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TRA FATIMA E LE SCRITTURE

La visione dell'Inferno mette in moto la preghiera

Applichiamo a Fatima la formula di uno studioso della Sindone: «Non credo nella Sindone, ma la Sindone mi aiuta a credere». Così Fatima sull’inferno dove la visione ha una corrispondenza perfetta con le Scritture. 

Ecclesia 27_11_2017

Stando al resoconto di Lucia, il 13 luglio 2017 a Fatima la Madonna mostrò ai veggenti «un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri» (Suor Lucia Dos Santos, IV Memoria: EV 19/987).

QUALE VISIONE DELL’INFERNO E COME MAI?

Il card. Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, precisava che non si poteva pensare a una visione dell’al di là «nella sua pura essenzialità», anzi il veggente «vede con le sue possibilità concrete (...), è essenzialmente compartecipe del formarsi, come immagine, di ciò che appare» (Commento teologico del 26.6.2000: EV 19/1010-1011). Dunque si trattò di un “sacramento/immagine” dell’inferno, né la Madonna abolì il fatto che «Adesso noi vediamo in modo confuso come in uno specchio (per speculum in aenigmate)» (1Cor 13,12). Tuttavia, se per il paradiso l’immagine è meno bella della realtà, per l’inferno la realtà è più terribile dell’immagine!

Anche se la Madonna per ben due volte pose i veggenti in una luce “paradisiaca”, nella quale vedevano se stessi in Dio, l’immagine dell’inferno colpì e colpisce di più. Di certo la Madonna non ricorse a “effetti speciali” per stupire: c’era una ragione pastorale, che interpella ancora oggi l’evangelizzazione. Per cui lasciamo Fatima in sottofondo e guardiamo all’inferno come semplici cristiani, applicando a Fatima la formula di uno studioso della Sindone: «Non credo nella Sindone, ma la Sindone mi aiuta a credere». Così Fatima sull’inferno.

LA CORRETTEZZA SCRITTURISTICA E DELLA FEDE

L’immagine principale della visione dell’inferno descritta da Lucia è il fuoco, causa di sofferenza per coloro che vi sono immersi. Ed è l’immagine dell’inferno biblico a partire dal libro del profeta Isaia, che si chiude con il popolo rinnovato che renderà culto al Signore. Costoro tuttavia in una valle presso Gerusalemme «vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti» (Is 66,24). È la valle della Geenna, che Gesù spesso indica come punizione definitiva in molti passi e per evitare la quale conviene perdere un occhio, una mano, un piede, la vita stessa di questo mondo (Mt 5,29-30; 10,28; 18,9; 23,33; Mc 9,45.47; Lc 12,5). Altre volte la Geenna è esplicitamente associata al fuoco: «il fuoco della Geenna» (Mt 5,22; 9,43; 18,9); altre volte si parla semplicemente di fuoco e fornace ardente (2Ts 1,7-8; Mt 13,50) sino alla confessione del ricco: «soffro terribilmente in questa fiamma» (Lc 16,24). Non sembra di leggere il resoconto di Lucia riportato all’inizio?

Sempre sulla bocca di Gesù, altre immagini negative e di dolore affiancano il fuoco relativamente all’esito di una vita vissuta e conclusa male: il pianto e lo stridore di denti nella fornace ardente o nelle tenebre (Mt 8,12; 13,42.50; 22,13; 24,51; 25,30; Lc 13,28; 2Pt 2,17).

La dichiarazione di Abramo al ricco negli inferi - «tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi» (Lc 16,26) - esplicita che si tratta di una situazione irreversibile e introduce la categoria di eternità: il fuoco è eterno (Mt 18,8; 25,41; Gd 1,7) come il verme che non muore (Mc 9,48); le tenebre sono eterne (Gd 1,13); il supplizio è eterno (Mt 25,46) ed è una seconda morte nello stagno ardente di fuoco e zolfo (Ap 2,11; 20,6.14; 21,8).

Questo possibile esito negativo ed eterno della vita compromette la stessa risurrezione dei morti, che per la prima volta in Dn 12,2 è duplice: «Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna». Parole riprese e radicalizzate da Gesù - «viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29) -, riportate nel CCC 998 e - chi oserebbe ricordarlo? - anche dal Vaticano II in Lumen gentium n. 48.

In sintesi: «La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità (...). La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato» (CCC 1035).

QUI NON C’È ANCORA L’INFERNO O IL PARADISO, MA LE DUE VIE

«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano» (Mt 7,13; Lc 13,24). Ecco il tema evangelico delle “due vie”. Poiché quaggiù non esiste né paradiso né inferno, ma un “cammino verso” l’uno o l’altro, è decisivo camminare verso il paradiso e non verso l’inferno.

La “via che conduce alla perdizione” è descritta dal NT con una varietà di prospettive, ad esempio gli elenchi di vizi o peccati in san Paolo (Rm 1,26-32; 13,13; 1Cor 5,10-11; 2Cor 12,20; Ef 4,31; Col 3,5-8; 1Tm 1,8-11; 6,4-5; 2Tm 3,1-5; Tt 3,3) e specialmente quando l’elenco termina con l’affermazione che quanti si comportano così non erediteranno il regno di Dio (1Cor 6,9-10; Gal 5,19-21; Ef 5,3-5), ma anche altrove (Mt 15,19; 1Pt 4,3; Ap 21,8; 22,15). In sintesi e a prescindere dal raro peccato contro Dio allo stato puro, tutti i testi sulla via di perdizione sono collocabili in tre grandi categorie.

