La via maestra non è cassare i titoli mariani ma spiegarli
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Il rischio che si esageri il ruolo di Maria è quello che la Chiesa ha sempre accettato di correre pur di ribadire la verità sulla Madre (Madre di Dio!) per confermare pienamente la verità sul Figlio. E la cortese risposta di mons. Staglianò non fa che testimoniare l'era glaciale della mariologia.
La cortese risposta di mons. Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Academia Theologica, al nostro articolo è purtroppo la conferma di come la “temperatura mariologica” nel mondo teologico sia ormai precipitata a livello di un’era glaciale e che, sempre purtroppo, avevamo visto giusto nell’indicare la sparizione della “dissimilitudo minor” una delle lacune maggiori e della Nota dottrinale e dell’articolo del presidente della Pontificia Accademia di Teologia.
Prima di entrare in medias res, sia consentito un rilievo minore. Mons. Staglianò afferma che «ogni termine […] se anche solo semanticamente tende a suggerire un’opera salvifica “parallela” o “complementare” a quella di Cristo, rischia di minare la fede in Cristo “unico redentore”». Ma è il rischio che la Chiesa ha sempre accettato di correre nella sua storia. L’affermazione che Maria è la Madre di Dio è quanto di più fuorviante, perché può condurre a pensare ad una generazione parallela o complementare a quella del Padre, ed è quanto di più disorientante, perché può portare a concludere una preesistenza eterna di Maria, una sua “divinità”. Eppure la scelta dei santi dottori e della Chiesa è stata quella di difendere il titolo semplicemente perché vero e perché, spiegandolo, si sarebbe meglio affermato il dogma cristologico dell’unione ipostatica; affermare pienamente la verità su Maria significa infatti confermare pienamente la verità su Cristo.
Se, come scrive Staglianò, «l’intenzione [del Documento] non è sminuire Maria, ma proteggere la verità della Redenzione», allora la via maestra da percorrere era proprio quella insegnata dal Concilio di Efeso: non cassare i termini potenzialmente equivoci, ma spiegarli; d’altra parte, il Dicastero per la Dottrina della Fede e la teologia esistono per questo. La scelta è stata invece quella di scrivere una lunga Nota, rinunciando in partenza a chiarire il termine “corredentrice”, abbandonandolo alle critiche che potevano e dovevano essere risolte e rinunciando a mettere in risalto una grande luce del mistero della Redenzione, che è la cooperazione unica e singolare di Maria.
Veniamo al cuore dell’obiezione di mons. Staglianò. Egli in qualche modo si sorprende del fatto che abbiamo affermato l’elevazione di Maria all’ordine ipostatico, ritenendolo «il presupposto errato di chi cerca di creare una categoria ontologica intermedia per Maria». E noi ci sorprendiamo che egli si sorprenda, dal momento che questa è una verità di comune dominio tra i teologi. Che la Maternità divina ponga Maria nell’ordine ipostatico non muta in alcun modo la sua natura, non crea alcuna «natura ibrida», che rimane quella di un essere umano (confermando così la dissimilitudo maior), ma la eleva nella dignità e nell’essere (costituendo così la dissimilitudo minor), analogamente a come l’ordine soprannaturale non muta e non distrugge l’ordine naturale, ma pure lo supera in modo incommensurabile. Ora, c’è un ordine che è superiore sia all’ordine della natura che all’ordine soprannaturale, ed è appunto l’ordine ipostatico.
Cosa si intende con ordine ipostatico? Un ordine è contraddistinto dal fine, che orienta appunto l’ordine stesso e lo definisce. E così, per esempio, abbiamo un ordine naturale e un ordine soprannaturale, poiché abbiamo due fini distinti che orientano questi due ordini. La dottrina cattolica insegna che la natura umana di Cristo è tutta orientata alla persona del Verbo con una relazione di unione, da cui appunto l’unione ipostatica; sappiamo anche che Cristo è predestinato dall’eternità ad essere il Figlio di Dio nella natura umana. Ora, come espressamente dichiarato nella Ineffabilis Deus, l’unico e identico decreto eterno che predestinò Gesù alla filiazione divina naturale predestinò anche Maria ad essere Madre di Dio. Non abbiamo due decreti di predestinazione, ma un unico decreto che crea così l’ordine ipostatico, ossia un ordine finalizzato alla persona del Verbo, cui appartengono, a titolo diverso, Cristo e Maria.
