L'Africa e Trump: timori e congratulazioni interessate
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In un continente dove negli ultimi anni Cina e Russia hanno guadagnato molte posizioni, c'è però il diffuso timore che il nuovo presidente USA possa tagliare gli aiuti umanitari o rivederne i criteri. Così come per le agevolazioni commerciali.
In Africa ci sono state reazioni contrastanti alla notizia che Donald Trump sarà il 47° presidente degli Stati Uniti. Nei quattro anni dell’amministrazione Biden alcuni Stati hanno assunto posizioni critiche nei confronti dell’Occidente e in particolare degli Usa e nel frattempo la Cina ha intensificato i rapporti con il continente puntando su finanziamenti, investimenti e prestiti e la Russia ha fatto altrettanto intervenendo soprattutto con aiuti in armi, consulenze militari, soldati.
Mali, Burkina Faso, Niger hanno interrotto i rapporti e ingiunto alle truppe statunitensi, europee e Onu di andarsene – la Missione di peacekeeping in Mali, Minusma, terminerà il 15 novembre, gli ultimi soldati Usa hanno lasciato il Niger lo scorso 5 agosto – sostenendo di essere in grado di garantire da soli, assistiti dalla Russia, sicurezza, ordine pubblico, contrasto al jihad.
Un fattore che ha peggiorato i rapporti tra gli Stati Uniti e diversi paesi sono state anche le pressioni esercitate dall’amministrazione Biden per la depenalizzazione dell’omosessualità e in favore delle persone Lgbtq+. L’Uganda in particolare, che ha una delle più severe leggi anti gay, ha reagito affermando il proprio diritto a decidere, disposta a fare a meno della cooperazione internazionale se necessario.
In realtà i governi africani, anche i più critici, hanno però continuato ad accettare prestiti, finanziamenti, agevolazioni, aiuti umanitari dall’Occidente, in particolare proprio dagli Stati Uniti; questi non solo hanno importanti rapporti bilaterali con la maggior parte se non tutti i Paesi africani, ma sono anche, e di gran lunga, tra i maggiori finanziatori delle agenzie Onu: dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) all’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), dal Fondo monetario internazionale (Fmi) all’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur).
Il timore è che adesso qualcosa possa cambiare e perciò Paesi anche non esattamente amici si sono affrettati a congratularsi e a dirsi desiderosi di collaborare con il nuovo presidente. Uno dei primi capi di stato a felicitarsi – «Lo Zimbabwe è pronto a collaborare con lei» – è stato ad esempio Emmerson Mnangagwa, il presidente dello Zimbabwe (nella foto), un Paese che ha uno stretto rapporto con la Cina consolidatosi nei 30 anni in cui, fino al 2017, suo leader assoluto è stato Robert Mugabe, tra i più accaniti nemici degli Stati Uniti.
Pronto è stato anche il messaggio di congratulazioni del presidente del Sudafrica, che negli ultimi anni ha fatto scelte di campo antioccidentali schierandosi con la Russia, soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina, e con la Cina, due Stati con cui condivide l’appartenenza al Brics, il gruppo dei Paesi emergenti. Il presidente Cyril Ramaphosa su X ha scritto: «Nell’arena globale, [il Sudafrica] attende con ansia la nostra presidenza del G20 nel 2025, dove lavoreremo a stretto contatto con gli Stati Uniti per decidere chi ci succederà alla presidenza del G20 nel 2026».
La Nigeria, primo produttore africano di petrolio, prima economia continentale e, con i suoi 234 milioni di abitanti, il più popoloso Stato africano, si è complimentata con le parole del presidente Bola Tinubu: «Spero che questo secondo mandato porti partnership economiche e di sviluppo reciproche tra Africa e Stati Uniti».
Persino caloroso è stato il benvenuto di Paul Kagame, da 30 anni presidente del Rwanda. Ha parlato di un voto «storico e decisivo»: «il suo messaggio chiaro è stato che gli Stati Uniti dovrebbero essere un partner scelto perché attrae con la forza del suo esempio e non perché impone agli altri le proprie opinioni e il proprio stile di vita. Pertanto non vedo l’ora di lavorare con lei nei prossimi anni per il bene comune dei nostri due Paesi».
Félix Tshisekedi, presidente della vicina Repubblica democratica del Congo, ha espresso da parte sua la volontà di collaborare con Trump e l’auspicio di una «più profonda partnership strategica tra i due Paesi». Il Congo tra i suoi molti problemi ha quello delle province orientali devastate dalla presenza di centinaia di gruppi armati. Uno dei più minacciosi, l’M23, gode del sostegno del Rwanda che il governo congolese accusa di aver mandato truppe oltreconfine. Non è la crisi più delicata che il presidente Trump dovrà affrontare, ma è uno dei fronti di guerra che rischiano di coinvolgere, come è già successo in passato, molti altri Stati africani e rendere quindi instabili vaste regioni.
Generalmente condiviso è il timore che “America First”, lo slogan che sintetizza il programma di Trump, si traduca ad esempio in una riduzione dei prodotti che gli africani potranno esportare senza pagare tasse di importazione, come dal 2000 prevede per molti articoli l’Agoa, African Growth and Opportunity Act. Durante il suo primo mandato Trump aveva detto che l’Agoa, in scadenza nel 2025, non sarebbe stato rinnovato. In compenso aveva avviato Prosper Africa, un progetto che fornisce aiuti alle aziende Usa che investono all’estero, e la Development Finance Corporation, che finanzia progetti di sviluppo nel mondo. L’amministrazione Biden li ha conservati e questo ha fruttato all’Africa investimenti per oltre dieci miliardi di dollari.
Si teme anche per il futuro degli aiuti umanitari che potrebbero essere ridimensionati, come già era stata intenzione di Trump durante il mandato precedente, e soprattutto ridefiniti. Dall’inizio del 2024 all’Africa sono stati donati quasi 3,7 miliardi di dollari. In particolare la Africa CDC (Centres for Disease Control and Prevention), il principale organo sanitario pubblico africano, è preoccupata che la nuova amministrazione Usa possa revocare la fornitura di vaccini promessa contro l’epidemia di mpox e i finanziamenti annunciati a settembre da Joe Biden: 500 milioni di dollari e un milione di dosi di vaccino. «Se gli impegni presi non saranno mantenuti – ha dichiarato il direttore dell’Africa CDC, John Kaseya – la sfiducia già diffusa adesso in Africa creerà un grosso problema tra gli Stati Uniti e il continente». Ad alimentare l’allarme è stata la notizia che Trump intende affidare a Robert F. Kennedy junior, notoriamente critico nei confronti dei vaccini, incarichi importanti in materia di politica sanitaria.
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