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80 anni dopo

Le 814 vittime della foiba di Jazovka: invisibili per tutti, ma non per Dio

Nel 1945 il regime comunista jugoslavo compiva uno dei suoi molti massacri, gettando 814 persone, alcune ancora vive, nella foiba di Jazovka. Solo il 23 agosto di quest’anno, i loro funerali e la sepoltura. Proponiamo l’omelia dell’arcivescovo di Zagabria, mons. Kutleša.

Attualità 02_10_2025
Foiba Jazovka (licenza CC, via Wikimedia - Modzzak)

Il 23 agosto 2025, in occasione della Giornata europea in memoria delle vittime di tutti i regimi totalitari e autoritari, a Sošice, nei pressi di Zagabria, hanno avuto luogo i solenni funerali delle 814 vittime del regime comunista jugoslavo che nel 1945 furono gettate, alcune delle quali ancora vive, nella vicina foiba di Jazovka. Si trattava di soldati, civili e suore dagli ospedali di Zagabria.

Non si tratta di un caso isolato. Il territorio comunale della vicina cittadina di Samobor, ad esempio, è pieno di fosse comuni ancora inesplorate, di vittime delle vendette del regime comunista alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma foibe e fosse comuni riempite di cadaveri di oppositori del regime sono presenti in tutta la Croazia e la Bosnia-Erzegovina; solo la cosiddetta “Via Crucis del popolo croato” tra Bleiburg, Maribor, Macelj e Zagabria costò la vita, in pochi giorni, a circa duecentomila persone, quasi tutti croati.

Riportiamo per intero la profonda e commovente omelia dell’arcivescovo di Zagabria, mons. Dražen Kutleša, pronunciata in occasione dei funerali e della tumulazione delle vittime della foiba di Jazovka. (Guido Villa)

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Jazovka, 23 agosto 2025.

Una voce dall’abisso

Cari fratelli e sorelle in Cristo!

Oggi vi parlo non attraverso la memoria umana, ma dal silenzio di questa foiba. Vi parlo dalle profondità della terra che fu la mia tomba, ma anche dalle altezze dei Cieli che sono diventate la mia casa. Sono l’anima di un soldato croato. Il mio corpo riposa qui da più di settant’anni, e non avete mai sentito il mio nome. Nessuno l’ha scritto su una targa commemorativa, non è mai stato insegnato a scuola. Ma oggi, per volontà di Dio, posso raccontarvi la mia storia.

Fui un soldato croato. Non fui senza peccato; portavo sulle mie spalle le mie debolezze, e mi pentivo dei miei peccati, ma ero fedele a Dio che mi aveva creato, alla madre che mi aveva cresciuto, e alla Patria che amavo più della mia stessa vita. La mia fedeltà era semplice: restare fedele alla Verità, e salvaguardare il mio onore.

Le mie ferite sanguinavano ancora quando mi portarono fuori dall’ospedale. Sentivo che le cose non erano come dicevano, ma non potevo fuggire. Mentivano quando dicevano che mi stavano portando a curarmi, e invece, mi stavano portando alla morte. Senza processo, senza difesa, senza che potessi accomiatarmi dai miei cari.

In quel momento, mentre ero in cammino verso l’ignoto, risuonarono nel mio cuore le parole del salmo: «Alle tue mani, Signore, affido il mio spirito» (Sal 31,6).

E mentre mi conducevano verso la fine, sapevo che la verità non muore presso nessuno, e non morì neppure presso di me.

1. Quando ci portarono via diventammo invisibili.
Quella notte, quando vennero a prenderci, le luci nei corridoi erano fioche, come se perfino le pareti dell’ospedale sapessero che stava succedendo qualcosa che non doveva venire alla luce. L’odore delle medicine si mescolava al pesante odore di umidità e di paura. I corridoi echeggiavano solo di voci brevi e severe, e dei duri colpi degli stivali militari sul pavimento.

Non ci furono saluti, né spiegazioni. Le mani che mi trasportavano erano fredde, senza parole né sguardi. Persone ferite come me, ancora con le bende intrise di sangue, venivano trasportate su lenzuola e barelle come pesi, non come persone. Non eravamo pazienti da curare, bensì "avanzi" da eliminare.

I camion aspettavano fuori dall’ospedale, i motori rombavano nella notte, e il viaggio verso l’ignoto era avvolto da un silenzio inquietante, riempito solo dai sussurri di preghiera di chi ancora riusciva a pregare. Nessuno sapeva dove stessimo andando, ma tutti sentivamo che non saremmo tornati.

