La vera arma segreta di Al Baghdadi
La vera arma segreta di Al Baghdadi è la disponibilità illimitata dei suoi guerriglieri a morire per una fede fanatica. L'Occidente di oggi, apatico e relativista, non solo non vuole combattere per non rischiare di morire, ma non sa neppure perché e in nome di cosa combattere.
Non fraintendetemi, non sono diventato pazzo e non mi sono convertito all’islam, né a quello degli estremisti né a quello dei moderati, ma non posso non provare un sentimento di ammirazione e anche un po’ di invidia per i combattenti del Califfato.
Le loro gesta mi inorridiscono, temo il loro consolidarsi e il dilagare di quell’ideologia che penetra così rapidamente presso tanti musulmani frustrati dalla loro irrilevanza, così come ho temuto negli anni scorsi al-Qaeda e le sue numerose costole sparse per il mondo. Mi indignano decapitazioni, stupri e il traffico di schiavi, donne e bambini venduti come oggetti sessuali, così come le esecuzioni di massa dei prigionieri siano essi sciiti, cristiani, yezidi.
Però gli uomini del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, tagliagole e terroristi, hanno attributi che i loro avversari neppure tutti insieme riescono a mettere insieme. Hanno un obiettivo preciso e credono in loro stessi e nel loro ideale, certo aberrante per noi ma pur sempre un ideale. Che a noi invece manca.
Che differenze tra loro e noi. Loro combattono “boots on the ground”, non temono di guardare in faccia il nemico e non temono la morte che dispensano a piene mani. Noi invece (anzi, solo alcuni Stati occidentali) ci limitiamo a tirare qualche bomba da 5 mila metri provocando per forza di cose anche “qualche danno collaterale”, come riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Siamo così codardi da voler evitare di mettere nostri soldati sul terreno pur sapendo che la nostra superiorità tecnologica ci farebbe vincere la guerra in due settimane e comporterebbe un rapporto tra le perdite occidentali e quelle dello Stato Islamico di almeno 1 a 100.
Sempre troppe per leadership di smidollati e popoli apatici come i nostri. Nonostante in Occidente tutti i governi non cessino di ripetere quanto siano pericolosi gli uomini del Califfo, nessuno ha il coraggio di mandare i soldati a conquistare lo Stato Islamico. I nostri governanti sanno bene che l’opinione pubblica non vuole sentir parlare di guerra e di morti in guerra. Così l’Occidente investe nelle forze armate il 70% dell’intera spesa mondiale ricavandone in cambio l’incapacità di fare la guerra per davvero. Siamo forti ma infingardi, senza attributi, pigri e passivi.
Per questo il Califfato non ci teme, sa che siamo conigli, hi-tech ma pur sempre conigli. Sopportiamo la guerra solo se mostrata attraverso le fredde immagini in bianco e nero delle telecamere imbarcate su missili e cacciabombardieri. Appena appare il colore, specie il rosso sangue, ne siamo terrorizzati. Quello che galvanizza loro a noi fa una paura tremenda a ci fa perdere la ragione.
Loro sono feroci e fanatici ma combattono per un’ideale, arcaico e orribile che utilizza i mezzi di comunicazione più moderni per diffondere messaggi che risalgono a una decina di secoli fa, ma evidentemente efficaci presso molte società islamiche. Noi non sappiamo perché combattiamo, o meglio, sappiamo che siamo pronti a tutto pur di non combattere, di non subire perdite, di non dover piangere caduti. Abbiamo una causa? Cosa siamo pronti ad accettare ancora, pur di non dover uccidere e morire?
Che vergogna le decapitazioni dello Stato Islamico, ma quante volte ci siamo indignati per le teste mozzate dai boia di Stato sauditi che uccidono in questo modo omicidi, spacciatori di droga e persone accusate di stregoneria? Si, avete capito bene, stregoneria. Un reato punito con la morte a Riyadh, dove si pratica lo stesso islam del Califfato e infatti, non a caso, i sondaggi dimostrano che la popolazione, in buona parte, sostiene lo Stato Islamico. Ma i sauditi con gli altri emirati del Golfo che lo stato Islamico lo hanno creato sono nostri “alleati” e soprattutto investono abbastanza miliardi in Europa da comprarsi anche la nostra coscienza e la nostra identità culturale, merci che del resto abbiamo già messo in saldo da tempo.
Il Califfato non tollera difformità, uccide, rende schiavi e costringe alla fuga chiunque non sia sunnita e aderente all’islam più ortodosso. Loro discriminano tra fedeli e infedeli, tra sunniti e sciiti. Noi siamo così offuscati dal politically correct da definire “europei” i foreign fighters, i volontari partiti dai Paesi occidentali per andare a combattere con il Califfo o con i qaedisti del Fronte al-Nusrah. Avranno anche passaporti europei ma sono tutti (esclusi pochi convertiti) immigrati o figli di immigrati islamici che abbiamo accolto a casa nostra mantenendoli con il nostro welfare.
Non sarebbe il caso di rifletterci prima di continuare a riempire le nostre città di islamici? Prima che il prossimo jihad venga proclamato dalle periferie di Parigi, Londra o Bruxelles? Domande che preferiamo non porci per paura di apparire razzisti e discriminatori e soprattutto per paura di darci delle risposte che sono ovvie ma che ci costringerebbero a rispolverare valori per i quali dovremmo combattere.
