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L'APERITIVO

La verità che rende liberi

Trovo da qualche parte, in rete, dei cattolici che si dicono inquieti per alcuni contenuti di questa rubrichetta che nasce, senza pretese,...

A TAVOLA 02_02_2011


Trovo da qualche parte, in rete, dei cattolici che si dicono inquieti per alcuni contenuti di questa rubrichetta che nasce, senza pretese, da “ due chiacchiere “ mattiniere con un collega che mi telefona. Sono cattolici (e dunque , per me, fratelli nella fede, con i quali mi sento solidale) che si chiedono e mi chiedono se sia opportuno non tacere certi episodi della vicenda ecclesiale.

Così, ad esempio, parlando dell’Islam sembra sgradevole ricordare ciò che la storia ci attesta: nell’Africa del Nord i pochi incursori venuta dall’Arabia poterono diventare presto, e con poco sforzo, padroni perché accolti come liberatori dai cristiani locali, in feroce rissa tra loro ma uniti nell’odio verso Bisanzio. Oppure, non tacere che i musulmani sbarcarono in Spagna e, qui pure, in poco tempo si installarono da dominatori, perché chiamati ed aiutati da una parte della nobiltà visigota cristiana in lotta con l’altra parte.

O ricordare che la Francia “cristianissima“ fu spesso e volentieri, persino a Lepanto, dalla parte dei Turchi. O anche, parlando di radici cristiane dell’Europa, riconoscere che in certe zone del Continente il Vangelo fu imposto con la spada, che monaci-soldati come i Cavalieri Teutonici portavano il terrore, che popoli come i Sassoni furono massacrati da “san” Carlo Magno anche perché non volevano accettare il Vangelo, che ancora in pieno Medio Evo i Paesi baltici combattevano in difesa dei loro dèi pagani.

Ho l’impressione che quei cattolici che si dicono sconcertati siano lettori “nuovi“, che non abbiano cioè seguito quanto ho scritto e scrivo, ormai da molti anni, in un’altra rubrica, “Vivaio”, ospitata prima dal quotidiano Avvenire e ora dal mensile Il Timone. In quelle molte pagine (confluite poi in quattro libri, ristampati di recente dalle edizioni Sugarco) mi sono sempre ispirato a una convinzione: quella, cioè, che il Dio di Gesù Cristo non ha bisogno delle nostre bugie o delle nostre furbizie ed omissioni. E che la ricerca della Verità, ma quella tutta intera, è dovere sacro per chi crede nel Vangelo.

Sostengo da sempre la necessità di riscoprire l’apologetica cattolica, intesa nel senso di contrasto delle molte, troppe “leggende nere“ create attorno alla Chiesa dai suoi nemici. Ma l’apologetica può essere un boomerang che ci si ritorce contro, se cercassimo di nascondere le carte che temiamo di mettere allo scoperto. Non esitai a scrivere, con umiltà ma chiarezza, per giunta sulla prima pagina del più diffuso quotidiano italiano, la mia perplessità per le continue richieste di perdono, a tutti, di Giovanni Paolo II. Ma questa perplessità nasceva dal fatto che quel Papa, pur grandissimo, talvolta non sembrava bene informato su certe complesse vicende storiche.

Come ovvio, del resto: quale uomo può essere onnisciente? Ma mi era, e mi è, chiaro che si può, si deve discutere sugli eventi della storia ma che un principio è indiscutibile: la Chiesa è santa eppure è composta da peccatori e il Vangelo è la rivelazione di un Dio che ha voluto affidarsi ai limiti e agli errori della umanità. Come amava dire, forse con una battuta un po’ sbrigativa, Jacques Maritain: una cosa è la sacra Persona della Chiesa, altra cosa è il suo spesso mediocre personale. Dunque, perché scandalizzarci se si riconosce, con umiltà e verità, che tutti (a cominciare dal futuro Capo stesso della Chiesa, che per tre volte tradì in pubblico il Maestro), tutti siamo bisognosi di esami di coscienza?