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COSA DICE LA SCIENZA

La ventilazione "dannosa" non riguarda Charlie

La ventilazione invasiva è dannosa quando non fa quello che dovrebbe fare, oppure quando procura un tormento maggiore del sollievo arrecato. Nel caso di Charlie non sussistono le condizioni che identificano la ventilazione come un accanimento terapeutico, altrimenti non si capirebbe questa proroga. Si vuole interrompere la ventilazione perché medici e giudici hanno concordato che la vita di Charlie non è più di beneficio a Charlie. È una vita di bassa qualità.

Vita e bioetica 08_07_2017

La disputa tra chi considera nutrizione ed idratazione assistita (NIA) un trattamento medico (o terapia) e chi li identifica come un semplice sostegno vitale confesso che non mi ha mai appassionato. Come già per il caso Welby, oggi la vicenda del piccolo grande Charlie rende evidente quanto la questione della NIA, anche qualora risolta, sarebbe comunque ben lontana da esaurire le controversie etiche sul fine vita.

Mi rendo conto che la questione della NIA è nella pratica centrale, giacché, come osservava il bioeticista Daniel Callahan, "…un rifiuto della nutrizione nel lungo periodo può diventare l'unico modo efficace per assicurarsi che un gran numero di pazienti biologicamente tenaci muoiano davvero"; tuttavia quello che intendo dire è che ritengo che essa non abbia la stessa rilevanza a livello teorico, giacché ci sono individui biologicamente tenaci che per assicurarsi che muoiano davvero bisogna privarli di qualcos'altro. Charlie Gard è uno di questi. Al momento in qui scrivo il grido che si è levato dal vasto popolo della vita, rinforzato dalla voce di alcuni fari della fede e della ragione, ha travolto i "maanchisti" ecclesiastici e i soliti sacerdoti del culto tanatolatrico, spingendo le vette del potere politico e religioso a prendere posizione in favore di questo cucciolo d'uomo che lotta per la vita in terra d'Inghilterra.

Il governo inglese di fatto ha imitato Ponzio Pilato, dicendo che è una cosa che riguarda i giudici e i medici, quest'ultimi dicono un evergreen della pusillanimità: "Vorrei, ma non compete a me" ed i giudici, nel loro silenzio di questo drammatico "gioco" dell'oca, si mettono anch'essi sulla casella del prefetto della Giudea: "Quod scripsi, scripsi" ("Ciò che ho scritto, ho scritto"). I giudici, dando il potere di morte ai sanitari e privando i genitori dei loro diritti e responsabilità, hanno decretato che ciò che questi genitori vogliono per il loro bambino è né più né meno che una forma di tortura conosciuta come "accanimento terapeutico".

Ora, proviamo a pensare ad un genitore che torturi il figlio, non invocheremmo tutti l'immediato intervento della magistratura? Il direttore Cascioli sarebbe in prima fila ed io e tutti coloro che hanno scritto sulla bacheca Fb il loro sostegno a Charlie gli staremmo accanto. "Intervenga subito la magistratura, la polizia, i carabinieri", diremmo in coro. I medici, rivolgendosi ai tribunali, hanno detto, pur senza dirlo, che il papà e la mamma di Charlie vogliono torturare il loro figlio ed i giudici hanno dato loro ragione: il miglior interesse di Charlie è dunque ... morire.

Non vi è dubbio, se Charlie morirà, avverrà in maniera scrupolosamente legale. Summum ius, summa iniura, scriveva Cicerone nel De Officiis. Per ottenere la morte del bambino nel modo più rapido possibile senza essere costretti all'iniezione letale i medici del Great Ormond Street Hospital (GOSH) intendono interrompere la ventilazione meccanica. Ma ventilare questo piccolo e gravissimo paziente è davvero accanimento terapeutico? È sproporzionato? È una tortura? Quali sono i criteri che ci devono orientare?

Il professor Roberto Colombo, il cardinale Sgreccia e Tommaso Scandroglio, ciascuno per il suo, hanno già offerto solidi argomenti contro la posizione dei medici inglesi. Io stesso sono intervenuto con alcune considerazioni che ora intendo approfondire. Sir William Osler osservava al letto del malato che la pratica medica è un bilanciamento tra l'arte della probabilità e la scienza dell'incertezza. Quando diciamo ad un paziente "prendi questo farmaco", oppure "devi farti operare", noi medici facciamo previsioni, previsioni ragionate, previsioni supportate da studio ed esperienza, ma pur sempre previsioni, dunque incerte ("incertae providentiae nostrae", recita il libro della Sapienza).

E ciò che prevediamo è che quello che ci accingiamo a fare farà ciò per cui è stato pensato e per cui lo usiamo e non farà ciò che temiamo e vogliamo evitare. Prevediamo inoltre che il risultato complessivo migliori la condizione oggettiva e soggettiva del paziente, perché, come dice il detto, dove non c'è guadagno, c'è rimessa. Possiamo essere talmente incerti che talvolta, tra desistenza e accanimento, scegliamo l'insistenza, facciamo cioè un altro tentativo nonostante il precedente non abbia avuto successo, perché è possibile che qualche minima variazione nel frattempo intervenuta, che non conosciamo e non vediamo, possa portare al successo.

Le apparecchiature per la ventilazione sono state progettate e sono impiegate per consentire la funzione vitale della respirazione: ossigenazione del sangue ed eliminazione dell'anidride carbonica. Considerando che l'organismo sottoposto a ventilazione invasiva (V.I.) non è equiparabile ad una camera d'aria da insufflare e sgonfiare, le situazioni in cui la V.I. cessa di essere indicata sono molteplici. Schematicamente: quando essa non fa quello che dovrebbe fare, oppure quando quello che dovrebbe fare e fa finisce per essere comunque inutile, oppure ancora quando per fare ciò che fa si procura un tormento maggiore del sollievo arrecato.

