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IL NAUFRAGIO

La tragedia greca e quei soccorsi rifiutati

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Strage di emigranti nel Mediterraneo, al largo delle coste ioniche della Grecia. La barca era salpata da Tobruk, Libia. La guardia costiera greca si era offerta di aiutare, ma l'aiuto è stato respinto: il trafficante doveva andare in Italia perché temeva le leggi greche. Tutto nasce dall'equivoco fra emigrante illegale e rifugiato e dall'abuso del diritto di accoglienza. 

Editoriali 16_06_2023 Español
Grecia, primi soccorsi

Continuano incessanti le ricerche dei sopravvissuti al naufragio di una imbarcazione carica di emigranti irregolari verificatosi nella notte tra il 13 e il 14 giugno al largo delle coste meridionali della Grecia, 80 chilometri circa a sud ovest di Pylos. Finora 104 persone sono state salvate e portate a Kalamata dove molte, che presentavano sintomi di ipotermia e ferite leggere, sono state ricoverate in ospedale. Delle persone soccorse 43 sono egiziane, 47 siriane, 12 pakistane e due palestinesi. I morti accertati sono al momento 79, ma il bilancio delle vittime è destinato a salire. Non si sa con certezza quante persone fossero a bordo, ma si ritiene non meno di 400 e, stando ad alcuni sopravvissuti, da 500 a 750, quasi tutti ragazzi intorno ai 20 anni tra i quali decine di minorenni. Di sicuro erano molti più di quanti l’imbarcazione potesse trasportarne, a giudicare dalle riprese effettuate prima del naufragio.

La nave era partita da Tobruk, Libia, diretta verso le coste italiane. Era stata avvistata in acque internazionali da un aereo di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Le autorità greche si erano quindi messe più volte in contatto con l’imbarcazione via satellite offrendo aiuto che però è stato rifiutato. Poi, alcune ore dopo l’ultimo contatto, qualcuno dalla nave ha chiamato la guardia costiera greca e ha detto che il motore dell’imbarcazione non funzionava bene. Alarm Phone, l’Ong che dal 2014 fornisce assistenza agli emigranti illegali che attraversano il Mediterraneo, sostiene di aver saputo da alcuni passeggeri che il capitano aveva lasciato la nave a bordo di una piccola barca. Infine, verso le 2 di notte, l’imbarcazione ha incominciato a oscillare e poi si è ribaltata, affondando in pochi minuti.

“Noi vogliamo andare in Italia” è stata la riposta a tutte le offerte di aiuto. “Era una barca da pesca piena zeppa di gente. Hanno rifiutato la nostra assistenza perché volevano andare in Italia – ha dichiarato ai mass media il portavoce della guardia costiera greca, Nikos Alexiou – siamo rimasti vicino a loro per aiutarli in caso di necessità, ma hanno sempre rifiutato”. Alarm Phone, che invece accusa di negligenza la guardia costiera, ritiene che in effetti gli emigranti temevano di avere a che fare con le autorità greche, consapevoli delle “orribili e sistematiche pratiche di respingimento del paese”. 

Le pratiche “orribili” a cui fa riferimento Alarm Phone sono quelle adottate dal governo greco dopo il 2019: rafforzamento dei controlli in mare, pene più severe per i trafficanti, tempi molto abbreviati rispetto al passato per esaminare le richieste di asilo, più attenzione e rigore nel rifiutare quelle infondate che anche in Grecia, come in Italia, sono la maggior parte. Consapevoli di non poter restare in Grecia, salvo ovviamente la piccola percentuale di chi chiede asilo con ragione, un numero crescente di emigranti irregolari, e i contrabbandieri di uomini con loro, sono confluiti sulle rotte più sicure che portano in Italia, anche a costo di prolungare il viaggio e aumentarne i rischi. Da quasi 60mila nel 2019, gli arrivi via mare in Grecia sono scesi a poche migliaia: dall’inizio di quest’anno 6.498, mentre in Italia sono sbarcate 55.560 persone. 

Yiorgos Michelidis, funzionario del ministero delle migrazioni greco, intervistato dalla Bbc poche ore dopo il naufragio ha ricordato che la Grecia ha più volte detto che l’Unione Europea deve elaborare “una politica migratoria concreta”, che “accetti solo chi ha davvero bisogno e non chiunque abbia abbastanza denaro per pagare i contrabbandieri di uomini. Ora come ora, sono loro, i contrabbandieri di uomini, a decidere chi viene in Europa. Spetta all’Unione Europea dare asilo, aiuto e sicurezza, ma a chi ne ha davvero bisogno. Non è un problema solo della Grecia, dell’Italia, di Cipro…”.

Il governo greco ha ragione. Uno Stato da solo non può mettere fine all’emigrazione irregolare e in realtà non può farlo neanche la stessa Unione Europea. È un fenomeno che richiede interventi e politiche globali che coinvolgano, tra gli altri, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’Unione Africana, nel caso degli emigranti da quel continente che sono circa il 70% del totale. Anche gli accordi con singoli stati, di origine e di transito, attraversati dalle rotte di terra che portano al Mediterraneo, hanno maggiori probabilità di successo se gestiti globalmente.

Nessun piano di contenimento, però, può avere successo se prima di tutto non si torna a distinguere, come principio e nella sostanza, rifugiati ed emigranti illegali, se non si smette di affermare che gli ingressi illegali in Europa sono un diritto sempre, comunque, e sempre un dovere accettarli. Nessuno che approfitti del diritto internazionale e della Convenzione di Ginevra per i rifugiati per entrare in un paese senza documenti e chiedere asilo come espediente per non essere respinto dovrebbe essere premiato con lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria, un permesso di soggiorno, o almeno con una accoglienza lunga anni in attesa del giudizio definitivo sulla richiesta presentata.  Al tempo stesso nessun profugo, davvero in fuga per salvare vita e libertà, dovrebbe essere costretto a percorrere migliaia di chilometri, pagare migliaia di dollari alle organizzazioni criminali che gestiscono i viaggi clandestini e affrontare rischi, disagi e l’incertezza di riuscire ad arrivare a destinazione. Deve, come è suo diritto, ottenere asilo nel primo paese straniero in cui mette piede, lì trovare aiuto da parte delle autorità locali e dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati e poi, se lo desidera e se è fattibile, essere assistito nel trasferimento in un paese terzo, ad esempio, europeo.

L’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi ha ripetuto, come già più volte in passato, che i governi devono collaborare per creare dei percorsi sicuri per chi fugge dalla povertà e dalla guerra. È impossibile che non sappia che per i rifugiati quei percorsi esistono già e che la prima a doversi impegnare affinché funzionino bene, per tutti, è proprio l’agenzia Onu di cui è a capo.      

I morti di questo ultimo naufragio si aggiungono agli oltre mille già registrati nel Mediterraneo dall’inizio del 2023, senza contare le vittime lungo le rotte di terra, specie quelle africane. Le Nazioni Unite hanno calcolato che dal 2014 nel Mediterraneo centrale sono morte più di 20mila persone. Il naufragio più grave finora era stato quello verificatosi nel 2015, nel quale sono morti da 700 a 900 emigranti, quasi tutti africani. 


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