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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

UN NUOVO ERRORE

L’animalismo dolce di Martha Nussbaum

Secondo gli animalisti l’uomo sarebbe solo un animale particolarmente evoluto. Ora, con autori come la Nussbaum, si mira all’assimilazione concettuale animale-persona. Solo ricordando l’esistenza nell’uomo di un’anima razionale si possono confutare questi errori.

Dottrina sociale 11_01_2024
Martha Nussbaum (licenza CC)

Nel numero di gennaio 2024 de “La Bussola mensile”, la nuova rivista di apologetica, ho dedicato un articolo alla differenza tra animale e uomo, sostenendo che se non si arriva a dimostrare l’esistenza dell’anima non si riesce ad ovviare alle tesi degli animalisti secondo i quali l’uomo sarebbe solo un animale particolarmente evoluto e sofisticato ma non altro.

Un articolo di Paul Sugy, pubblicato nel numero attualmente in circolazione della rivista cattolica francese “Liberté politique” [L’antispécisme, une idéologie qui entend déconstruire l’idée d’humanité, “Liberté Politique”, n. 97, Octobre 2023, pp. 69-76], espone tutti i motivi per i quali l’attuale animalismo tende all’antispecismo, ossia alla negazione della diversità tra la persona umana e gli animali, così decostruendo l’idea di umanità. La descrizione del problema da parte di Sugy è convincente. Egli ricorda le tesi di Peter Singer e del suo Animal liberation del 1975, aggiornato nel recente libro Animal liberation now, e la decostruzione dell’umano di Jacques Derrida che poneva la dignità animale sullo stesso piano di quella umana. Il motivo di fondo era ispirato al criterio fondamentale dell’utilitarismo empirista, ossia il piacere e il dolore. Siccome gli animali sono esseri senzienti e provano dolore, tutte le azioni che provocano dolore ad un animale sono immorali (però sia Singer che Derrida sono a favore dell’aborto).

Come si vede – e come denuncia Sugy – il criterio è biologico, ma la biologia non è l’unico modo di considerare la persona umana o lo è solo assumendo un’ideologia “zoocentrica”, un’ossessione per l’animalità. Ossessione che ha mosso diversi gruppi animalisti militanti a paragonare la sorte degli animali negli allevamenti a quella degli Ebrei nella Seconda guerra mondiale, associando tra loro allevamento e Olocausto.

Più di recente, Giorgio Vallortigara, con il suo libro Il pulcino di Kant (Adelphi), o Carl Safina con Animali non umani (Adelphi) puntano ad una superiore valorizzazione degli animali, capaci secondo loro perfino di relazioni di tipo familiare e pacifico. L’utilitarismo di Singer e la decostruzione dell’umano di Derrida appaiono, in questo confronto, come troppo elementari e negativi.

Ora è arrivata anche Martha Nussbaum, la nota moralista dell’Università di Chicago, con il suo libro Giustizia per gli animali. La nostra responsabilità collettiva, edito in Italia da Il Mulino che utilizza il criterio dell’approccio alle capacità. Anche gli animali sono strutture complesse che cercano di raggiungere i loro fini caratteristici con l’ausilio della percezione, dell’immaginazione e del pensiero. Essi provano paura, gioia, sorpresa e dispiacere. Nasce un nostro dovere nei confronti degli animali di garantire loro un contesto naturale non contaminato in cui perseguire i loro piani di vita. Il tempo della lotta all’allevamento intensivo è ormai superato, e il percorso verso l’assimilazione dell’animale alla persona ha fatto passi da gigante. Per questo, come si diceva all’inizio, la questione dell’anima dell’uomo diventa centrale. La Nussbaum si dichiara di formazione aristotelica, ma era proprio lo Stagirita a differenziare l’anima intellettiva dell’uomo da quella sensitiva dell’animale. (Stefano Fontana)