Possiamo fare degli esempi: sottoposto a ventilazione invasiva, il polmone può andare incontro ad un danno acuto o cronico (ventilator induced lung injury) di natura meccanica o pro-infiammatoria che determina un sovvertimento della struttura architettonica polmonare fino a rendere inefficace l'azione dell'apparecchiatura. Alternativamente le condizioni polmonari possono essere a tale punto compromesse (per precedenti o intercorsi processi infettivi, tumorali, infiammatori, o tossici) da non consentire scambi respiratori efficaci quale risultato della ventilazione. Possono essere presenti una costellazione di problemi (decubiti, emorragie, stenosi, formazioni di fistole, mancata tenuta) a livello della tracheostomia che rendano impossibile un'efficace ventilazione.

La futilità della ventilazione può manifestarsi allorquando insorga o si aggravi una patologia cardiocircolatoria; è inutile ossigenare il sangue se questo non circola nel corpo. Infine la ventilazione, come ogni altro trattamento, può risultare sproporzionata quando il paziente percepisce una sofferenza derivante dal trattamento insopportabile e comunque superiore al beneficio apportato. In questi casi l'intenzione è discriminante: il paziente non vuole morire (come eutanasicamente ha voluto Welby, rivendicandolo quale diritto), ma desidera sottrarsi all'insopportabile sofferenza, fisica o psicologica, apportata dal trattamento stesso ed accetta la morte come una conseguenza prevista, ma non voluta.

Quando al numero 2278 del Catechismo si legge che “L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi puo? essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico”, il termine onerose non deve essere inteso come limitato agli aspetti economici, ma all'insieme di condizioni che rendono quel trattamento un peso insostenibile per una determinata persona. La tradizione morale della scuola di Salamanca del XVI e XVII secolo ha identificato nel dolore, la difficoltà a reperire le cure, la dispendiosità, lo sforzo nel riceverle e persino un'insuperabile paura o ripugnanza tra le motivazioni idonee a scusare moralmente il rifiuto di cure pure oggettivamente proporzionate.

Certo, è dovere del medico fare di tutto per attenuare tale sofferenza, rafforzando anche la forza e la resistenza del paziente con gli strumenti a sua disposizione, ma nell'assumere decisioni all'interno della relazione di cura i due attori, medico e paziente, devono sempre sforzarsi di agire moralmente, facendo il bene ed evitando il male, verso l'altro e verso se stessi.

Nel caso del piccolo Charlie non sussiste alcuna delle condizioni che identificano la ventilazione come un accanimento terapeutico, altrimenti non si capirebbe questa proroga, e dunque in realtà si vuole interrompere la ventilazione perché medici e giudici hanno concordato che la vita di Charlie non è più di beneficio a Charlie. È una vita di bassa qualità, scrivono i giudici inglesi, è una vita senza possibilità di autonomizzazione presente o futura, dice la giovane dottoressa Alessandra Rigoli (ma i malati di SLA e di Alzheimer quanta possibilità di autonomizzazione avranno?), e dunque è una "Lebensunwertes Leben" (vita indegna di vita), concorderebbero il giurista Karl Binding, il medico Alfred Hoche, il dottor Karl Brandt e tutti i commissari del programma Aktion T4.

Qui non interessa la motivazione del fatto, la purezza della razza, o la pietà (in realtà "una falsa pietà, anzi una preoccupante «perversione» di essa", scriveva San Giovanni Paolo II), ma il fatto in sé che si afferma: quando la qualità di vita di un essere umano è sufficientemente scarsa, lo Stato può decretarne la morte attraverso la rimozione di ciò che gli serve per vivere. Pensate davvero che farà una grande differenza farlo iniettando una sostanza, invece che spingendo il pulsante "off" sul ventilatore?

La drammatica storia del piccolo Charlie mi riporta alla mente quanto Robert Spaemann, non confermato alla Pontificia Accademia per la Vita (PAV), scriveva nel suo saggio "Persone. Sulla differenza tra qualcosa e qualcuno". Contro la posizione di chi separa gli esseri umani dalle persone, o la vita biologica dalla vita biografica, per usare un'espressione cara al professor Nigel Biggar, neoincaricato alla PAV, contro la posizione di qualche gesuita, anch'egli ora promosso alla PAV, che ritiene un trattamento sproporzionato sostenere la vita delle persone in stato vegetativo prolungato, Spaemann in quel libro diceva che anche la vita apparentemente più inutile non è mai inerte; come Terry Schiavo, Karen Ann Quinlan, Nancy Cruzan, Tony Bland, Eluana Englaro, anche il piccolo Charlie Gard è stato capace di tirarci fuori la parte migliore di noi, la nostra umanità. E nel farlo egli ha dato molto più di quanto abbia ricevuto.

Tutto questo mantiene il proprio valore anche dopo l'arrivo di una buona notizia, la richiesta presentata dai medici del GOSH di un nuovo pronunciamento da parte della Corte, frutto dell'enorme pressione mediatica e delle incalcolabili preghiere. Tuttavia i medici del GOSH mantengono il punto: "Esperti esterni hanno convenuto con il nostro team che il trattamento sarebbe ingiustificato. Hanno detto che sarebbe inutile e prolungherebbe la sofferenza di Charlie", hanno affermato in una nota. Ora spetta ai giudici inglesi prendere atto della realtà e rimettere Charlie al posto che gli spetta, quello di paziente la cui vita è meritevole di vita. Sapranno farlo?