Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
La storia

«L’aborto e la disperazione. Poi ho incontrato la misericordia»

Ascolta la versione audio dell'articolo

L’aborto ai tempi dell’università, il tremendo senso di colpa, una ferita che la tormenta per anni. Nel frattempo la sua fede cresce e si aggrappa al Signore, fino a un ritiro con la Vigna di Rachele. La Bussola racconta la storia di Maria, oggi rinata.

Vita e bioetica 18_10_2024
Monumento al bambino mai nato (Martin Hudáček)

«Dopo l’aborto vivevo tutto con un senso di colpa: ogni aspetto della vita, anche un’uscita, una passeggiata, l’acquisto di una maglietta. Magari c’è quando fai finta di niente, ma per me il pensiero era sempre a quel bambino». Maria – il nome è di fantasia, per ragioni di riservatezza – ci descrive al telefono, in mezzo a qualche pausa e moto di commozione, la sua difficoltà a perdonarsi dopo l’aborto volontario vissuto quasi vent’anni fa e il lungo percorso per uscire dal tunnel di disperazione in cui era immersa.

Un percorso in cui si è rivelato provvidenziale l’incontro con la realtà della Vigna di Rachele, apostolato che si propone di favorire la guarigione interiore di donne e uomini coinvolti in un aborto volontario, aiutandoli a riconciliarsi con Dio, con sé stessi e con gli altri, in primis con la creatura vittima dell’aborto.

Per Maria, oggi quarantatreenne, tutto era iniziato ai tempi dell’università: «Avevo 24 anni, ero impegnata in una relazione e a un certo punto rimasi incinta. Quando mi accorsi della gravidanza, comunicai la notizia al padre del bambino, con cui nel frattempo ci eravamo lasciati: lui non ne volle sapere nulla. L’idea dell’aborto non mi apparteneva, nel senso che ero contraria allora, come lo sono oggi. Sapevo dentro di me che non era una cosa buona e giusta, ma la fragilità che sperimentai, il senso di abbandono, di solitudine, l’idea di dare una delusione ai miei genitori mi spinsero a non capirci più niente e, alla fine, a optare per l’aborto. In tutto questo c’era anche una sorta di vergogna». Le uniche a sapere, allora, della drammatica decisione di Maria erano le sorelle e alcune amiche, che le avevano assicurato la loro vicinanza, qualunque cosa avesse deciso.

L’aborto, però, non risolvette nulla, anzi. Per Maria, da quel momento, iniziò «un continuo recriminarsi. Magari ne parlavo con le persone che sapevano, però nessuno capiva. Mi dicevano “non pensarci più”, “vai avanti”, ma per me era impossibile». Fin dai primi tempi dopo l’aborto, la giovane – che era già credente e praticante, sebbene ancora non molto assidua – aveva sentito il desiderio di chiedere perdono a Dio, nel sacramento della Riconciliazione. «Mi confessai con un sacerdote o, meglio, con vari sacerdoti, anche dicendo che avevo già confessato quel peccato. Ricordo, se non sbaglio, che un sacerdote mi disse di non confessarlo più perché era un po’ come non credere alla misericordia di Dio. Sicuramente, Dio mi aveva già perdonato, ma ero io che non perdonavo me stessa». Uno degli scrupoli sorse dalla scoperta che non tutti i preti, allora, potessero assolvere direttamente dall’aborto e dalla relativa scomunica. «Mi facevo il problema se il sacerdote che mi aveva assolto potesse veramente farlo». La lettera apostolica Misericordia et misera (2016), che ha esteso questa facoltà a tutti i sacerdoti, sarebbe arrivata alcuni anni dopo questo tarlo di Maria.

Nonostante tutti i suoi sforzi di andare avanti, a distanza di 8-9 anni la sua ferita era ancora apertissima. «Arrivai a un punto che stavo proprio male, piangevo di continuo e sapevo benissimo qual era la causa. Ero anche disperata, pensavo che la mia vita non avesse più senso. Ma ho trovato forza comunque nel Signore, che mi è stato accanto anche in tutti quegli anni», ci spiega, commossa.

Via via il rapporto di Maria con la fede si intensifica. Nel periodo cruciale va a Messa e recita il Rosario tutti i giorni. «Andavo a Messa quotidianamente perché sentivo proprio il bisogno di incontrarmi con il Signore, quindi facevo la Comunione tutti i giorni. E ogni Eucaristia è stata un passo verso la guarigione».

A cavallo di questo periodo, Maria naviga su Internet, un po’ alla cieca, in cerca di notizie, «non so neanche rispetto a che cosa». Finisce sul sito della Vigna di Rachele: le informazioni e le testimonianze che legge l’aiutano a vincere una certa diffidenza iniziale, facendole sperare di aver trovato finalmente qualcuno capace di comprendere il suo dolore. Contatta perciò la fondatrice della sezione italiana della Vigna, Monika Rodman Montanaro, e nel novembre 2014 partecipa al ritiro spirituale di tre giorni organizzato in provincia di Bologna dalla stessa associazione.

