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INTERVISTA A CAREGGIO

«L’aborto è una pandemia, i cattolici lo combattano»

«Quest’anno si contano già 14 milioni di aborti nel mondo, segno di un virus ben più grande del Covid». Coloro che spingono per l’aborto domestico «si smascherano da soli, sono contro la vita e la donna». «È necessario che la Chiesa parli chiaro anche contro questa subdola azione». Intervista ad Alberto Maria Careggio, vescovo emerito di Ventimiglia

Vita e bioetica 08_05_2020

«I cattolici vadano controcorrente e dicano la verità sull’aborto, che è un virus più grande del Covid-19». Alberto Maria Careggio, vescovo emerito di Ventimiglia-San Remo, afferma alla Nuova Bussola la necessità di rinnovare l’impegno in difesa della vita nascente. Nei giorni scorsi, monsignor Careggio ha pubblicato una breve riflessione che ha fatto il giro del web e in cui ha scritto che il Coronavirus è sì una tragedia - accompagnata da dolori, eroismi e contraddizioni - ma che pure l’aborto è, a maggior ragione, una «pandemia». Lo abbiamo intervistato.

Monsignor Careggio, in un recente articolo lei ha parlato dell’aborto come di una pandemia ignorata.
Sì, è un fatto che mi ha sempre amareggiato. Oggi siamo saturati da queste cifre sul Coronavirus che ci vengono presentate ogni giorno, da un lato è bene porvi attenzione perché c’è di mezzo la vita delle persone, dall’altro mi sembra ci sia una campagna intimidatoria e contraddittoria. La vita è vita per tutti – per vecchi, giovani e bambini. Ora, a fronte della presentazione ossessiva di queste cifre, non si parla mai degli assassini che si commettono con l’aborto. Se le stime di Worldmeter sono esatte, da gennaio a inizio maggio di quest’anno ci sono stati oltre 14 milioni di aborti nel mondo. Questo significa che l’aborto è un virus di gran lunga maggiore. Ecco, il tacere oggi è una colpa grave.

Nel 1978, quando veniva approvata la legge sull’aborto, lei era ancora un giovane sacerdote. Che ne pensa del fatto che a quella legge si arrivò dopo anni di propaganda che faceva leva sull’aborto clandestino, mentre oggi quella stessa cultura sfrutta la pandemia per cercare di ottenere l’aborto chimico casalingo?
È una contraddizione che fa emergere quanto siano false e ingannevoli le posizioni dei sostenitori dell’aborto: si smascherano da soli, rivelando che sono contro la vita e contro la donna. Quello che chiedono oggi è incitare a un delitto. Io, per esperienza personale, posso dire quanto tempo ho dovuto passare con mamme che avevano abortito per aiutarle a chiedere e accogliere il perdono di Dio, e così lasciarsi alle spalle la disperazione. Se le statistiche sono vere, molte donne che si suicidano avevano avuto aborti volontari, segno che la coscienza della madre non può essere messa a tacere da una legge dello Stato. Perciò, noi come cristiani e difensori della vita dovremmo alzare la voce. È necessario che la Chiesa parli chiaro anche contro questa subdola azione per arrivare alla “pillola” a casa.

La Marcia per la Vita quest’anno non si terrà a causa del virus. Che consigli darebbe ai gruppi pro vita che in questo tempo si possono sentire sovrastati da forze mondiali che vogliono espandere l’aborto?
Gli organizzatori di questi gruppi sono più esperti di me. Oggi qualsiasi buona campagna dei cattolici è condannata come oscurantista. Il mio incoraggiamento da pastore è di proseguire a essere, nel bene, controcorrente. Se penso al mio breve scritto, non mi aspettavo che si diffondesse così, ma evidentemente è una voce stonata tra le tante voci che sono a favore dell’aborto. Ecco perché dico che non bisogna aver paura di dire la verità.

