L'alleanza jihadista fra Isis e Uck minaccia l'Italia
Lo scenario jihadista albanese conferma i suoi stretti legami con l'Italia. Lo attestano gli ultimi arresti, eseguiti a Milano, Bergamo e Grosseto. Si tratta della punta dell'iceberg di un movimento più vasto, in Albania, dove le ex milizie indipendentiste dell'Uck stringono legami con i neo-arrivati dell'Isis.
Lo scenario jihadista albanese conferma i suoi stretti legami con l'Italia: la Digos di Milano ha eseguito 10 ordinanze di custodia cautelare e perquisizioni nelle province di Milano, Bergamo, Grosseto e in una cittadina dell'Albania. A finire in manette dovrebbero essere quattro italiani, un canadese e cinque albanesi, appartenenti a due diversi nuclei famigliari che in comune hanno la parentela con una coppia partita per andare a combattere il jihad in Siria.
Si erano fatti notare Maria Giulia Sergio (diventata Fatima Zarha, una volta convertita) e Aldo Kobuzi, marito e moglie che pochi mesi fa avevano deciso di partire dalla Toscana verso la Turchia, per poi attraversare il confine siriano. Ora si troverebbero a Raqqa, da dove comunicano entusiasticamente alle famiglie le gesta del Califfo e dei mujāhidīn: “È finito il tempo che il musulmano sta nella terra della miscredenza, quello era il tempo dell'ignoranza, adesso c'è il khalifa”, dice Fatima alla madre in una telefonata via Skype. I genitori e la sorella della ragazza, anch'essi convertiti all'islam, decidono di raggiungerla, ottengono il rilascio del passaporto, ma gli investigatori della Digos li fermano ieri, eseguendo l'ordinanza emessa dalla procura di Milano. Vengono arrestati anche due parenti del marito di Fatima: la zia 41enne Arta Kacabuni, a Scansano, e lo zio 37enne Baki Coku, residente ad Arcille di Campagnatico (Grosseto) che si trovava a Lushnje, cittadina a 70 chilometri da Tirana, e che verrà estradato dopo le dovute procedure giudiziarie. Rimangono ricercati Maria Giulia, il marito, la cognata e la reclutatrice canadese Haik Bushura, che sarebbe la responsabile della conversione dell'intera famiglia Sergio. A tutti viene contestato l’articolo 270 bis, associazione a delinquere finalizzata al terrorismo.
Ma questa storia è solo l'ultima conferma del fatto che l'islam radicale albanese ha puntato l'Italia come fertile bacino di reclutamento. A fine marzo erano finiti in manette Alban ed Elvis Elezi, zio e nipote albanesi, in un'operazione della polizia coordinata dalla procura di Brescia che li accusava di propaganda e reclutamento con finalità di terrorismo. Erano loro i responsabili della partenza per la Siria di Anas El Abboubi, cittadino italiano di origine marocchina residente a Vobarno (Brescia). Sempre loro avevano convinto un minorenne tunisino residente a Como ad aderire al Califfato: Alban era venuto in Italia proprio per incontrarlo. “L'Albania inoltre -spiega Giovanni Giacalone, ricercatore dell'Ispi (Istituto per gli studi di politica Internazionale)- risulta essere il punto di partenza anche per alcuni jihadisti europei, che utilizzano l'Italia come luogo di transito. Sarebbero due le vie battute: una via mare, su navi appartenenti a privati albanesi che attraccherebbero nel porto di Durazzo. L’altra via è quella aerea; i volontari partirebbero da aeroporti italiani secondari per raggiungere Tirana dove sosterebbero ospiti di alcune famiglie salafite, per poi proseguire verso la Turchia”.
Ma ciò che più preoccupa è il profilarsi sempre più netto di uno scenario nuovo, in cui gli interessi del crimine organizzato, dell'Uck (esercito di liberazione operante anche in Kosovo e in Macedonia, mirante alla costruzione della Grande Albania) convergono con quelli dell'Isis. Sempre a fine marzo infatti, la polizia albanese ha posto sotto sequestro una zona ritenuta essere la sede di un campo di addestramento congiunto per i membri dell'Uck e dell'Isis. Secondo Giacalone, non si tratterebbe di una struttura stabile, ma di un'area utilizzata saltuariamente per incontri sporadici e sessioni di addestramento militare. Nell'aprile 2014 un gruppo di “ribelli siriani” si sarebbe incontrato a Pristina con una delegazione del Kla (Kosovo Liberation Army, Uck kosovaro) e sarebbe passato proprio per questo campo per discutere di una cooperazione tra Uck e “resistenza siriana”. Altro precedente, sono i murales comparsi a fine 2014 sulle pareti del monastero di Decani in Kosovo con scritte inneggianti sia all'Isis che all'Uck. Importante anche il fatto che molti dei foreign fighter albanesi e kosovari morti in Siria negli ultimi anni, e alcuni di quelli che ora stanno combattendo, erano già registrati come membri del Kla o dell'Uck.
Da evidenziare, negli ultimi giorni, che la polizia albanese nell'ambito di un'operazione su vasta scala volta a contrastare la coltivazione di droga in tutto il Paese, ha individuato una banda di criminali che inneggiano all'Isis a Lazarat, villaggio noto come “la capitale della Marijuana”, uno dei principali luoghi di produzione e smercio di stupefacenti. Sono stati arrestati cinque giovanissimi delinquenti, in possesso di un vero e proprio arsenale composto da due fucili AK-47 con diversi caricatori e proiettili, un lanciagranate con munizioni e due pugnali-baionetta da guerra. Emergono le figure di Arbion Adil Aliko, classe 1995, e di Adil Alban Aliko, nato nel 1997, che sui propri profili Facebook inneggiano ripetutamente all'Isis e sostengono l'imam radicale kosovaro Shefqet Krasniqi, arrestato in varie occasioni e comparso in una lista di veterani dell'Uck.
Dževad Galijašević, noto analista musulmano bosniaco, e Predrag Ćeranić, professore dell'università di Banja Luka e capo dei servizi d'intelligence bosniaci durante la guerra, confermano che l'Uck beneficia delle competenze acquisite sul campo dai mujāhidīnbosniaci. Sebbene i fini dell'Isis e dell'esercito di liberazione albanese siano diversi (quest'ultimo ha il solo scopo di realizzare il progetto della Grande Albania e non di instaurare lo Stato islamico e i suoi membri non sono tutti musulmani), le connessioni tra le due strutture non mancano e preoccupano tutta l'Europa e l'Italia in modo particolare.