Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
LA STRAGE

Las Vegas: Isis rivendica ma il movente è ancora oscuro

Las Vegas, un tiratore spara sulla folla in un concerto country da una finestra dell'hotel Mandalay: decine di morti e centinaia di feriti. L'unico indiziato è il pensionato Stephen Paddock, 64 anni, nessun precedente penale. L'Isis rivendica, ma l'Fbi lo esclude. E quindi qual è la causa di tanto male?

Esteri 03_10_2017
Pubblico in fuga a Las Vegas

Una strage immane, la peggiore nella storia recente degli Usa fra quelle provocate da singoli attentatori: a Las Vegas, un tiratore appostato al 32mo piano dell’hotel Mandalay ha sparato sulla folla di 22mila persone radunatasi ad assistere a un festival di musica country facendo decine di morti (58, secondo un bilancio ancora provvisorio) e più di 500 feriti.

Per provocare un massacro di queste dimensioni, il tiratore ha dimostrato freddezza e una grande precisione. Eppure il suo curriculum non fa pensare a nulla che si avvicini a un terrorista o a un militare delle forze speciali prestato al crimine. L’indagine dell’Fbi indica un unico sospetto, con prove schiaccianti: un pensionato di 64 anni, incensurato, originario della Florida, di nome Stephen Paddock. Si è suicidato poco prima che la polizia facesse irruzione nella sua stanza d’albergo. Lo hanno trovato morto, con “almeno” dieci fucili di vario tipo e letteralmente una montagna di munizioni. Nel corso dell’attacco avrebbe sparato centinaia di colpi. Secondo le indagini, che sono appena agli inizi, avrebbe agito da solo. Inizialmente si è seguita anche la pista di una complice, una donna di origine asiatica di 62 anni, vista in auto assieme a lui il giorno stesso. Ma per ora l’Fbi esclude che sia parte del suo piano. Il fratello di Stephen Paddock, intervistato da tutti i media americani, dice di essere letteralmente cascato dalle nubi. Un paio d’anni fa aveva aiutato Stephen a trovare casa vicino a Las Vegas, perché voleva fuggire all’umidità della Florida e perché amava giocare al videopoker. Attualmente viveva a Mesquite, in Nevada, non lontano da Las Vegas. Amava la musica country, come quella che veniva suonata nel corso della sua strage. Aveva il brevetto di volo e ha posseduto due piccoli aerei nel corso della sua vita. Nulla faceva presagire un futuro criminale.  Non ci sono elementi per ipotizzare suoi contatti con gruppi estremisti, interni o internazionali. Sebbene inizialmente si fosse diffusa la voce che fosse “attenzionato” dalla polizia, in realtà il pensionato Paddock era incensurato, compariva in appena una “citazione” nei rapporti di polizia, per fatti di “ordinaria amministrazione”, cioè una multa per infrazione automobilistica. Il padre di Paddock, semmai, era stato in carcere per rapina in una banca ed era evaso. Era stato diagnosticato "psicopatico". Il figlio era invece descritto come un tipo tranquillo, troppo tranquillo. "Casa sua era come vuota, ogni persona può avere dei momenti in cui appare scontrosa, ma in lui vedevo il nulla", dice del futuro presunto stragista una sua vicina di casa. La sua compagna di vita è la stessa donna che è stata vista in auto con lui, nel giorno della strage. Sentita dalla polizia è stata poi prosciolta dalle accuse di complicità. Paddock deve aver concepito ed eseguito tutto da solo.

Come mai così tante vittime con un solo tiratore? La strage di Las Vegas è, ad oggi, la peggiore nel suo genere. Batte di gran lunga la strage nella scuola Columbine (13 vittime), quella di Sandy Hook (27), Virginia Tech (32) e anche l’attentato di Orlando (49 morti). Come è stato possibile? In questo caso l’attentatore si è appostato in una posizione elevata e difficilmente individuabile. Il suo bersaglio era una grande massa di 22mila persone sotto il tiro delle sue armi. E soprattutto: erano persone colte completamente di sorpresa che, non solo non si aspettavano di andare incontro alla morte, ma non si sono neppure accorte che la strage era già iniziata. Secondo una testimonianza che è ancora da verificare, una donna avrebbe cercato di dare l’allarme, gridando “morirete tutti”: non solo non è stata creduta, ma anche scortata fuori dall’area del festival dalla sicurezza. Mentre sul palco si stava esibendo il cantautore country Jason Aldean, sul pubblico sono letteralmente piovute le prime raffiche di arma automatica. L’esibizione è continuata, il pubblico ha creduto che fosse iniziato uno spettacolo pirotecnico, mentre le prime vittime cadevano sotto i colpi. Poi Aldean è fuggito dal palco ed è scoppiato il panico. Le immagini mostrano scene di fuga e centinaia di persone che si rannicchiano a terra. Tutti sono diventati bersagli.

Si è trattato dunque di un’azione compiuta a freddo e con tutte le caratteristiche di un attentato accuratamente pianificato. Stephen Paddock è entrato in hotel lo scorso 28 settembre, avrebbe impiegato questi quattro giorni per compiere sopralluoghi e preparativi necessari. Evidentemente, pur essendo dotato di “almeno” dieci armi a canna lunga e di montagne di munizioni, non ha destato alcun sospetto al personale dell’hotel Mandalay. Ma perché? Il movente è il vero grande mistero di questo dramma americano. La narrativa politica, a partire dalle dichiarazioni dell’ex vicepresidente Joe Biden, si è lanciata di nuovo sulla polemica sulle armi da fuoco “troppo libere”. E’ già partita la polemica contro il presidente Donald Trump, strenuo difensore del Secondo Emendamento (libertà di portare armi). Ma le armi sono mezzi con cui le stragi si compiono. Non la causa. Che cosa c’era nella mente di chi ha premuto il grilletto? Non erano passate ancora dodici ore che subito lo Stato Islamico rivendicava tramite la sua agenzia Amaq: Paddock è stato descritto come “un soldato del Califfato”, convertito all’islam pochi mesi fa. Tuttavia l’Fbi ha escluso (almeno per ora) un suo collegamento con la rete del terrore internazionale. Nonostante non vi siano elementi per affermarlo, una conversione finora ignorata e un legame con l’Isis non sono da scartare a priori. Ma spetta allo Stato Islamico, adesso, mostrare le prove del suo grande “successo”, fornendo almeno un testamento video o il giuramento dello stragista al Califfato. Ad oggi non si è visto nulla di simile. Altre cause possibili sono totalmente ignote. Ad ora non sono stati trovati, né un testamento, né una dichiarazione di intenti. Sarebbe troppo comodo parlare di “follia”: come minimo il tiratore di Las Vegas era un folle alquanto “lucido”, vista la capacità dimostrata. Il presidente Trump, annunciando un giorno di lutto, lo ha definito un “atto di pura malvagità”. Ed è su questa malvagità, sulla sua natura, sulla sua origine, che dovrà indagare l’Fbi.