RETROSCENA
L'attacco dei «volenterosi» non rispetta la Carta Onu
Violate le regole fondamentali stabilite all'Onu nel 2004 per poter deliberare interventi militari. E i diritti umani sono un pretesto.
Attualità
23_03_2011
Due punti del documento appaiono tra gli altri particolarmente rilevanti oggi.
Il rapporto ribadiva innanzi tutto la funzione del Consiglio di Sicurezza ONU come unica sede in cui discutere e deliberare interventi militari volti a fronteggiare minacce alla pace e alla sicurezza. Ma vi si diceva che, per essere considerato legittimo, un intervento armato deciso dal Consiglio doveva rispettare cinque condizioni e criteri fondamentali: effettuare una valutazione dell’entità della minaccia (genocidio, pulizia etnica, violazioni gravi dei diritti umani...); essere deciso non prima di aver esplorato tutte le possibili soluzioni alternative; porsi come unico obiettivo l’eliminazione della minaccia; assumere dimensioni, intensità e durata proporzionate alla minaccia stessa; e, infine, presentare sufficienti probabilità di produrre effetti migliori dell’assenza di intervento.
In secondo luogo il rapporto recepiva l’affermarsi di un nuovo principio: la responsabilità della comunità internazionale di proteggere le popolazioni vittime di genocidio e di estese violazioni del diritto umanitario. A tal fine il principio di non ingerenza espresso nell’articolo 2.7 dello Statuto delle Nazioni Unite doveva smettere di valere come pietra angolare e cedere di fronte alla priorità di tutelare i diritti umani: in nome del valore universale ad essi attribuito e in funzione della difesa della pace e della sicurezza internazionali messe a rischio. In altre parole, un principio cardinale, il non intervento negli affari interni di uno stato, si misurava con un altro, altrettanto fondante, la difesa di valori universali.
All’indomani della decisione del Consiglio di Sicurezza ONU di autorizzare la comunità internazionale a creare in Libia una no fly zone e a intraprendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili dalla controffensiva del governo libico, l’interrogativo era se la relativa risoluzione 1973 fosse stata presa nel pieno rispetto dei criteri suddetti: interrogativo poi superato dalla più grave eventualità che il mandato ONU venga tradito e che tale fosse l’intenzione fin dall’inizio, vista la decisione da subito espressa dai governi della coalizione “dei volenterosi” di cacciare il presidente Gheddafi comunque e a qualsiasi costo.
Tanto più aumenta l’apprensione per una violazione di regole fondamentali se trova conferma la notizia che il 20 marzo è stata negata l’autorizzazione a entrare in territorio libico, per incontrare i rappresentanti delle parti in conflitto, ai membri del Comitato ad hoc di alto livello per la Libia, l’organismo creato il 10 marzo dal Consiglio pace e sicurezza dell’Unione Africana proprio per avviare una mediazione tra i contendenti: iniziativa che sia il colonnello Gheddafi che il Consiglio nazionale di Bengasi avevano accolto favorevolmente.
Se poi la ben condivisibile priorità di tutelare i diritti umani a scapito della sovranità nazionale, ponendo in subordine il principio di non ingerenza, risultasse presa a pretesto e se si scoprisse, in aggiunta, che nessun piano è stato predisposto per il dopo Gheddafi, esponendo quella stessa popolazione che si intende tutelare alla prospettiva tutt’altro che remota di una ingestibile guerra civile tra capi clan, allora il ruolo delle Nazioni Unite e la credibilità dei suoi organi ne verrebbero ulteriormente sminuiti.
Già la fiducia nel Palazzo di Vetro è incrinata ormai da tempo dalla sua sistematica inadeguatezza. Basti pensare, ad esempio, che come unica arma contro Omar Hassan el Bashir, il presidente del Sudan responsabile non di alcune decine, ma di milioni di morti e nel corso di decenni, l’ONU ha saputo usare solo l’accusa di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità presso la Corte penale internazionale: l’inutile mandato di cattura internazionale spiccato nel 2009 non ha neanche mpedito a el Bashir di ricandidarsi nel 2010 alla presidenza e vincere.