«Le chiese a Roma riaprono». Papa e cardinale vicario, accuse reciproche
Un nuovo decreto del cardinale vicario di Roma, De Donatis, torna indietro sulla decisione di poche ore prima, dopo che anche il Papa aveva tuonato stamattina alla messa in Santa Marta contro le «misure drastiche». Le chiese a Roma riaprono dunque, ma il cardinale De Donatis scrive ai parroci romani e rivela che la decisione di chiuderle era del Papa. Le proteste di tanti fedeli e le telefonate allarmate di vescovi e cardinali lo hanno convinto a fare dietrofront. Uno spettacolo sconcertante di una gerarchia ecclesiastica in stato confusionale. E adesso i vescovi prendano coraggio e ristabiliscano le messe con popolo (pur nell'obbedienza alle disposizioni di sicurezza).
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Contrordine compagni, le chiese a Roma si riaprono, almeno quelle «parrocchiali e quelle che sono sede di missioni con cura d’anime ed equiparate». Restano chiuse al pubblico «le chiese non parrocchiali e più in generale gli edifici di culto di qualunque genere». Un nuovo decreto del cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, emanato la mattina del 13 marzo, corregge il decreto emanato appena poche ore prima, la sera del 12 marzo con cui si disponeva la chiusura totale di tutte le chiese della diocesi di Roma.
Una decisione clamorosa quella di chiudere le chiese, senza precedenti, che aveva sconcertato milioni di fedeli, non solo a Roma e in Italia, ma in tutto il mondo. Perché a nessuno sfugge il valore di esempio che le decisioni che riguardano Roma hanno per le comunità cattoliche di ogni parte del mondo. Peraltro il decreto di chiusura delle chiese romane seguiva il comunicato della presidenza della Conferenza Episcopale Italiana che andava esattamente nella stessa direzione suggerendo la stessa soluzione per le chiese di tutta Italia, come abbiamo documentato (clicca qui).
Non meno sconcertante è comunque questa retromarcia, per quanto auspicata e benvenuta. Il nuovo decreto è stato anticipato dal siluro lanciato al mattino da papa Francesco nella tradizionale messa a Santa Marta delle 7. Pregando per i pastori «che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi», papa Francesco ha detto che «le misure drastiche non sempre sono buone» e ha invocato lo Spirito Santo affinché dia la capacità ai pastori di prendere «misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio», in modo che «il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera».
Una sconfessione totale della decisione presa ieri sera. Essendo papa Francesco il vescovo di Roma, lasciava intendere che il cardinale De Donatis e il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, avessero concordato misure così clamorose alle sue spalle, senza consultarlo. Difficile da credere, visto il profilo dei due cardinali. Ma in mattinata questa narrazione veniva rafforzata da una dura intervista del cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa presente anche lui alla messa a Santa Marta. Al quotidiano online americano Crux, Krajewski – che con il Papa ha un rapporto privilegiato – ha detto che lui ha comunque aperto la sua chiesa di Santa Maria Immacolata all’Esquilino in aperta polemica con il decreto di De Donatis. «È un atto di disobbedienza, sì – ha detto Krajewski -, io stesso ho esposto il Santissimo Sacramento e aperto la chiesa». «È un atto che deve infondere coraggio agli altri preti», ha aggiunto. Un vero e proprio invito alla ribellione alle decisioni del cardinale vicario da parte di un cardinale che parlava chiaramente ispirato dal vescovo di Roma, papa Francesco.
Inevitabile a quel punto il dietrofront a uno "sfiduciato" cardinale De Donatis – mentre il cardinale Bassetti al momento continua a fischiettare facendo finta di nulla – con un decreto che non semplicemente corregge, ma cambia completamente prospettiva rispetto a quello di poche ore prima. Se nel decreto di chiusura si adduceva come motivo il «bene comune», il «senso di appartenenza alla famiglia umana», nel decreto di riapertura ci si rende finalmente conto che la Chiesa ha anche un’altra missione: «Ogni provvedimento cautelare ecclesiale deve tener conto non soltanto del bene comune della società civile, ma anche di quel bene unico e prezioso che è la fede, soprattutto quella dei più piccoli».
La narrazione ufficiale dovrebbe quindi prevedere a questo punto, secondo un copione già visto molte volte, una vita molto breve di De Donatis alla guida del Vicariato di Roma. Ma qui ecco un secondo passaggio clamoroso. Questa volta il cardinale Vicario non ci sta a fare l’agnello sacrificale e così, insieme al nuovo decreto, ha inviato a tutti i parroci della diocesi romana una lettera (clicca qui) in cui spiega tutte le ragioni di quanto successo e dà a papa Francesco la responsabilità dell’ordine di chiusura delle chiese: «Con una decisione senza precedenti – inizia la lettera ai parroci -, consultato il nostro Vescovo Papa Francesco, abbiamo pubblicato ieri, 12 marzo, il decreto che fissa la chiusura per tre settimane delle nostre chiese».
La bomba è lanciata. Seguono una serie di considerazioni per giustificare quella scelta per poi arrivare alla svolta del 13 marzo: «Un ulteriore confronto con papa Francesco, questa mattina, ci ha spinto però a prendere in considerazione un’altra esigenza: la chiusura di tutte le nostre chiese può suscitare disorientamento e confusione. Il rischio per le persone è di sentirsi ancora più isolate. Di qui il nuovo decreto che vi viene inviato con questa lettera».
Incredibile: il Papa e il suo vicario si sono accorti solo a scoppio ritardato delle conseguenze drammatiche che la chiusura delle chiese ha per i fedeli. Niente male per chi dei «pastori con l’odore delle pecore» ha fatto il ritornello del pontificato.
La realtà è che i mugugni e i mal di pancia di molti vescovi per la sospensione delle messe - finora rimasti sotto traccia -, sono esplosi con la decisione di chiudere anche le chiese. Per non dire della reazione di molti fedeli, di cui certamente anche la Nuova Bussola Quotidiana si è fatta interprete. A quanto è dato sapere, ieri sera il Papa è stato tempestato di telefonate da vescovi e cardinali di curia, così da indurlo alla retromarcia.
Del resto che la chiusura delle chiese non fosse una iniziativa estemporanea del cardinale De Donatis, lo dimostra il fatto che già martedì 10 marzo era stata disposta la chiusura della basilica di San Pietro e dell’adiacente piazza, un’indicazione chiara sull’indirizzo da prendere.
Scongiurata dunque la chiusura delle chiese, rimane lo spettacolo di una gerarchia ecclesiastica in stato di confusione e impaurita. Con delle conseguenze drammatiche per la Chiesa nel mondo. La sciagurata decisione di sospendere le messe in Italia sta ormai diventando un esempio che altri vescovi e conferenze episcopali - dal Regno Unito agli Stati Uniti - stanno seguendo, pur in condizioni sanitarie ancora meno drammatiche che in Italia.
A questo punto altri vescovi dovrebbero prendere coraggio e ristabilire anche le messe con il popolo, ovviamente seguendo tutte le indicazioni di prudenza richieste e secondo modalità di buon senso che più volte abbiamo suggerito in questi giorni. Sarebbe questo il miglior contributo che la Chiesa potrebbe ora dare al bene comune.