Per questo, afferma ancora Pio IX, «avendo Dio prestabilita con un solo e medesimo decreto l’origine di Maria e l’incarnazione della divina Sapienza», la Chiesa non ha avuto alcun imbarazzo ad «applicare all’origine della Vergine le medesime espressioni, con le quali le divine Scritture parlano della Sapienza increata e ne rappresentano le eterne origini». Il riferimento della Costituzione Apostolica sono i diversi passi del capitolo 24 del libro del Siracide che si riferiscono alla Sapienza increata e che per secoli sono stati attribuiti dalla liturgia alla Madonna, proprio in forza del suo essere inclusa in quell’unico decreto eterno che stabilisce l’ordine ipostatico. A proposito di rischio di una semantica equivoca...
Proseguiamo. Se la maternità divina è implicata nella predestinazione di Gesù ad essere il Figlio di Dio incarnato, in virtù di quell’unico decreto, allora Maria entra necessariamente dentro l’ordine ipostatico, che da quel decreto viene stabilito. Cristo, infatti, è sì l’unico soggetto dell’unione ipostatica, ma non dell’ordine ipostatico, in quanto la maternità divina entra a pieno titolo come fondamento della generazione del Verbo incarnato; questa maternità è divina appunto perché termina, nella generazione, direttamente al Verbo di Dio. È questo il senso del primo dogma mariano: la maternità di Maria non termina semplicemente alla natura umana di Cristo, come voleva Nestorio, ma alla persona stessa del Verbo, per cui ella è veramente Madre di Dio e non semplicemente Madre di Cristo.
È così che Maria appartiene all’ordine ipostatico: il suo essere Madre di Dio converge intimamente e intrinsecamente verso l’unione ipostatica, propria solamente di Cristo; né l’unione ipostatica, posto il divino decreto, è realizzabile a prescindere dalla divina maternità: unione ipostatica e maternità divina si coimplicano, nell’unico ordine ipostatico, ordine creato da quell’unico decreto divino con cui vengono predestinati il Verbo incarnato e la Madre di Dio. Così che Cristo appartiene a questo ordine nel modo dell’unione (ipostatica), mentre Maria nel modo della relazione materna che termina nella persona del Verbo.
Ultimo passaggio. Sappiamo che, considerando il mistero di Cristo, la dignità del suo essere Figlio di Dio sorpassa quella che gli proviene dalla pienezza della grazia e dalla gloria; e sappiamo anche che la sua predestinazione ad essere Figlio di Dio incarnato precede la predestinazione alla gloria. È questa, per così dire, la “legge” dell’ordine ipostatico. Un discorso analogo vale dunque anche per Maria SS.: ella è predestinata prima alla divina maternità e poi alla gloria; e la dignità che le proviene da questa Maternità sorpassa la pienezza di grazia annunciatale dall’Angelo, e la pienezza della gloria. Quindi, è assolutamente corretto affermare che l’ordine ipostatico sorpassa l’ordine della grazia e l’ordine della gloria, e dunque anche quello della natura.
Questi concetti, che abbiamo cercato di semplificare, dovrebbero essere di dominio comune nella mariologia: perché tanto stupore, dunque, da parte di mons. Staglianò? Se si cerca di cogliere il senso pieno della Maternità divina, si comprende anche perché e in che senso Maria appartiene all’ordine ipostatico, il quale non è una «categoria ontologica intermedia» frutto della creatività di chi scrive, ma è un ordine stabilito da ben altra “Creatività”, nel momento in cui, con un unico decreto, ha predestinato il Figlio e la Madre. Ordine superiore a quello della natura, della grazia e della gloria. Ed è triste e preoccupante che di queste verità non abbiano più contezza né il Dicastero né la Pontificia Accademia di Teologia.
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