Le alluvioni in Italia centrale e il nuovo animismo dei Verdi
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Gli eventi estremi sono causati dal cambiamento climatico: ormai è obbligatorio dirlo. Di qui la contestazione al governo Meloni per le alluvioni: non vuole spendere per la transizione ecologica? Allora ci saranno più eventi estremi.
L’Emilia Romagna è di nuovo sotto l’acqua, la seconda alluvione in poco più di un anno dopo quella del maggio 2023. Stavolta anche le Marche stanno subendo gli effetti dell’alluvione. La causa è la tempesta Boris che ha già colpito l’Europa centrale, soprattutto la Polonia meridionale. La reazione della popolazione, soprattutto quella emiliana, è di esasperazione. Appena stavano ricominciando a vivere, dopo una difficile ricostruzione, le loro case e attività commerciali sono di nuovo travolte da acqua e fango. Al terrore di essere svegliati nel cuore della notte, per arrampicarsi agli ultimi piani, segue un grande senso di frustrazione, impotenza e rabbia, soprattutto contro le autorità. La politica sta trovando modo di litigare sulla tragedia, con il governo che accusa la Regione di non aver fatto nulla e la Regione che accusa il governo di non aver stanziato fondi sufficienti. L’opposizione, con Elly Schlein in testa (ex assessore all’Ambiente dell’Emilia Romagna), accusa di sciacallaggio Musumeci, il ministro della Protezione civile.
Maggioranza e opposizione, governo e regione, sono troppo impegnati a scannarsi fra loro per accorgersi del dibattito, che nei media e social media è dominante, sulle cause dell’alluvione. Perché, al di là delle polemiche sulla mala gestione del territorio e sulla scarsa capacità di prevenire i danni peggiori, la classe intellettuale ha già individuato il vero colpevole: il cambiamento climatico. Alessandro Gassmann, che non è uno scienziato, ma un attore, twitta: «L’Emilia-Romagna e le Marche sono le due regioni indicate più a rischio. Sono tempeste anomale causate dal surriscaldamento terrestre». Pier Paolo Alberoni, che invece è del mestiere (responsabile Struttura IdroMeteoClima di Arpae Emilia-Romagna) intervistato dai Tg della Rai ritiene che l’alluvione, soprattutto in Emilia sia anomala: «Domandiamoci perché capitano, sono eventi che dovrebbero accadere una volta ogni secolo, invece ne abbiamo visti due in due anni».
Su Rai Radio 3, nel programma Tutta la città ne parla, dedicato ai commenti più frequenti degli ascoltatori, la domanda prescelta, questa volta è: «Che cosa è più nocivo, il green deal o gli allagamenti?». Visto che la presidente del consiglio considera l’ecologismo troppo ideologico, l’ascoltatore si chiede «Anche le inondazioni sono fattori ideologici?». Risponde, oltre al sindaco di Faenza e una giornalista di cronaca locale, anche lo scrittore Matteo Cavezzali (ideatore e direttore artistico del Festival letterario ScrittuRa di Ravenna), che dà tutta la colpa all’uomo. «Se non proprio negarlo [il cambiamento climatico, ndr] si fa finta di niente. Girando in queste zone vedi sempre cantieri che continuano a costruire supermercati, centri commerciali, a cementificare zone che prima erano verdi. Si fa finta che queste cose non c’entrino». Nella stessa trasmissione interviene anche un’altra scrittrice, Sara Segantin, promotrice dei Fridays for Future (le manifestazioni di Greta Thunberg) in Italia. Ritiene che l’ecoansia sia diffusa più di quanto si creda e sia assolutamente giusto soffrirne. Un giovane su tre ne sarebbe colpito. E uno su due proverebbe, genericamente, ansia per il futuro. Il mondo, secondo l’attivista verde, è caratterizzato da un periodo di “policrisi”, crisi multiple che si accavallano, fra cui l’emergenza climatica. Ed è “ideologico” chi lo nega.
Nel mondo della politica, è Angelo Bonelli, leader dei Verdi, a raccogliere quest'ansia e a scagliarla contro il governo Meloni: «Mentre l’Italia va sott’acqua, Meloni va a Confindustria a dire che la transizione ecologica è un disastro e va fermata. Ma è un disastro il Green Deal o quello che sta accadendo in Emilia Romagna?», scrive sul profilo X del suo partito. Sull’aumento degli eventi estremi si esprime anche la Ong Save the Children che pubblica una statistica inquietante: la probabilità di eventi estremi sarebbe aumentata del 9% negli ultimi 20 anni di cambiamento climatico. Stesso allarme viene lanciato anche dalle Acli: per Emiliano Manfredonia, presidente nazionale, « I danni provocati dai cambiamenti climatici stanno diventando una realtà quotidiana in molte delle nostre regioni e non ci si può più limitare a gestire l’emergenza. È necessario investire in una strategia a lungo termine per affrontare il dissesto idrogeologico e proteggere le persone e le infrastrutture dalle conseguenze sempre più evidenti del climate change».
Anche ammettendo che: i cambiamenti climatici siano in corso al ritmo previsto, che siano causati dall’uomo, che siano all'origine di un aumento di eventi estremi (tre dogmi che non possono essere confutati, pena l’ostracismo scientifico e mediatico), siamo veramente sicuri che le rinnovabili, le auto elettriche e la politica di riduzione delle emissioni siano la soluzione? Siamo sicuri che le alluvioni siano provocate proprio dalla costruzione di più supermercati e centri commerciali? “Piove, governo ladro”, fino a un paio di decenni fa, era solo una battuta. Nel nuovo secolo sta diventando un argomento di polemica politica. La prima volta che è stato usato contro un presidente è nel 2005, contro George Bush, per l’uragano Katrina: lo hanno accusato di essere uscito dal Protocollo di Kyoto e di non credere alla teoria del riscaldamento globale. Ma per questo motivo, è stato accusato, praticamente di aver provocato lui l’uragano tropicale.
L’argomento che viene usato contro Giorgia Meloni e Confindustria è analogo: non vogliono affrontare i costi della transizione verde, quindi noi avremo più alluvioni e disastri naturali in generale. Ma la connessione fra danni provocati dalla natura e scelte politiche è, appunto, solo politica. Nessuno è umanamente in grado di calcolare quanto (e se) gli interventi umani per mitigare il riscaldamento globale possano ridurre (e di quanto) gli eventi “estremi”. Si tratta, più che altro, di un ritorno, in veste scientifica, di un pensiero animista. L’idea che certe forme di progresso, certi cambiamenti, possano offendere un dio vendicativo. Gli animisti temono la vendetta di divinità naturali, gli ecologisti la vendetta della natura. C’è solo, a ben vedere, una piccola sfumatura di differenza.