Crede che la voce della Chiesa, rispetto a 40 anni fa, si sia in generale indebolita riguardo al contrasto dell’aborto?
Guardi, le radici di quanto succede oggi sono profonde. Ricordo che nel Sessantotto c’era la campagna per il divorzio. Era il primo tratto: uccidere la famiglia. I cattolici all’epoca erano una presenza importante. Ma molti ragionavano nel senso che non si dovessero vincolare coloro che non accettavano l’indissolubilità del matrimonio. Con questo non voglio dire che ci fossero sacerdoti e vescovi favorevoli al divorzio, però è certo che la legge passò col voto di molti cattolici. Sostenendo gruppi politici in chiara opposizione all’insegnamento della Chiesa. Durante la campagna per l’aborto è successa la stessa cosa, un po’ meno in percentuale. Ancora oggi bisogna dire che un cattolico non può sostenere quei gruppi o movimenti che hanno nel loro programma politico un discorso contro la famiglia, la vita, l’uomo in quanto tale, contro la morale e la natura stessa; partiti che favoriscono l’eutanasia, l’uomo artificiale, ecc., possono anche presentarsi dicendo di essere dalla parte delle fasce sociali più deboli, ma dando loro l’appoggio è ovvio che si prende il pacchetto intero... e si è quindi corresponsabili.

Quest’anno ricorre il 25° anniversario dell’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II. Qual è l’attualità più grande di quell’enciclica?
Quell’enciclica è stata un canto sulla vita e non c’è un’affermazione che sia desueta. Il nostro caro papa Giovanni Paolo II è stato un profeta, e come tanti profeti è stato “ammazzato”, anche se nel suo caso solo metaforicamente. L’Evangelium Vitae è un pilastro, come un pilastro di un ponte senza il quale il ponte crolla. Fondamentale è riprendere quel che Wojtyla ha detto sulla donna e sulla madre, nell’EV e prima ancora nella Mulieris Dignitatem. Oggi la società presenta modelli discutibili di donna: sono modelli condizionati dai mass media. È sempre più cosa rara trovare una donna che dica “io faccio la sposa e la madre dei miei figli”. Vede, io sono vecchio; chi lavorava era solamente mio padre, mutilato di guerra; mia madre faceva la casalinga ma era un autentico sostegno per tutti noi. In una corretta società umana ognuno ha la propria missione. Le parti sono complementari, i ruoli non dovrebbero invertirsi o confondersi o azzerarsi. Ognuno ha per natura un compito e una missione specifica. Questo è un discorso che è presente nel magistero di san Giovanni Paolo II e andrebbe ripreso.

Tornando alla pandemia, che cosa ci insegna questo tempo?
Ci insegna a valorizzare la vita, dal suo inizio al suo tramonto. È un bene preziosissimo di Dio da vivere per scopi nobili, e non per accumulare ricchezze quando tutto è effimero. Ci insegna pure a ridimensionare tanti nostri bisogni e aspirazioni di grandezza, di potere, di possesso. Ci fa capire che solo il bene costruisce una buona società, e fruttifica per una ricompensa eterna. Ci insegna ad affrontare il futuro come è stato fatto subito dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Prima c’era più semplicità?
Certamente, c’era una solidarietà meno proclamata ma più vissuta. Oggi, con queste mascherine, sta emergendo una barriera psicologica che impedisce di avere una relazione genuina. Poi, c’è il valore delle cose. Riflettendo sulle conseguenze economiche del Coronavirus, mi vien da pensare alla grande statua d’oro - ma con i piedi d’argilla - che Nabucodonosor aveva sognato crollata perché colpita ai suoi piedi da un masso staccatosi dal monte. Questo ci dice che basta un nulla per distruggere un impero. Allora dobbiamo capire che la vita non ci appartiene, bensì è di Dio, il grande escluso... ma senza il quale non si può far nulla! Tornando a Lui possiamo tornare a ricostruire i valori autentici.