Non eravamo imputati dinanzi a un tribunale, non avevamo alcun diritto alla verità o alla difesa. Eravamo persone invisibili la cui memoria doveva essere rimossa, cancellata dall’immagine del "nuovo mondo". I nomi di molti di noi non erano scritti nei registri dell’ospedale, e nessuno osava chiedere dove ci stessero portando.

La nostra “colpa” non era nelle armi che portavamo, bensì nei cuori che avevamo. Amavamo Dio più del Partito, la Croazia più dell’“uomo nuovo” senza Dio e senza Patria. Ai loro occhi, tutto questo rappresentava una condanna a morte.

E mentre le ruote del camion rompevano il silenzio del bosco, sapevo che l’oscurità in cui eravamo condotti non era solamente l’oscurità della notte, bensì anche l’oscurità dell’oblio. Eppure, nel mio cuore ardeva la speranza del Vangelo: «Nemmeno un capello del vostro capo perirà» (Lc 21,18). Lo sapevo: gli uomini possono cancellare il nostro nome, ma lo sguardo di Dio è eternamente diretto su di noi.

2. Fummo invisibili quando ci uccisero
Ci spinsero sull’orlo dell’abisso. La notte era densa come il catrame, e il bosco silenzioso. Era un silenzio che faceva male, poiché in esso tutto attendeva una salvezza che non arrivò mai. L’aria era fredda e pesante, l’odore della terra si mescolava all’odore della paura. Persino gli alberi sembravano trattenere il respiro.

Alcuni rimasero in piedi sul bordo della foiba, con le ginocchia tremanti e le mani irrigidite, e chi non riusciva a camminare fu gettato nell’abisso come se fosse un sacco senza vita. Udii un suono – il tonfo di un corpo che colpiva le rocce – e un gemito che si spense rapidamente nell’oscurità. La cosa più terribile fu sentire il grido di dolore, e sapere che non c’era una mano che mi potesse aiutare.

Alcuni furono colpiti alla nuca, brevemente e senza dire una parola. Altri furono gettati vivi nell’abisso, con un grido soffocato in gola, dopo aver invocato i nomi di Gesù e Maria. Dall’oscurità si sentì come le ossa colpivano la pietra, grida si trasformavano in sussurri, e poi... il silenzio.

Nessuna croce, nessuna preghiera, nessuna assoluzione da parte di un sacerdote. Solo un breve comando: «Buttalo giù!» – e un essere umano, creato a immagine di Dio, scomparve dal mondo. Non fu pronunciato alcun nome, non fu cantato alcun inno funebre, non vi fu nessuno che baciasse il defunto sulla fronte. Solo oscurità, terra e oblio.

Così cercarono di cancellarci, come se non fossimo mai esistiti. Uccisero i nostri corpi, ma non riuscirono a uccidere l’anima né a spegnere la preghiera che visse dentro di noi fino al nostro ultimo respiro.

Mentre mi conducevano sull’orlo dell’abisso, spontaneamente mi vennero in mente le parole del salmo: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché Tu sei con me. Il Tuo bastone e il Tuo vincastro mi danno sicurezza» (Sal 23,4).

In quel momento, mentre il terreno sotto i miei piedi si trasformava nel vuoto dell’abisso, e il mio cuore nel petto batteva i suoi ultimi battiti, compresi che questa non sarebbe stata la fine, poiché il Signore era lì, con me. E mentre gli uomini mi gettavano nell’oscurità, Egli mi accolse nella Sua Luce.

3. Fummo invisibili durante il regime comunista
Dopo che l’ultimo corpo cadde nella foiba, per noi il mondo degli uomini si fermò. Non ci furono funerali, né corone di fiori, né candele. Solo il silenzio, un silenzio pesante e imposto, che durò per decenni.

Nei giorni successivi, le nostre case rimasero vuote. Le nostre mogli e madri ci aspettavano sulla porta, guardando la strada, ascoltando ogni rumore, sperando che tornassimo. Alcune per anni cucinarono zuppa in aggiunta «nel caso in cui tornassimo». I nostri padri non parlavano molto, ma le loro spalle si abbassarono sempre di più, i loro occhi erano costantemente lucidi. I bambini crescevano senza i loro padri, imparando a scuola una storia che aveva cancellato la nostra memoria.

Non fummo semplicemente gettati in una foiba, fummo cancellati dai racconti, dai libri, dalle preghiere che dovevano essere solamente sussurrate. Chi cercava di scoprire la verità rischiava la libertà, e a volte anche la vita. Il regime comunista non solo bandì i nostri nomi, ma anche il solo pensiero di noi. Chi ci aveva uccisi, e chi aveva ordinato loro di farlo, si muoveva liberamente, riceveva decorazioni, ricopriva cariche dello Stato. I loro nomi erano pronunciati con onore, mentre i nostri non venivano neppure sussurrati.

