, almeno su alcuni aspetti. Questa è una legge ingiusta: integralmente ingiusta! Fanno sorridere amaramente gli incontri organizzati anche in ambito cattolico sulle "luci ed ombre" della legge sulle DAT. Possibile che soltanto pochi hanno il coraggio di affermarlo esplicitamente?

Delle leggi ingiuste contro la vita emerge subito una caratteristica: la "procedura", l'esistenza di una "commissione"; dalle notizie emerge che, immediatamente prima dell'uccisione della paziente erano presenti "oltre ai testimoni, uno psicologo, il medico palliativista, rianimatore, anestesista e un medico di base"; la procedura ha previsto quattro "sì" e poi la "procedura" è stata avviata. La procedura – il verbale, i timbri, le firme – permette di dire: "è tutto a posto" e copre (coprirà sempre di più, nei prossimi anni) la sostanza: l'uccisione di una donna.

La legge sull'aborto agisce allo stesso modo: occorre una domanda, un colloquio, un certificato, il decorso di sette giorni … tutto è a posto, ma l'uccisione del bambino scompare.

Il Protocollo di Groningen – quello che permette l'uccisione dei neonati malati sulla base dell'aspettativa sulla loro qualità di vita – prevede una Commissione medica (verbali, timbri, firme …).

Una seconda caratteristica: l'autodeterminazione. Ovviamente la prima donna uccisa aveva chiesto di farla finita da anni; nei prossimi mesi, però, inizieranno ad essere uccisi pazienti che non lo chiedevano da anni o che, forse, non lo avevano mai chiesto prima. Sì, perché l'uccisione di una malata di SLA renderà normale (sì: normale) la domanda – implicita od esplicita – ad ogni malato di SLA: cosa vuoi fare, vuoi continuare a peggiorare, a che punto smetti? Allo stesso modo, oggi, è normale la domanda ad una donna incinta: che fai, lo tieni o abortisci? E se c'è qualche problema, la domanda normale è ormai: non vorrai mica tenerlo?

Vogliamo parlare dei medici? Lo psicologo che ci stava a fare, a garantire che tutto andava bene, che la signora era cosciente? Il medico palliativista si è accorto che – in pochi giorni – il significato della sua specializzazione è radicalmente mutato? E l'anestesista, abituato a sedare o addormentare le persone prima di un'operazione con la speranza di vederle risvegliarsi guarite?

Lo sappiamo tutti: da quando c'è una legge che ha legalizzato l'aborto, vi sono alcuni medici che hanno acconsentito a mettere la loro arte al servizio della morte dei bambini; quindi non ci stupiamo affatto che si siano trovati quattro medici pronti ad eseguire le volontà di morire della paziente (non mancarono nemmeno medici e infermieri pronti a sopprimere Eluana Englaro …): piuttosto, dovremmo scandalizzarci che la legge non prevede l'obiezione di coscienza! Temiamo che, molto presto, molti professionisti sanitari che lavorano negli ospedali saranno chiamati a fare esattamente quello che hanno fatto i loro colleghi e che sarà per loro assai arduo rispondere di no.

La legge è questa: anzi, è molto peggio e lo vedremo giorno dopo giorno. Cosa fare? Sappiamo tutti che le leggi ingiuste educano la società, quindi occorre fare controeducazione e, soprattutto, non smettere mai di ribadire la loro natura malvagia.

Abbiamo, però, bisogno di insegnamenti autorevoli che sappiano dire tutta la verità, con coraggio e libertà.

Fra qualche mese, poi, iniziamo a domandarci: ma in fondo, non è forse una cosa buona che un malato di SLA che vuole morire possa essere ucciso senza soffrire? La risposta che ciascuno di noi darà a se stesso sarà una cartina di tornasole della nostra umanità residua.