Le bombe Usa fanno il solletico all'Isis. Le russe? Chissà
La guerra aerea allo Stato Islamico è del tutto inutile. Lo sostiene un’analisi dell’autorevole centro studi britannico Ihs Jane’s valutando i dati registrati negli ultimi 15 mesi, da quando cioè hanno preso il via le operazioni aeree della Coalizione guidata dagli Stati Uniti in Iraq e Siria.
La guerra aerea allo Stato Islamico è del tutto inutile. Lo sostiene un’analisi dell’autorevole centro studi britannico Ihs Jane’s valutando i dati registrati negli ultimi 15 mesi, da quando cioè hanno preso il via le operazioni aeree della Coalizione guidata dagli Stati Uniti in Iraq (8 agosto 2014) e Siria (23 settembre). Secondo lo studio della branca di Ihs Jane’s che si occupa di antiterrorismo la campagna aerea non ha in alcun modo fermato Isis ma, al contrario, gli uomini del Califfato hanno mostrato una crescente vivacità bellica negli ultimi tempi.
Negli ultimi tre mesi l’Isis ha effettuato 1.086 attacchi che hanno causato globalmente 2.978 morti: un incremento degli attacchi del 42%, dagli 8,3 al giorno tra aprile e giungo agli 11,8 tra luglio e settembre. Quanto al numero delle vittime, è cresciuto del 65,3% rispetto ai tre mesi precedenti, e di ben l’81% rispetto a un anno prima. «Pare che i raid aerei della Coalizione non siano stati sufficienti ad indebolire l’organizzazione o a sconfiggerla», ha dichiarato Matthew Henman, capo del centro anti-terrorismo di Ihs Jane’s confermando di fatto lo scetticismo già espresso da molti analisti circa i risultati della campagna aerea della Coalizione che ha effettuato fino al 7 ottobre appena 7.300 incursioni aeree in 420 giorni di guerra, in media 17 attacchi aerei al giorno. Numeri confermati anche dagli ultimi dati ufficiali sulle azioni di guerra dei jet alleati (appena 16 ieri quelli effettuati tra Iraq e Siria) e che cozzano con l’estremo attivismo russo che pur schierando solo 36 cacciabombardieri in Siria (circa un terzo dei velivoli da combattimento di cui dispone la Coalizione) sta effettuando un gran numero di attacchi contro Isis e altri movimenti che combattono il regime di Bashar Assad.
Dal 30 settembre si registrano, infatti, 850 missioni d’attacco russe, cioè in media 35 al giorno e tutte concentrate sul territorio siriano anche se contro obiettivi non limitati alle postazioni dello Stato Islamico. Nonostante i russi colpiscano almeno tre volte di più di arabi e occidentali che compongono la Coalizione (anche se il 95% per cento dei raid li effettuano i jet statunitensi) lo studio di Ihs Jane’s valuta che l’impatto delle incursioni dei jet di Mosca sarà equivalente a quello della Coalizione, cioè praticamente nullo. Secondo gli analisti britannici il coinvolgimento della Russia non cambierà le cose considerato che Mosca è più interessata a difendere il regime di Bashar Assad che a sconfiggere lo Stato Islamico. Henman ha ricordato come «nelle scorse settimane l’Isis abbia guadagnato terreno nella zona di Aleppo grazie al fatto che a essere colpiti dai raid russi sono i gruppo ribelli rivali» e secondo l’analista del Jane’s «questa è una tendenza destinata a continuare».
Una valutazione che suscita qualche perplessità per diverse ragioni. I raid russi sono iniziati da troppo poco tempo per trarne già un bilancio in termini strategici o valutarne l’efficacia, che dev’essere considerevole a giudicare dai continui annunci dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus) che lamenta la morte di tanti civili sotto le bombe di Mosca. L’Ondus, vale la pena sottolinearlo, è una organizzazione non governativa con sede a Londra vicina ai ribelli “moderati” appoggiati da Usa e alleati e sospettata di essere molto vicina ai servizi d’intelligence anglo-americani. Le continue denunce di “danni collaterali” attribuiti ai russi potrebbero avere l’obiettivo di indurre la comunità internazionale a premere su Mosca affinché cessi i raid o li limiti dando così respiro ai ribelli siriani. Una tecnica propagandistica utilizzata anche da Hamas ogni volta che le truppe israeliane sono penetrate in forze nella Striscia di Gaza.
Al di là dell’intensità e della precisione dei bombardamenti c’è poi una sostanziale differenza tra la campagna aerea della Coalizione e quella russa. I raid occidentali non sostengono un’offensiva terrestre su vasta scala perché mancano le truppe a terra, i cosiddetti boots on the ground: Washington non intende schierare suoi reparti, i curdi hanno forze limitate e non vogliono subire perdite per liberare città arabe come Mosul e le truppe di Baghdad non hanno ancora dimostrato concrete capacità offensive lasciando i tentativi di riconquistare i territori occupati dall’Isis l’anno scorso alle milizie scite filo-iraniane che non ricevono il supporto aereo statunitense.
Al contrario i Sukhoi russi basati a Latakya appoggiano con gli attacchi al suolo le offensive scatenate dalle truppe di Damasco affiancate da hezbollah libanesi e pasdaran iraniani sui fronti di Latakya, Hama e Aleppo. Inoltre, lo Stato Islamico rimane uno dei principali nemici del regime di Damasco e rientra tra gli obiettivi bersagliati dai jet di Mosca ma i piani messi a punto da russi, siriani e iraniani sembrano per il momento puntare a riconquistare il nord ovest della Siria per poi puntare su Palmyra e su Raqqa, la capitale del Califfato che potrebbe venire attaccata da nord dai curdi siriani che da tempo combattono l’ISIS fianco delle forze di Assad. Per trarre un bilancio credibile dell’intervento militare russo meglio attendere almeno qualche mese.