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AFRICA

Lavigerie: "Missione è convertire i cuori"

Ad Algeri i Padri Bianchi, sulle tracce del vescovo di Nancy, portano il Vangelo e si prendono cura delle anime, prima della povertà.

Attualità 30_09_2011
Charles Lavigerie

La guerra in corso in Libia ripropone ancora il tema delle relazioni tra l’Europa e il “Continente nero”. I rapporti tra le due sponde del mar Mediterraneo sono stati spesso difficili, ma non mancano significative eccezioni, spesso nate grazie all’azione della Chiesa.

Un’esperienza che meriterebbe di essere conosciuta è quella dei cosiddetti Padri Bianchi, una congregazione religiosa dedita all’evangelizzazione dell’Africa fondata alla metà del XIX secolo dal cardinale Charles Lavigerie. Vescovo di Nancy e titolare della diocesi di Algeri (città in cui era stato personalmente come missionario), Lavigerie lanciò un ambizioso progetto al fine di dare vita a  forme di evangelizzazione dell’intera Africa, con una serie di proposte ed iniziative che andavano quindi ben oltre i confini della propria diocesi.

I Padri Bianchi fondarono villaggi cristiani, con case dignitose e si impegnarono nell’educazione dei giovani, compresi animisti e musulmani. Si lanciò un progetto di conversione dei berberi del Maghreb, che erano stati toccati solo marginalmente dalla diffusione dell’Islam in quelle zone, e partirono anche numerose missioni verso l’Africa equatoriale, zona ancora in parte inesplorata e che presentava numerosi pericoli. Si ottennero alcuni risultati, anche se non mancarono i martiri e le difficoltà dovute a un rapporto complicato con i colonizzatori, che da un lato garantivano ai missionari una certa sicurezza, dall’altro però rappresentavano l’altra faccia della presenza europea in Africa.

Significativi, e ancor oggi attualissimi, sono gli Ecrits d’Afrique (Scritti d’Africa) attraverso i quali il cardinale Lavigerie istruiva i Padri Bianchi inviati nelle varie zone del continente. Egli ribadiva in ogni occasione che “per riuscire a trasformare l’Africa, la prima condizione è di educare gli africani in modo tale da lasciarli veramente africani”, sottolineando che in genere questo non è stato fatto ed ammettendo anche gli errori commessi dalle proprie missioni.

Occorreva quindi che i giovani africani “anche quelli che dovranno diventare maestri o catechisti”  abbiano una posizione “che consenta loro di vivere con mezzi propri all’interno della società africana e, se possibile, una posizione onorifica all’interno di quella stessa società”, indicando come via privilegiata lo studio della medicina. Lavigerie aspirava infatti a formare un clero locale, che fosse quindi più vicino alle popolazioni e che togliesse alla Chiesa l’immagine di istituzione straniera.

Ma soprattutto Lavigerie condannava un approccio che è presente ancora oggi in larga parte dell’opinione pubblica occidentale: “Vi sono infatti due modi diversi di rendere gli uomini simili a noi. Il primo è quello di renderli simili a noi dall’esterno. È il modo di procedere umano, è quello dei colonizzatori filantropici che dicono che per cambiare gli africani è sufficiente insegnare loro arti e mestieri dell’Europa. Ciò equivale a credere che, quando avranno un’abitazione e dei vestiti e del cibo uguali ai nostri, saranno cambiati. Avranno cambiato solamente abito! Il loro cuore sarà barbaro come prima, anzi più barbaro: infatti sarà anche corrotto e porrà a servizio della corruzione tutti i segreti del lusso e della mollezza occidentali che avrà appreso”. Non è forse quello che è successo in tante dittature africane?

Ma ciò non deve scoraggiarci, anzi: esiste infatti anche “il modo di procedere di Dio”, che è completamente diverso: “L’apostolo, come Paolo, si rivolge all’anima e costringe sé stesso a rinunciare a tutte le proprie abitudini esteriori. Si fa barbaro con i barbari, greco con i greci. È ciò che hanno fatto gli apostoli: nessuno di loro ha cercato in primo luogo di modificare le abitudini materiali dei popoli. Hanno cercato di cambiare i loro cuori e, una volta cambiati i cuori, hanno rinnovato il mondo”.

Questo è quanto possiamo augurarci anche oggi per il bene dell’Africa: una presenza attiva dei cristiani che aiuti davvero questo continente così ricco e così tormentato a procedere verso un autentico sviluppo umano, che non può certo avvenire dall’esterno ma si può realizzare solo se –riprendendo le parole del cardinale- “cambieranno i cuori”.