L’alluvione e il Crocifisso che ricorda la via per la salvezza
In mezzo alle devastazioni, con oltre 180 vittime, causate dalle alluvioni dei giorni scorsi in Belgio e Germania, c’è un segno che si staglia a Weindorf Rech: Gesù Crocifisso, con accanto la Madre e san Giovanni. Un segno che sta lì a ricordare, alla “sapienza” del mondo che rifiuta la Croce, la via stretta che conduce alla salvezza. Eterna.
Le parole di Gesù non lasciano spazio a equivoci: è la via stretta che conduce alla salvezza; è abbracciando la Croce che si segue il Signore; è perdendo la propria vita per Lui che la si custodisce per la vita eterna. Esattamente il contrario di quanto il mondo da sempre diffonde con i suoi strilloni e pifferai.
A noi, poveri mortali e di fede misera e traballante, sembra sempre che la via della Croce sia pericolosa, incerta, in ultimo fallimentare. La lasciamo volentieri percorrere a qualche santo, che in cuor nostro riteniamo però un kamikaze un po’ fanatico, che non ha senso pratico e che è un po’ fuori dalla realtà. Continuiamo sempre a pensare, dopo duemila anni di cristianesimo, che chi è appeso alla Croce è un condannato e non il Salvatore. Insomma, che la Croce (in astratto) sia la salvezza, può anche andarci bene, ma che la nostra croce, quella che ci viene preparata dalle ingiustizie, dallo scherno, da errori fortuiti o voluti, sia la nostra ancora di salvezza, allorché l’abbracciamo per abbracciare la volontà del Padre, questo lo consideriamo eccessivamente al di sopra di quanto possa essere ragionevolmente richiesto ad un cristiano.
Eppure i Padri consideravano veramente la Croce come l’unico mezzo per non naufragare nel mare di questo mondo. «Perché - spiegava sant’Agostino - se nella barca corriamo pericoli, fuori dalla barca andiamo incontro a una morte sicura. In realtà, per quante forze abbia nei muscoli delle braccia chi nuota nel mare, talora, sopraffatto dal mare grosso, viene inghiottito dalle onde e affoga. È necessario quindi che siamo nella barca, cioè siamo portati sul legno per essere in grado di attraversare questo mare. Orbene, questo legno, dal quale viene portata la nostra debolezza, è la croce del Signore, con la quale veniamo segnati e veniamo preservati dall’annegare nelle tempeste di questo mondo» (Discorsi 75, 2, 2).
Sono oltre 180 i morti per le alluvioni che negli scorsi giorni hanno travolto alcuni paesi delle regioni tedesche della Renania-Palatinato, Nordreno-Vestfalia e del Belgio. Un improvviso mare di fango e detriti che ha sommerso campi, abitazioni e persone, perlopiù rimaste intrappolate nei propri appartamenti. In questo inferno d’acqua, il segno di Weindorf Rech (qui una foto di qualche tempo prima dell'alluvione), questo piccolo gioiello della Renania-Palatinato bagnato dal fiume Ahr, si staglia in tutta la sua mesta e maestosa imponenza. La distruzione, la morte, il disastro si fermano lì, nella prossimità della Croce di Cristo, senza poter lambire non solo la Croce stessa e il Crocifisso, ma anche la Madre e il Discepolo amato, che, sfidando ogni logica umana, hanno creduto che il loro rifugio fosse proprio lì dove umanamente non vi si vede che disperazione e morte.
Il segno di Weindorf Rech è il rovesciamento totale della sapienza umana, “creatrice” di un mondo che ha fatto della fuga dalla Croce di Cristo il suo emblema, spingendosi fino alla derisione e alla blasfemia della sapienza di Dio. Ci è stato detto di fuggire lontani da quella Croce, verso un avvenire di libertà e piaceri. E noi, sciocchi, a seguire queste sirene. Ci siamo seduti a gozzovigliare alla mensa succulenta imbandita per noi, uomini adulti e illuminati del XXI secolo, ubriachi del vino dello scientismo, impinguati fino alla nausea dai cibi grassi delle false sicurezze mondane. Come ai tempi di Noè e di Sodoma.
E adesso non è il cambiamento climatico a presentarci il conto, ma la misericordia di Dio, che per il nostro eterno bene deve spazzar via la nostra vana sicurezza, abbattere il nostro saccente orgoglio. E mostrarci ancora una volta che non c’è altra salvezza che nella Croce del Signore Nostro Gesù Cristo.
No, non ce n’è altra. La Croce rimane lì, a impedire alla marea sempre più crescente del male di prevalere. La nostra salvezza non è fuggirla, non è temerla, ma stringersi ad essa, sopportando con amore e pazienza lo scherno e l’incomprensione del mondo.
La sentenza è inesorabile e nessuna presunta pastorale di apertura al mondo la potrà cambiare: «La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio [...] Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (cfr. 1 Cor 18-25).