L'arte delle icone, la pittura che si fa preghiera
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Nel 2024 come al tempo dei Padri: sono ancora molti gli iconografi che, attraverso un processo insieme artistico e spirituale, ci permettono di godere di una bellezza che trascende le mode e il vuoto.
Anno Domini 2024. Mentre l’arte contemporanea è sempre più orientata al concettuale e allo scioccante, l’imperitura bellezza delle icone sacre rimane ben viva grazie a numerosi artisti – umili eppur bravissimi – che tuttora scrivono (è il termine specifico usato per quest’arte!) icone usando tecniche risalenti all’epoca dei Padri della Chiesa (se ne può avere una panoramica nel sito sito Iconografi - iconecristiane.it).
Scrivere un’icona religiosa è molto complesso perchè richiede grande pazienza e desiderio profondo di trasformare il processo artistico in un atto di preghiera. Esistono, come si vede sul sopracitato sito, ancora oggi maestri iconografi in grado di insegnare questa preziosissima arte, ma è un lusso riservato alle anime più riflessive: una singola opera, per essere compiuta, richiede mesi di lungo lavoro e attesa. Per realizzare questi capolavori in modo conforme alla tradizione bisogna infatti adoperare materiali preziosi, come la foglia d’oro e produrre da sé i colori. La pittura sacra, oltre che atto moralmente buono, diviene anche strumento di trascendenza sia per il soggetto raffigurato che per l’intero processo creativo. Il processo di creazione di un'icona richiede precisi passaggi che sono stati codificanti nei secoli dei secoli e trovano la loro summa nel libro Canone dell’icona (῾Ερμηνεία τῆς ζωγραϕικῆς τέχνης), un manuale di arte sacra redatto dal monaco del Monte Athos Dioniso da Furnà (1700-1733). Questo importante testo per la scrittura delle icone sacre è valido ancor oggi.
La prima fase per la scrittura di un’icona consiste nella preparazione della tavola di legno, che viene trattata con strati di gesso o altro materiale per creare una superficie liscia e uniforme su cui dipingere. Poi si fa il disegno preliminare e in seguito le parti dorate, come l’aureola, vengono ricoperte con foglia d'oro. Poi vi è la fase della colorazione, realizzata con pitture tradizionali e pigmenti naturali fatti a mano. Ogni colore e ogni dettaglio, nelle icone, sono significativi e hanno un preciso scopo simbolico. In seguito vi è l’aggiunta dei dettagli finali come le linee di contorno, i tratti di luce e ombra per accentuare la profondità e la tridimensionalità delle vesti e degli sfondi. Infine, l'icona viene verniciata e sigillata per proteggere la pittura e rendere eterni i colori. In molti casi vengono anche aggiunte preghiere o testi sacri sul retro dell'opera e, soprattutto nel mondo ortodosso, venivano benedette dal patriarca. In passato vi era l’usanza, da parte dell’artista, di non firmarla col proprio nome in quanto il desiderio ultimo era rendere onore a Dio e non a sé stessi e alla propria bravura artistica. Nell’ottavo Concilio Ecumenico dell'869-870 (il IV di Costantinopoli), dopo la crisi iconoclasta i padri conciliari hanno infatti dichiarato: «Ordiniamo di venerare le sacre icone di Nostro Signore Gesù Cristo e tributare loro lo stesso onore che riconosciamo ai libri dei Sacri Vangeli. Poiché, come ognuno raggiunge la Salvezza attraverso la Parola proclamata in essi, così tutti, i sapienti tanto quanto gli ignoranti, ottengono il loro premio spirituale tramite l’effetto visivo dei colori».
Le icone sacre, nel loro pudico silenzio, sono testimoni preziose del Vangelo nei secoli dei secoli e il fatto che ancora oggi vengano realizzate con le tecniche di 1500 anni prima è un modo con cui suggellare l’eterno in un’immagine. Esse sono delizia per gli occhi e strumento pedagogico con cui istruire lo spirito ai più importanti temi teologici della fede. Le icone non sono solo ornamento, ma anche strumento per elevare l’anima dell’artista (e dell’osservatore) avvicinandola alle Scritture.
Il più influente pittore di icone è Andrej Rublëv, monaco ortodosso vissuto nel XIV secolo. Nato probabilmente intorno al 1360, Rublëv visse in un'epoca turbolenta della storia russa, segnata dalla dominazione mongola e dalle lotte interne tra principati. Nonostante questo contesto difficile, Rublëv riuscì a sviluppare uno stile artistico unico e raffinato, caratterizzato da una profonda sensibilità spirituale e da una straordinaria maestria tecnica che, attingendo dal passato, rimane vivo ancor’oggi. Le scuole odiere si ispirano al suo operato. Sulla sua vita esiste un film del regista russo Andrej Tarkovskij e la sua Trinità è definita “icona delle icone”.
Il fatto che Andrej Rublëv sia russo non deve far credere a noi cattolici occidentali che questa preziosissima tradizione artistica sia un’esclusiva orientale, tanto più che essa risale a ben prima del 1054, e pertanto è un patrimonio comune a Oriente e Occidente.
La bellezza delle icone, rimaste praticamente immutate dal Concilio di Nicea del 325 ad oggi, trascende le mode effimere e passeggere. Dopo la morte di Dio di nietzschiana memoria non poteva che subentrare, anche artisticamente, la morte dell’uomo. Nelle arti figurative contemporanee la perdita del sacro e la conseguente perdita dell’umano si manifestano nella dissoluzione della figura dell’uomo. Già Edvard Munch, con il suo urlo, aveva espresso l’angoscia della perdita di senso e, infatti, nel suo celebre quadro l’uomo ha perso la propria bellezza cessando di apparire come fatto ad immagine e somiglianza di Dio.
L’arte, piaccia o meno, è anche modo di vedere il mondo. L’arte sacra, e in particolare le icone, con il loro metodo di realizzazione ben codificato, sono un eterno antidoto al vuoto e al caos dell’era post-moderna. Che l’arte, quindi, torni ad essere lode a Dio e non solo strumento con cui esprimere la vana autoreferenzialità degli artisti.
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Tra i vari tipi d’icona che raffigurano la Madonna, l’Odigitria, colei che indica la strada (Gesù), è da sempre una delle più venerate in Oriente e Occidente. Anche a Bologna, nel Santuario di San Luca, se ne può ammirare una. Bellissima pure l’Eleousa, la Madonna della Tenerezza, che ben esprime il legame d’amore tra Madre e Figlio. Esempio ne è l’icona custodita a Cambrai e cara a santa Bernadette.
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