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L'EDITORIALE

La volpe italiana e l'uva europea

Il vertice economico Francia-Germania sancisce la realtà di una UE tutt'altro che paritaria, perché alcuni paesi sono un problema, altri la possibile soluzione. E l'Italia è un problema soprattutto dal punto di vista politico.

Editoriali 11_10_2011
sarkozy-merkel

“Nondum matura est, nolo acerba assumere”, così disse la volpe nella celebre favola di Esopo. “Questi vertici  non servono a nulla”, così disse il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini all’indomani dell’incontro tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e il cancelliere tedesco Angela Merkel.

In verità il vertice di Berlino della seconda domenica di ottobre qualche pur piccolo risultato lo ha ottenuto. Per esempio con l’impegno dei due paesi a ricapitalizzare le banche in difficoltà e con l’elaborazione di nuove proposte da presentare alla riunione del G20 che si terrà ai primi di novembre. Certo siamo ancora lontani da una soluzione della crisi, così come siamo lontani dalla definizione di nuove e più stringenti regole per tenere sotto controllo il sistema finanziario.
Parigi e Berlino hanno escluso che si voglia formare un “direttorio” tra i due paesi per tenere sotto controllo il resto dell’Europa e hanno ribadito l’importanza dei prossimi vertici, sia dell’Europa, sia del G20, per mettere a punto nuove strategie di intervento.

Ma la realtà dei fatti non è comunque quella di un’Europa unita e solidale, ma nemmeno paritaria. E questo perché alcuni Paesi, non solo la Grecia, ma anche la Spagna e l’Italia, costituiscono un problema; mentre altri Paesi, per non far nomi la Francia e la Germania, possono costituire almeno in parte la soluzione.

E l’Italia è un problema non solo finanziario, ma anche economico e politico, anche se per molti aspetti potrebbe più facilmente di altri uscire dalle secche e dai rischi delle turbolenze dei mercati. E’ vero che per il colossale debito pubblico che ha sulle spalle l’Italia il prossimo anno dovrà chiedere sui mercati finanziari 270 miliardi per il rinnovo dei titoli in scadenza, ed è vero che con i rialzi dei tassi di interesse degli ultimi mesi aumenteranno notevolmente gli oneri per il servizio del debito.
Ma non va dimenticato che la situazione è positiva sul fronte dei conti pubblici in particolare per quello che viene chiamato l’avanzo primario (cioè le maggiori entrate rispetto alle uscite, ma senza tener conto degli oneri finanziari sul debito). E la solidità italiana è poi dimostrata dal basso livello dell’indebitamento privato e dalla ricchezza patrimoniale dello Stato che almeno in parte potrebbe essere adeguatamente valorizzata. A questo si aggiunga il fatto che le banche italiane, forse perché più “provinciali” sono poco impegnate sul fronte dei titoli a rischio come quelli legati alla Spagna o alla Grecia.

Il vero problema italiano non è quindi strettamente finanziario, ma essenzialmente politico. Dal 2008 ad oggi infatti si può dire che sia stato ampiamente dimostrato come la leva della fiducia sia quella fondamentale per permettere ai sistemi economici di crescere, svilupparsi, mantenere i propri impegni. La fiducia va di pari passo con l’affidabilità e la credibilità. E la fiducia si può misurare e ha un costo economico. Il tanto decantato “spread”, cioè la differenza su tassi di  interesse tra due strumenti finanziari, ne è un indicatore: infatti un titolo decennale italiano paga dai tre ai quattro punti percentuali in più di un analogo titolo tedesco e non è poco perché vuol dire passare dal 2 al 5/6 per cento. E questa differenza sarebbe salita ancora di più (aggravando gli oneri per la gestione del debito italiano) se la Banca centrale europea non avesse iniziato in estate ad acquistare a piene mani titoli italiani per evitare ulteriori aumenti dei tassi che avrebbero messo a dura prova l’intero sistema della moneta unica.

Ma la Bce è intervenuta chiedendo tuttavia all’Italia, in una lettera firmata dal Governatore uscente, Trichet, e da quello entrante, Draghi, una serie di interventi per mettere sotto controllo il bilancio e rilanciare la crescita. Una lettera indubbiamente pesante e a cui il Governo italiano ha risposto con la manovra varata alla vigilia di Ferragosto, una manovra che tuttavia è rimasta ampiamente sbilanciata sul fronte delle tasse e dei nuovi oneri mentre sono state come minimo rinviate tutte le misure che la Bce chiedeva nella prima parte della lettera: le dismissioni del patrimonio pubblico, le liberalizzazioni dei servizi, la flessibilità del mercato del lavoro, la riduzione strutturale dell’apparato dello Stato per ridurre le spese. Tutto rinviato ad un decreto sullo sviluppo annunciato da tempo, ma che di rinvio in rinvio arriverà forse a Natale.

Intanto il Governo appare diviso e passa da proposte inammissibili (quelle di un nuovo condono) a ipotesi cervellotiche (vendere le case popolari, magari occupate abusivamente, a chi le abita e che notoriamente… è un ricco evasore fiscale). Intanto mentre Sarkozy e Merkel discutevano del nostro futuro il premier Berlusconi era a festeggiare il compleanno di Putin da cui è tornato, hanno affermato i suoi amici, “tonico e rinfrancato”. Auguri.