Georges Bensoussan, uno dei maggiori storici della Shoah, non esita a definire l'islam “una religione totalitaria, inglobante, che non distingue tra materiale e spirituale. Vi è nel Corano un antisemitismo e un anticristianesimo molto violento e per i musulmani praticanti il Corano è parola sacra, è la parola di Dio”. Lo ha ricordato a Domenico Quirico che lo ha intervistato su La Stampa aggiungendo però che “il pericolo maggiore non è il totalitarismo islamista, è l'incapacità degli intellettuali occidentali di vedere il pericolo per la paura di essere tacciati di islamofobia e di razzismo”.
Sarà anche vero che la maggior parte degli islamici sono “moderati”, ma restano silenziosi o quasi perché temono gli estremisti ma a 13 anni dall’11 settembre 2001, dovremo pur accettare il fatto che l’islam è un problema. Che quella religione deve riformarsi, uscire in qualche modo dal buio medioevo in cui si dibatte perché è diventata una sciagura per il mondo intero incluse le popolazioni che amministra.
Come ha detto in una recente intervista a Le Figaro lo scrittore francese Pascal Bruckner, acerrimo avversario del multiculturalismo e del terzomondismo “sono ancora troppi i fedeli islamici che si pensano vittime dei pregiudizi invece che complici dei fanatici. Troppi musulmani si atteggiano a vittime invece di espellere gli estremisti al loro interno. Ancora una volta, ci sarà la reazione dei vili che diranno che si denigrano i musulmani e che li si disprezza, mentre bisognerebbe dire la verità: questa religione deve urgentemente assoggettarsi a una riforma teologica globale”.
Il rischio di trovarci i decapitatori di Allah come vicini di casa è figlio degli errori, degli eccessi di tolleranza compiuti fino ad oggi. Perché i britannici accettano che in alcuni quartieri di Londra venga di fatto applicata la sharia da islamici che vengono cresciuti ed educati in centri culturali e moschee realizzate con i fondi del Qatar o dell’Arabia Saudita?
Perché abbiamo tollerato le continue discriminazioni e violenze verso donne e bambine praticate da immigrati che in gran parte vivono sulle spalle del nostro welfare, ma si considerano legittimi “padroni” dei loro famigliari? Possiamo continuare ad accettare che ogni anno migliaia di bambine figlie di immigrati africani islamici (bambine che vanno a scuola con i nostri figli) subiscano mutilazioni genitali da medici criminali che lavorano indisturbati anche in Italia?
Abbiamo reciso i legami con la nostra cultura cristiana, liberale e democratica a tal punto da non avere più il coraggio di arrabbiarci davvero per qualcosa? Possiamo accettare tutto in nome di un multiculturalismo in cui in fondo nessuno crede davvero?
“Nel mondo islamico dettano legge i combattenti” ha detto Edward N. Luttwak in un’intervista a Il Giornale nell’agosto scorso. “Sennò perché i giovani abbandonerebbero l’Europa per combattere con lo stato islamico? L’islam dei predicatori gentili e carini è una montatura. I vostri governi sono come Alice nel paese delle meraviglie. S’illudono che ripetendo una bugia tre volte al giorno diventi realtà”.
Civiltà, religioni e culture non sono tutte uguali. Alcune sono basate sui diritti per tutti, altre sulla violenza, sulla proprietà di mogli e figli, sulla morte per chi cambia fede, tradisce il coniuge o pratica la “stregoneria”.
Il confine non è solo tra culture e religioni basate su testi che predicano amore e tolleranza e quelle che pretendono di dominare il mondo, il vero spartiacque tra civiltà e inciviltà è determinato dai diritti che le società attribuiscono a tutti i loro componenti. Se prendiamo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e la confrontiamo con i dettami della sharia, emerge chiaramente l’incompatibilità dell’islam (o di quell’islam che in molti Paesi basa codici civili e penali e costituzioni sulla Legge coranica) con le basi della civiltà che l’umanità si è data all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.
I valori per cui combattere certo non ci mancherebbero, ma li abbiamo dimenticati, privi come siamo di coraggio e consapevolezza. Quante decine di marce per la pace sono state organizzate in Europa per i civili palestinesi di Gaza uccisi dagli israeliani per errore e utilizzati dai miliziani di Hamas come scudi umani? Quante, invece, per mostrare solidarietà ai cristiani iracheni massacrati, stuprati e resi schiavi dallo Stato Islamico? Nessuna.
Abbiamo dimenticato che il nostro tanto vituperato Occidente cristiano e libertario, in termini di diritti e benessere, costituisce quanto di meglio l’umanità abbia prodotto finora come dimostrano i crescenti flussi migratori?
"Siamo in guerra, una guerra che non possiamo permetterci di perdere, e dobbiamo agire senza pietà" ha detto ancora Bruckner che non è certo un ottimista. “Non è lontano il giorno, temo, in cui si decapiteranno francesi a Parigi o a Limoges. La questione, come hanno l'aria di considerarla i servizi francesi, non è sapere se avverrà un attentato sul nostro territorio, ma quando”. Come ricorda Bensossan, citando Winston Churchill, “avete voluto evitare la guerra e ora avrete la guerra e in più la viltà”.