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ALLUVIONE GENOVA

Le "aspirine" di Gabrielli e una proposta per ripartire

La nuova alluvione che ha messo in ginocchio Genova racconta la storia di amministratori incoscienti e di quei 35,7 milioni di euro per mettere in sicurezza il fiume, bloccati e spariti. Gabrielli, capo della Protezione Civile, dice che deve combattere un guerra, ma ha solo aspirine. Una proposta per ripartire.

Editoriali 14_10_2014
Distruzione a Genova

“Bisagno, 120 anni di errori”. Mai titolo fu più azzeccato come quello apparso sul Secolo XIX. Racconta la storia di amministratori che hanno governato Genova, hanno fatto costruire palazzi e strade infischiandosene dei pericoli che potevano derivare dalla presenza di quel fiume, che taglia la città in senso longitudinale. A partire dal 1892 al 1895, “bersaglio” delle costruzioni fu l’unica piana della città, dove per secoli il fiume scaricava le sue acque. Tra il 1926 e il 1940, si costruì proprio nei luoghi che sono stati in questi giorni l’epicentro dell’alluvione e fu tombinato il fiume: da allora, le acque non potettero più scaricare nel loro alveo naturale; la loro via d’uscita fu il tunnel di copertura e il riversamento su Borgo Incrociati, che si trova accanto ai resti del ponte medievale. L’originale fu costruito in pietra dai romani, durante la marcia di trasferimento verso la Gallia. Nel Medioevo furono costruite 28 arcate, che insistevano su uno slargo del fiume, per scaricare le piene. 

Nei secoli “moderni” – invece di rafforzare questo sistema di difesa - si cominciò ad interrare le arcate. Oggi, ne restano solo due presso la chiesa di Sant'Agata e sei, scoperte, di fronte al Borgo Incrociati. Un’opera devastatrice che continuò negli Anni ’50 e nei primi Anni ’60, con la medesima “tecnica”: si costruì seppellendo o nascondendo i corsi d‘acqua. Si credette di farlo, in verità, perché il fiume e i suoi ruscelli e rivi – la città ne conta 107 - non rimasero inerti. Dal dopoguerra ad oggi – compresa quella avvenuta negli scorsi giorni, che ha provocato un morto – se ne contano 12 di alluvioni nella città: 1945, 1951 (per due volte), 1953, 1970 (il ponte medievale fu definitivamente distrutto e provocò 40 morti, 1977, 1992, 1993, 2010 (a Ponente) e nel 2011.

Agli inizi degli Anni ’80, si decise di finanziare un cantiere sul mare, che avrebbe dovuto consentire di far defluire, in caso di forti piogge, le acque del rio Fereggiano, affluente del Bisagno. L’opera non inizia neppure, perché bloccata da un’inchiesta giudiziaria. Le ditte vincitrici dell’appalto vengono pagate senza eseguire i lavori: 4,5 milioni di euro. L’ultima rata è stata dell’11 giugno 2013, di 624mila euro. Intanto, la galleria che doveva salvare la città è diventata un magazzino di deposito delle canoe. Lo scorso 27 marzo è stato varato un nuovo progetto. Mentre da 4 anni è fermo quello relativo al Bisagno, per allargare le volte: 9 km di fiume in sicurezza, in una zona dove vivono circa 100mila persone; 50 milioni di euro previsti inizialmente più 20 di aggravio di spese.  Nel 2010, il ministero dell'Ambiente e la Regione Liguria firmano un accordo di programma con cui si assegnano per il rifacimento del tratto sotterraneo del Bisagno. 35,7 milioni. A marzo del 2012, la gara d'appalto indetta nell'ottobre del 2011, si chiude con l'assegnazione dei lavori al Consorzio stabile per le infrastrutture, un'Ati composta da diverse società. 

Il Consorzio, però, non riesce ad aprire il cantiere: alcune ditte sconfitte presentano un ricorso al Tar della Liguria che accoglie il ricorso e sospende la gara. Quando arrivano le motivazioni della decisione del Tar, nel 2013, l'Ati che si era aggiudicata l'appalto ricorre al Consiglio di Stato, che annulla la sentenza del Tar Liguria sostenendo che la competenza sia di quello del Lazio. Si arriva così allo scorso 14 luglio, quando il Tar del Lazio respinge il ricorso dalle ditte sconfitte, ma una di queste invia al Commissario delegato - il presidente della Liguria, Claudio Burlando - una diffida a non far partire i lavori, sostenendo che non ci sono ancora le motivazioni della sentenza del Tar. Ora, dopo l’ultimo morto e gli ingentissimi danni a famiglie e imprese, governo e Regione Liguria stanno cercando di comprendere come sbrogliare la matassa.

«É una vicenda scandalosa», ha detto il Capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli «perché le risorse ci sono e in tre anni non si è riusciti a completare i lavori. Se l'intervento sul Bisagno fosse stato realizzato avremmo fortemente limitato gli esiti disastrosi di questa vicenda». Ha anche aggiunto di vedere con favore la norma che prevede che «quando c'è l'assegnazione di una gara a una ditta che deve fare lavori, l'opera si fa e poi, siccome bisogna valutare l'eventuale danno subito dalla ditta esclusa, la causa deve riguardare non l'opera, ma l'eventuale danno economico subito». Un’osservazione elementare, sulla quale chi ha la responsabilità delle decisioni dovrebbe meditare, insieme a quella ben più grave di Gabrielli: «Io sono il classico medico che è stato mandato al fronte di una guerra, dove mi hanno dato una cassetta piena di aspirine. Solo negli ultimi 2 anni sono stati dichiarati 21 stati emergenziali con danni accertati per 2 miliardi e 300 milioni»». Le emergenze, c’è chi dovrebbe tenerlo sempre presente, non si curano con l’incapacità, l’inefficienza e la burocrazia.