Un ritiro che per Maria diventa la svolta. «La cosa che mi ha colpito di più è che ho fatto l’esperienza della compassione del Signore. Io ero già credente, ma lì ho sperimentato in modo particolare la presenza di Gesù, la sua presenza viva. E poi, nonostante io stessi male e portassi il mio fardello, riuscii a provare anche molta compassione per le altre persone che partecipavano al ritiro per la prima volta e che condividevano la mia stessa esperienza».

Nell’èquipe di accompagnamento c’era già Daria, una coetanea di Maria e tuttora collaboratrice della Vigna che aveva vissuto la sua personale esperienza di guarigione in un ritiro dell’anno precedente, il 2013 (vedi la storia di Daria, già raccontata su questo quotidiano). «Il fatto che Daria fosse passata per quella esperienza, per poi offrire un servizio agli altri, ha rappresentato per me una luce di speranza». Non sono certo mancate le lacrime in quei tre giorni, ma «erano lacrime diverse da quelle che avevo versato mesi prima, è come se avessero acquistato un senso, perché non ero sola, ero compresa, accompagnata, tutto era più sano». Un termine, questo, che Maria ci ripete più volte, per spiegare come il dolore di quei giorni fosse trasfigurato, come un segno di redenzione.

Alla base di tutto, un riconoscimento essenziale, reso possibile anche grazie ai passi della Bibbia che vengono letti durante i ritiri e divengono occasione di scambio tra i partecipanti. «Attraverso la Scrittura, il Signore ti parla e magari ti fa parlare, ti fa tirare fuori un po’ tutti i sentimenti legati a questa esperienza. Per quanto mi riguarda, mi ha condotto pian piano a riconoscere quello che avevo fatto a questa creatura, che comunque esiste, mi accompagna. Per riconciliarti con te stessa, hai bisogno anche di riconciliarti con questa creatura, con questo bimbo». Anzi, aggiunge Maria, «sentivo che fosse una bimba. Le ho dato un nome: Sara».

Ai ritiri della Vigna, dove c’è sempre un sacerdote, si tiene anche una funzione commemorativa dei bambini abortiti. «Ti aiuta all’elaborazione del lutto, è come se fosse stato un modo per dire addio, cosa che prima non avevo fatto», ci dice Maria, ancora commossa. E al tempo stesso è il riconoscimento dell’immortalità dell’anima di quei bambini, che vengono affidati alla misericordia di Dio.

Da quella svolta, avvenuta all’età di 33 anni, anche Maria – come già Daria e non solo – ha sentito il bisogno di donare ad altre persone l’amore che aveva ricevuto lei. «Ho collaborato a qualche ritiro con la Vigna di Rachele e anche questo è stato fondamentale perché ho avuto il modo di sperimentare di essere guarita. Sì, guarita, perché ero una persona senza speranza e il Signore mi ha riportato alla vita e Gli sono sempre grata per questo. Noi nemmeno immaginiamo quanto Lui ci ami».

La storia di Maria, tra le altre, ricorda la realtà di quella che è chiamata sindrome post-aborto e smentisce l’idea che l’aborto stesso possa risolvere qualche problema. «Anziché uscire da una situazione problematica, con l’aborto la donna si infligge una sofferenza ancora più grande», afferma Maria. Un nome di fantasia, come dicevamo, che lei stessa ha scelto, in onore della Santa Vergine. «La preghiera del Rosario mi ha fatto prendere confidenza con la Madonna, che nel tempo ho sentito vicina come Madre. È una vicinanza importante, che mi ha fatto anche far pace con la mia maternità».

***

La Vigna di Rachele sta organizzando in questi giorni uno dei suoi ritiri a Bologna (25-27 ottobre 2024)*. E ne ha in programma già un altro, in Lombardia (dal 28 febbraio al 2 marzo 2025). Per informazioni e iscrizioni, si può visitare il sito della Vigna e inviare un’email a info.vignadirachele@yahoo.it

* AGGIORNAMENTO: Il ritiro bolognese è stato rinviato a metà novembre per via dell'alluvione che ha colpito l'Emilia Romagna.



LA STORIA DI DARIA

«Io, dall’abisso dell’aborto alla vita nuova in Dio»

30_06_2019 Ermes Dovico

«Non c’è nessun peccato e nessun male che non venga perdonato se l’uomo si pente. E veramente il Signore, dal male più grande, sa trarre il bene più grande. Io vedo questo nella mia vita…». Daria, trentottenne, racconta alla Nuova BQ il baratro in cui era sprofondata dopo aver abortito a 20 anni e da cui è venuta fuori grazie alla sua conversione e a un ritiro con la Vigna di Rachele. E oggi dice: «Questo bambino mi protegge e mi guida dal Cielo»

VIGNA DI RACHELE

Come rinascere dopo l'aborto, il "lutto proibito"

16_06_2019 Ermes Dovico

"Ci siamo trovati con persone che dopo aver vissuto un aborto hanno tentato di chiudere questa vicenda, di risanarla, senza però trovare il tempo e lo spazio necessari. Non si tratta solo di una ferita psicologica, è una profonda ferita spirituale che va guarita, con l'aiuto di Gesù". Intervista a Monika Rodman, responsabile in Italia della Vigna di Rachele, un apostolato che organizza periodicamente ritiri di tre giorni per favorire la guarigione interiore di uomini e donne che portano dentro di sé il dolore di un aborto, aiutandoli a riconciliarsi con il figlio perduto.