- La “via” di un cattivo rapporto con il prossimo: cf il giudizio finale di Cristo in Mt 25,31-46 (ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare...), la cena di Corinto che umilia «chi non ha niente» (1Cor 11,20-22), il ricco epulone insensibile al povero Lazzaro (Lc 16,19,31) e tante espressioni nei cataloghi paolini dei vizi: ingiusti, calunniatori, rapinatori, facitori di fazioni e di liti, ribelli ai genitori, invidiosi, senza misericordia ecc.

- La “via” del tornare indietro dalla fede: «Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? (...) È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!» (Eb 10,28-29.31; cf anche 1Gv 5,16). Dunque camminano “oggettivamente” verso l’inferno coloro che allegramente dichiarano di aver perso la fede, poiché Dio «non abbandona se non è abbandonato (non deserens, nisi desereatur)» (Vaticano I, Dei Filius, cap. 3: Dz 3014).

- La “via” dei peccati della carne, di una vita affettiva sregolata o irregolare. Se le tante testimonianze della tradizione cristiana (ultima anche di Giacinta tra i veggenti di Fatima) sono giudicate “bacchettone”, non si potrà cancellare il NT che pone su questa strada immorali, impuri, adulteri, depravati, uomini e donne che “si desiderano” (e si praticano) nello stesso sesso, dediti all’ubriachezza, ai bagordi, alle orge ecc. (cf i citati elenchi dei vizi).

SCENDIAMO AL PRATICO

«Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno» (CCC 1037), per cui inferno/paradiso, dannazione/salvezza non sono alla pari. Dio ha rivelato un unico mistero della sua volontà: che tutti si salvino e giungano al Padre per Cristo nello Spirito partecipando alla natura divina (1Tm 2,4; Ef 1,9; 2,18; 2Pt 1,4: DV 2). L’inferno è causato dal nostro rifiuto. Naturalmente il giudizio sulle persone - qui e nell’al di là - va lasciato «alla giustizia e alla misericordia di Dio», anche se «possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave» (CCC 1861).

È a questo punto che risultano chiare alcune indicazioni di condotta pastorale e personale.

Non si tratta di giudicare/condannare le persone, ma di mantenere dei chiari indicatori su che cosa è peccato e quali sono le “vie di perdizione”, evitando di mantenere solo la prima e di tacere sulle altre due, cioè di mandare all’inferno solo i mafiosi e gli scafisti (prima via), tacendo su chi ha perso la fede (seconda via) e magari invitandolo a parlare ai credenti, o ammorbidendo i paletti della morale sessuale (terza via).

La menzione della possibilità dell’inferno appartiene alla corretta comprensione del buon annuncio, che non può essere limitato alle realtà positive: la grazia, far maturare i semi del Verbo, raggiungere la maturità e felicità piene ecc., senza precisare che oltre a ciò non si dà una zona neutra, ma semplicemente la perdita della salvezza totale (adeguatamente proposta).

Le parole delle Scritture e della Chiesa sull’inferno sono «un appello alla responsabilità» (CCC 1036) e alla dignità umana: Dio ha posto la vita veramente nelle nostre mani. Sono anche parole che svelano l’amore di Dio, perché è chiaro che Gesù parla dell’inferno solo per preservarci dal caderci dentro. E così la Chiesa. E così la Madonna a Fatima.

Certo un discorso del genere può causare una contrizione che nasce «dal timore della dannazione eterna», ma anche questo è «un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo» e spinge verso una «evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale» (CCC 1453). Se il timore spinge a compire azioni buone e sante, queste adagio adagio trasformeranno il timore in un rapporto di amore verso Dio.

TORNIAMO A FATIMA

Mostrata l’immagine dell’inferno, la Madonna invitò i tre bambini a pregare aggiungendo alla fine di ogni decina del Rosario la famosa richiesta: «Gesù mio... liberateci dal fuoco dell’inferno. Portate in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia». In una lettera del 18.5.1941, Lucia precisò che «la Madonna si riferiva alle anime che si trovano in maggior pericolo di dannazione».

Altro che paura! La visione dell’inferno mette in moto la preghiera, l’intercessione, la solidarietà verso i peccatori. Se dessimo fiducia alla Madonna, anche questo dovrebbe rientrare nella “nuova evangelizzazione”.

È una preghiera dolcissima ma anche molto tradizionale. La prima preghiera eucaristica o canone romano chiese per secoli e chiede ancora oggi: «Ab aeterna damnatione nos eripe / Salvaci dalla dannazione eterna». E poi Gd 22-23 esorta: «siate misericordiosi verso quelli che sono indecisi e salvateli strappandoli dal fuoco». To’, la Madonna, che sembrerebbe limitata a formule devozionali, parla quasi come le Scritture. Chi l’avrebbe mai detto?

P.S.

Parecchie citazioni Scritturistiche sono state solo indicate. Ma se qualcuno avrà la pazienza di andare a leggersele per esteso, farà una “lectio divina”... ma di quelle!