L'alba di tutto
Come sarebbe la società se il mondo intero accogliesse il messaggio della Chiesa? Un romanzo provocatorio di Benson.
Se è vero che l’unica qualità davvero necessaria a uno scrittore è di possedere una chiara visione del mondo, allora Robert Hugh Benson è uno scrittore da riscoprire. Quarto figlio dell’arcivescovo di Canterbury, convertitosi al cattolicesimo e ordinato sacerdote, Benson (1871-1914) è erede a pieno titolo di quel particolarissimo genere letterario inaugurato da san Tommaso Moro con il suo Utopia (1516).
I due romanzi che lo hanno reso più famoso Il padrone del mondo e L’alba di tutto sono infatti due ritratti ideali del futuro esattamente speculari, un inseparabile dittico in bianco e nero. Lo stesso Benson spiegò che mentre Il padrone del mondo tratteggiava gli sviluppi conseguenti al «pensiero moderno», L’alba di tutto rappresenta cosa potrebbe avvenire se si innescasse il «pensiero antico».
Il pannello più conosciuto dell’opera è il primo, quello oscuro. Il padrone del mondo (1907), riproposto di recente da Jaca Book (pp. 327, € 15) racconta l’irresistibile ascesa del misterioso Giuliano Felsemburgh, l’inquietante politico che riuscirà a riunire sotto di sé l’intera umanità… a patto però di sradicare ogni credenza in Dio dai suoi sudditi, anche a costo di ricorrere a persecuzioni mirate quanto inesorabili. L’anticristo tollera soltanto il culto alla vita – a questa vita – riconosciuta come «unica verità», una religione di Stato dove si adora non tanto l’uomo, quanto «l’idea dell’uomo spogliata di ogni concezione soprannaturale». A resistergli un gregge sempre più sparuto di fedeli, guidati da papa Silvestro III, fino alla manifestazione finale dell’unico e vero “Padrone del mondo”.
La seconda opera, apparsa un secolo fa ma tradotta solamente ora in italiano grazie a Fede&Cultura, è se possibile ancora più conturbante. L’alba di tutto (1911) prova infatti a immaginare come potrebbe essere la società se… il mondo intero accogliesse il messaggio della Chiesa. Per quanto ne so, è l’unico tentativo di immaginare una sorta di Repubblica platonica dove il principio regolare è il riconoscimento di Cristo quale unico salvatore. Una sfida all’immaginazione da far tremare i polsi a qualunque scrittore: la Bibbia stessa, che dell’ultima battaglia finale parla per enigmi, è ancora più avara di dettagli sulla vittoria finale.
Per raccontare questa realtà alternativa Benson adotta – in apparenza – un espediente narrativo molto semplice: il protagonista, monsignor Mastermann, viene colto da un’amnesia totale e perde ogni ricordo del nuovo ordine mondiale. Sarà necessaria la paziente compagnia di padre Jervis e una lunga serie di viaggi per cercare di capirci qualcosa… Ma la confusione e lo scandalo del povero monsignore aumentano: il panorama su potere temporale, forme di governo, guerra e pena di morte lo lasciano del tutto sbigottito. A uno sguardo superficiale, infatti, appaiono fin troppe le analogie tra gli ordini mondiali descritti nei due romanzi, vi siano a capo l’anticristo o il Papa. Ma le differenze ci sono, e ben sostanziali.
La sfida di Benson è tutta qui: invitare a recuperare quella fides quaerens intellectum che molto probabilmente i suoi lettori, proprio come lo sventurato monsignore, hanno dimenticato e smarrito. Un invito, insomma, a ritrovare una fede fondata sulla retta ragione e sulla volontà, piuttosto che su stimoli effimeri ed emozioni velleitarie. Vero e proprio romanzo teologico, L’alba di tutto contiene molte pagine didascaliche che non rendono certo scorrevole la lettura, ma che pungono e si conficcano nella memoria. E il credente contemporaneo, nato sotto il plumbeo cielo della disillusione novecentesca, avrà modo di porsi una domanda radicale. Alle utopie sociali non crediamo più, d’accordo. E alla realizzazione del Regno di Dio?
Robert H. Benson
L’alba di tutto
Fede&Cultura, pagine 320, euro 16.