Cari fratelli croati, si sono avverate le parole del beato Alojzije Stepinac: «Il comunismo è nato dalla menzogna, vive di menzogna, e morirà di menzogna». Il comunismo è morto, ma ancora oggi sentite le conseguenze del danno che esso ha causato. Il regime comunista sapeva bene che la violenza può essere coperta solo dalla menzogna, e che la menzogna può essere mantenuta solo dalla violenza (Solgenitsin). La nostra morte scaturì da quella menzogna, e quella violenza si nutrì del nostro sangue.

Mentre il mondo sul nostro suolo guardava le parate, le iniziative di lavoro e le bandiere rosse, in profondità, sotto di esso, giacevano i nostri corpi. Scandendo slogan di fratellanza e unità, costruivano ponti sotto i quali scorrevano fiumi del nostro sangue. Non eravamo eroi del nuovo Stato. Eravamo “nemici”, “traditori”, “ostacoli” per il loro piano di costruzione di un “uomo nuovo” senza Dio.

E Dio, che vede nel segreto (cfr Mt 6,6), si ricordò delle nostre tombe, conservò i nostri nomi nel Suo Libro della Vita. Mentre gli uomini, traviati dal male, costruivano un impero sulle nostre ossa, Egli attese pazientemente il momento in cui la verità avrebbe infranto i muri del silenzio.

4. Fummo invisibili anche nella Croazia libera
Passarono gli anni. Caddero le bandiere sotto le quali eravamo stati uccisi, crollò il regime che ci aveva condannato a essere invisibili e al silenzio. Arrivò un nuovo vento, il vento della libertà. Si parlò di democrazia, di lustrazione, di verità, del ritorno della dignità. Pensavamo: ora tutto sarà rivelato, ora le nostre tombe parleranno. E in effetti, qualcuno lo fece. Apparvero persone coraggiose – speleologi, storici, sacerdoti, ricercatori – che scoprirono le foibe, scrissero testimonianze, raccolsero ossa.

Passarono gli anni, ma su molte foibe non vi fu spazio per una croce o una targa commemorativa. Molti dei nostri nomi rimasero sconosciuti, poiché gli archivi erano stati bruciati o chiusi, e i documenti erano stati deliberatamente distrutti. Ci sono ancora madri che non hanno mai scoperto dove sono caduti i loro figli. Ci sono ancora figli che non hanno mai visto la tomba del loro padre.

Noi, gli invisibili di Jazovka, vedemmo la storia ripetersi con la Guerra per la Patria, ci rendemmo conto che vi sono molti altri figli croati che aspettano ancora la voce della giustizia e il momento della verità. Il lungo silenzio, persino nella Croazia libera, ha reso molti di noi invisibili per sempre, e ha permesso che i criminali che ci avevano ucciso rimanessero impuniti, e persino ricompensati.

Dopo la Guerra per la Patria si parlò di riconciliazione – e questa è una buona cosa, ma c’è ancora molto lavoro da fare perché si arrivi a tale meta. Ma la riconciliazione senza verità non è pace, è solo un’illusione. Ed è per questo, fratelli e sorelle, che ancora oggi, dopo trent’anni di libertà, molti di noi attendiamo che vengano pronunciati i nostri nomi, che venga accesa una candela in nostra memoria, che lo Stato e il popolo croati riconoscano ciò che il nemico voleva nascondere per sempre: che esistevamo, che amavamo, che eravamo persone vive con famiglie, sogni e cuori pieni di fede. Pertanto, questa giornata e gli sforzi degli organi e dei funzionari statali che riconoscono l’importanza di una ricerca sistematica dei nostri luoghi di sepoltura risvegliano la speranza. Grazie a tutti coloro che riconoscono in questa cosa un sacro dovere umano, religioso e patriottico.

Poiché avete deciso di seppellire le nostre ossa oggi, quando i vostri calendari indicano che è la Giornata Europea in memoria delle vittime dei regimi totalitari e autoritari – nazismo, fascismo e comunismo – vogliamo dirvelo forte e chiaro: fascismo, nazismo e comunismo erano sistemi criminali, frutto di ideologie senza Dio che disprezzavano Dio e calpestavano l’uomo. Tuttavia, c’è una differenza. Fascismo e nazismo sono stati condannati dalla storia, e i loro criminali sono stati almeno in parte perseguiti e puniti. Ma il comunismo, sebbene abbia falciato il maggior numero di vite umane, le nostre, non è mai stato ufficialmente condannato, e i suoi autori non sono mai stati ritenuti responsabili. Testimonianza vivente di questo fatto è questo abisso, la foiba in cui 814 anime innocenti furono gettate e uccise: feriti, civili e suore. Eppure, nessuno è stato ritenuto responsabile per questo fatto. Il loro sangue, il nostro sangue, continua a gridare a Dio da questo luogo (cfr Gn 4,10). Questa verità brucia ancora oggi, poiché molti non vogliono ascoltarla. Ma è come un seme, sepolto in profondità, ma, una volta germogliato, nessuno potrà sradicarlo.

