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AUSTRALIA

L'assurda guerra trans all'allattamento al seno

Le volontarie dell’Australian Breastfeeding Association (Aba) sono prese di mira perchè dicono che l'allattamento al seno è una prerogativa femminile. È sempre più chiaro che il sonno della ragione genera «linguaggio inclusivo». 

Vita e bioetica 08_08_2021

Se solo qualche anno fa qualcuno avesse avanzato il dubbio che l’allattamento al seno sia una prerogativa femminile - e solo femminile -, sarebbe stato gentilmente invitato a recarsi da uno psichiatra. Dato che però, come si suol dire, «i tempi cambiano» e «la società va avanti», ecco che ad essere messi sotto esame, oggi, sono paradossalmente proprio quelli che ritengono l’allattamento una cosa materna. Esagerazioni? Purtroppo no.

A provarlo è un approfondimento che Anna Slatz, sul sito femminista 4W, ha realizzato raccontando ciò che stanno vivendo le volontarie dell’Australian Breastfeeding Association (Aba), associazione australiana per l’allattamento al seno fondata nel 1964 da sei mamme di Melbourne e forte, oggi, di oltre 1.100 associati.

In breve, la Slatz è entrata in contatto con Brenda - nome fittizio di una di queste volontarie, che preferisce restare nell’anominato – la quale ha raccontato che da quando, nel novembre 2020, i vertici di Aba hanno annunciato una svolta verso un uso del «linguaggio più inclusivo», i malumori interni all’associazione sono stati molti. «Questa novità sul linguaggio», sono le parole della donna, «è stata strutturata per far vergognare i consulenti che usano il linguaggio da madre a madre, portandoli al silenzio» all’insegna di «un linguaggio neutro rispetto al genere».

Non solo. I volontari e membri di Aba inizialmente che si sono opposti a tale novità, sono stati immediatamente condannati dagli attivisti Lgbt di fatto permeati nell’associazione. Molte delle volontarie hanno difatti affermato di essersi sentite «bullizzate» dagli attivisti, e alcuni dei consulenti sono stati persino formalmente indagati per il loro rifiuto del citato «linguaggio neutro rispetto al genere».

In particolare, quando i militanti Lgbt hanno visto che in Ama c’erano delle perplessità anche forti verso la svolta gender, hanno avanzato – rivela sempre Brenda - «una tonnellata di lamentele formali contro i volontari che avevano alzato la testa e usato la parola madre durante la consulenza come siamo specificamente formate a fare!». Nonostante queste resistenze interne, tra i vertici Aba e il mondo Lgbt l’alleanza si è rafforzata ed è confluita nella realizzazione di un libretto di 124 pagine in cui si afferma che «molti genitori possono nutrire il loro bambino o i loro bambini con latte umano».

L’alleanza innaturale e forzata tra l’estremismo arcobaleno e l’associazione insomma continua ed è, anzi, più solida di prima. Tutto questo a dispetto della ricordata opposizione da parte di non poche consulenti, e del fatto che la «svolta inclusiva del linguaggio» interessi in realtà un numero assai ridotto di situazioni. Quante? Secondo i dati australiani, nell’anno 2019 appena 22 – su 305.000 parti – hanno riguardato uomini trans.

Ciò significa che, in Australia, si sta censurando ogni discorso sull’allattamento che non sia politicamente corretto a presunto beneficio di molto meno di un caso su 100. Ora, che cos’è tutto questo se non ideologia? E, soprattutto, quali danni e quali clima d’odio può mai generare il ricordare che la maternità, e quindi anche l’allattamento, rappresenti un fenomeno tipicamente femminile?

La sensazione è che si stia realizzando quando notato da Frank Furedi, sociologo dell’Università del Kent il quale ha osservato come, se dapprima l’idea di certi ambienti era che il sesso fosse una realtà biologica e il genere una costruzione sociale, ora quella che si sta facendo largo è la convinzione che il genere sia un dato oggettivo e il sesso biologico una mera costruzione. Con l’assurda conseguenza che tutto, ma proprio tutto, debba essere messo in discussione. Anche se si tratta di dati di realtà osservabili da chiunque e che nulla hanno a che vedere con la discriminazione. A meno che non si pensi che sia la stessa natura ad essere discriminatoria e dover essere combattuta, cosa che in effetti si sta facendo. Chi lo avrebbe mai detto, che il sonno della ragione genera «linguaggio inclusivo».