Lapidazioni, il nuovo che avanza in Afghanistan
A cosa sono serviti 12 mesi di guerra e 3400 morti di cui 53 italiani? A far ripristinare la sharia in Afghanistan, compresa l'odiosa pena della lapidazione per le adultere e le pene corporali per chi beve alcool.
Oltre 3.400 militari alleati uccisi, 53 dei quali italiani, in dodici anni di guerra costati all’Occidente centinaia di miliardi di euro (6 spesi dall’Italia) per ritrovarci con un Afghanistan sempre più simile a quello dei talebani. Mentre il ritiro delle truppe della coalizione procede a rapidi passi il Paese asiatico regredisce con altrettanta velocità facendo tramontare le speranze che a Kabul possa regnare una forma di democrazia rispettosa dei diritti umani e dei principi basilari della Dichiarazioni universale dei diritti dell’uomo. Dopo i negoziati con i talebani, passati dallo status di nemici da annientare a interlocutori contesi tra statunitensi e governo afghano, dopo le pressioni sul governo pakistano affinché liberasse i leader degli “studenti coranici” in carcere a Islamabad, ieri il ministero della Giustizia afghano ha confermato l’istituzione di commissione speciale che sta mettendo a punto le modifiche al Codice penale per ammettere legalmente "la lapidazione fino alla morte" nei casi di adulterio.
Una pratica prevista dalla sharia applicata regolarmente all’epoca del regime talebano, tra il 1996 e il 2001, poi soppressa dalle nuove leggi afghane ispirate agli standard occidentali e ora in fase di restaurazione ad opera del governo del presidente Hamid Karzai. Ashfar Azimi, capo del dipartimento di diritto penale del ministero, ha confermato alla France Press che il progetto di revisione prevede "l'attuazione della lapidazione, che dovrà avvenire in apposite aree pubbliche” per le persone sposate mentre le persone nubili o celibi colpevoli del reato morale di aver praticato sesso prematrimoniale verranno punite con cento frustate.
Un'iniziativa che non sembra aver scosso i governi statunitense ed europei, che sostengono con armi, soldati e denaro il governo afghano, ma che ha fatto insorgere Human Rights Watch. In coincidenza con la Giornata internazionale dell'Onu contro al violenza sulle donne, Hrw ha rivolto un appello al governo di Kabul e ai Paesi che lo assistono finanziariamente “affinché impediscano il ripristino di una misura che riporterebbe le leggi afghane a quando i talebani erano al potere”.
Nonostante la lapidazione sia vietata, negli ultimi anni non sono mancati casi in cui la barbara pena è stata applicata su ordine delle autorità tribali in aree rurali o in zone amministrate dai talebani e nel luglio scorso una donna di 21 anni è stata lapidata in un villaggio a nord di Kabul in mano ai talebani scatenando qualche protesta internazionale. Il ripristino della lapidazione da parte del governo la dice lunga sulla debolezza di Karzai e delle istituzioni che a fronte del ritiro delle truppe alleate rinunciano progressivamente alle conquiste democratiche e libertarie per cedere alle pretese dei talebani e dei leader tribali, ben determinati a mantenere attraverso la sharia i sistemi di controllo sociale più arcaici.
«I donatori devono chiarire che il sostegno internazionale non è un assegno in bianco» ha dichiarato Brad Adams, direttore di Hrw in Asia ricordando che gli aiuti finanziari concessi a Kabul sono legati a progressi sui fronti dei diritti umani e della lotta alla corruzione. Oltre a ristabilire le pene “talebane” per l'adulterio, il ministero della Giustizia prevede di ripristinare anche le pene previste dalla sharia per ladri, rapinatori e persino per chi beve alcolici.
Oltre che sul campo di battaglia, la sconfitta più evidente nella guerra afghana emerge proprio dalla regressione legislativa e sociale in atto nel Paese dove si registra oggi il record delle coltivazioni di oppio, i talebani stanno riconquistando le regioni dalle quali la Nato si è già ritirata e il numero di civili e militari di Kabul uccisi è in continua crescita. L’Occidente raccoglie i frutti della decisione di Barack Obama di annunciare nel 2010 che le truppe alleate avrebbero iniziato il ritiro dall’anno successivo. Un autogol che ha condannato alla sconfitta le forze della Nato rendendone inutile la missione e che ha indotto Karzai e la leadership afghana a strizzare l’occhio ai talebani e islamisti in genere per cercare di sopravvivere alla fase seguente il ritiro americano.
Kabul e Washington, da tempo ai ferri corti, non sono riusciti neppure ad accordarsi sulla missione di supporto e addestramento che dovrebbe restare in Afghanistan dal 2015. L’accordo bilaterale di sicurezza in realtà è stato già messo a punto e prevede la presenza di circa 10mila militari alleati, per lo più statunitensi ma anche tedeschi e italiani (Roma e Berlino si sono impegnati a mantenere missioni addestrative a Herat e Mazar-i-Sharif con circa 800 militari nel triennio 2015-17) ma non c’è ancora l’intesa sui tempi della ratifica. Karzai vorrebbe rinviare la firma a dopo le elezioni presidenziali del prossimo aprile, quando a Kabul siederà un nuovo presidente, e chiede la liberazione di tutti i detenuti del carcere speciali di Guantanamo. Washington non vuole saperne e pretende che l’accordo venga ufficializzato entro dicembre. Senza una firma dell'accordo entro la fine dell'anno, ha detto lunedì a Kabul il Consigliere per la sicurezza nazionale, Susan Rice, “gli Stati Uniti non avranno altra scelta che avviare la pianificazione per un futuro post-2014 in cui non ci saranno truppe Usa o della Nato in Afghanistan”. La cosiddetta “opzione zero”, già attuata dall’Amministrazione Obama in Iraq nel 2011.