E allora, fratelli e sorelle, vi imploriamo da questa foiba: non abbandonateci al silenzio e all’oblio. Non riduceteci a numeri. Non fate di noi una nota a piè di pagina nella storia. Rendeteci parte della vostra memoria, delle vostre preghiere, della vostra fede. Quando, infatti, un popolo rinuncia ai suoi morti, rinuncia alla sua anima.

5. Siamo visibili a Dio
Gli uomini malvagi ci resero invisibili, ma noi non fummo mai invisibili a Dio. Ci vide mentre venivamo trasportati attraverso i corridoi in silenzio. Contò i nostri passi fino all’orlo dell’abisso. Udì ogni grido dall’oscurità. Ricevette le nostre ultime preghiere, così silenziose che solo i nostri angeli custodi poterono udirle. Conobbe ogni nostra lacrima, e ogni lacrima delle nostre madri, delle nostre mogli, dei nostri figli. Offrimmo tutto questo per la salvezza delle nostre anime, per il bene delle nostre famiglie, e per la libertà della nostra Patria.

Siamo scolpiti sui palmi delle mani di Dio (cfr. Is 49,16), e nessuno ci rapirà dalla Sua mano (cfr Gv 10,28). Il giorno del Giudizio Universale, quando Cristo, che è la Verità stessa, aprirà il Libro della Vita, tutto sarà svelato. Ogni criminale vedrà ciò che ha fatto. Ogni vittima riceverà la pienezza della giustizia. Allora si compiranno le parole dell’Apocalisse: «E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio né grido né fatica» (Ap 21,4).

La nostra vita non è scomparsa, è «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). E voi, i viventi, avete una missione: preservare la verità, essere un popolo che ricorda la propria storia. Non permettete mai che si ripeta un tempo in cui le persone vengano gettate nelle foibe semplicemente perché credono e amano.

Perdonate, ma non dimenticateci. Perché dimenticarci vuole dire ucciderci un’altra volta. Costruite la pace, ma sul fondamento della verità, poiché solo la verità vi farà liberi (Gv 8,32). Siate un popolo che non ha paura di guardare in faccia il proprio passato, poiché è così che si rafforza il futuro.

La nostra Patria non troverà la pace completa finché non avrà seppellito tutti i suoi morti, e non sarà accesa una candela in ricordo di ciascuno di loro.

E sappiate che noi, che essi volevano rendere invisibili, ora siamo davanti al volto di Dio, nella Luce che non si spegnerà mai. Noi, che essi gettarono nelle tenebre, ora camminiamo nella Luce dell’Agnello. Noi, che essi non poterono sopprimere con le menzogne, ora cantiamo il canto della Verità.

Non abbiate paura dell’oscurità di questo mondo, poiché la luce sta arrivando. Un giorno ci troveremo tutti dalla parte dove non c’è abisso, né morte, né ingiustizia, ma solo pace e gioia in Dio.

E quando sorgerà il giorno di Dio, della Giustizia e della Risurrezione, allora i nostri cari ci riconosceranno di nuovo. Allora insieme guarderemo alle ferite della nostra Patria come a segni di vittoria. Ogni foiba diventerà una sorgente d’acqua limpida, ogni lacrima versata brillerà come perla nel tesoro del Regno dei Cieli.

Fino ad allora, tutto ciò che vi resta da fare è camminare con fede e perseveranza. Sta a voi preservare la memoria, e non permettere all’oblio di inghiottire la verità. In ogni candela che accendete sulle tombe dei defunti, riconoscete un segno di speranza: la morte non ha l’ultima parola.

Chiediamo pertanto al Signore di concedere la pace nel Suo Regno a ogni anima la cui vita è stata stroncata con la violenza. Che la Luce perpetua splenda a essi, che Cristo, che è l’Alfa e l’Omega, sia loro ricompensa e corona. E a voi, che continuate a percorrere sul cammino della storia, che Egli sia la forza di vivere come un popolo grato per la memoria dei propri defunti, una memoria da cui nasce il futuro dei vivi. E quindi, che abbiano il riposo eterno, e che Cristo, il Signore Risorto, sia l’unica speranza e l’unica sicurezza per tutti. Amen.