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CONTINENTE NERO

La terza "corsa all'Africa" fra le nuove potenze

Usa, Cina, Ue, India, Turchia, Russia... sono tante le potenze che investono in Africa. Tanto che si parla di terza "corsa all'Africa" dopo quella dell'Ottocento fra potenze coloniali europee e quella della Guerra Fredda fra Usa e Urss. Ma le condizioni sono cambiate e i leader africani si fanno corteggiare a suon di finanziamenti miliardari.

Esteri 26_01_2023
Qin Gang (ministro degli Esteri cinese) in Etiopia

Il ministro degli esteri della Cina, Qin Gang, è stato in Africa dal 9 al 16 gennaio. Ha visitato Etiopia, Gabon, Angola, Benin ed Egitto. Scopo del viaggio è stato confermare “l’importanza che la Cina attribuisce alla sua tradizionale amicizia e allo sviluppo delle sue relazioni con l’Africa”. In Etiopia, che dalla Cina ha ottenuto prestiti per quasi 14 miliardi di dollari negli ultimi 20 anni, Quin Gang ha avuto colloqui, oltre che con il primo ministro Abiy Ahmed Ali, con i vertici dell’Unione Africana, l’organismo comprendente tutti i paesi del continente che ha sede nella capitale etiope Addis Abeba in un edificio di 20 piani, dono di Pechino.

Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha iniziato in Senegal il 17 gennaio un viaggio in Africa che si sta concludendo in questi giorni in Sudafrica, dopo una tappa in Zambia, paese andato in default nel 2020. Scopo della missione è “approfondire i legami economici con il continente, incrementare investimenti e scambi commerciali, promuovere una crescita economica sostenibile e inclusiva”. Un mese prima il presidente Usa Joe Biden, ricevendo le delegazioni di 49 Stati africani, aveva confermato lo stanziamento in favore dell’Africa di 50 miliardi di dollari nell’arco di tre anni e il suo impegno a far sì che l’Unione Africana diventi membro permanente del G20.

L’Unione Europea cerca di stare al passo con Stati Uniti e Cina. Il 18 gennaio ha annunciato di aver portato a 1,7 miliardi di euro i fondi per l’assistenza umanitaria nel 2023, almeno un terzo dei quali destinati all’Africa. In occasione della conferenza ad alto livello sulla regione del lago Ciad, svoltasi nella capitale del Niger, Niamey, il 23 e 24 gennaio, si è impegnata per il 2023 a fornire aiuti alla regione per un totale di 102 milioni di dollari che andranno a Nigeria, Niger, Ciad e Camerun. Nel 2022, in concorrenza con la Via della Seta, il progetto cinese di infrastrutture da oltre mille miliardi di dollari, ha costituito il Global Gateway, una iniziativa ambiziosa che mira a sviluppare nuove infrastrutture soprattutto in Africa. L’impegno finanziario previsto è di 318 miliardi di dollari, da spendere tra il 2021 e il 2027.

Ma Cina e Stati Uniti non sono i soli paesi dai quali l’Unione Europea deve difendere la sua presenza in Africa. Altri Stati, e imprese, negli ultimi anni hanno dimostrato un crescente interesse nei confronti del continente. Dal 2010 in Africa sono state aperte da paesi asiatici e sudamericani più di 320 ambasciate. Il solo Brasile ne ha aperte 29, prevalentemente in Africa sub sahariana, la Turchia 26 (attualmente ne ha 43). In 20 anni Ankara ha portato i rapporti commerciali bilaterali con l’Africa da cinque a 25 miliardi di dollari. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha visitato 32 Stati africani dal 2003 a oggi. L’India nel 2018 è diventato il terzo più importante partner commerciale del continente dopo Cina e Stati Uniti, scalzando la Francia. La scorsa estate 40 ministri africani di 17 paesi si sono trovati a New Delhi per un importante vertice economico. La Russia, dal 2014, ha firmato accordi di aiuto militare con 19, forse 20 paesi. Il 23 gennaio il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, era a Pretoria, in Sudafrica, per incontrare il suo omologo, Naledi Pandor, a pochi giorni dall’inizio delle esercitazioni navali sudafricane con la Russia e con la Cina che si svolgeranno dal 17 al 27 febbraio nel porto di Durban e nella Richards Bay. Il Sudafrica non ha preso posizione in merito alla guerra in Ucraina, astenendosi quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha chiesto di votare contro l’invasione russa e per chiedere a Mosca il ritiro delle truppe. Durante la conferenza stampa al termine dei colloqui, Lavrov si è complimentato per la posizione “equilibrata” e “rispettosa” assunta dal Sudafrica e Pandor ha definito l’incontro “bellissimo” aggiungendo, in difesa delle esercitazioni militari, che il suo paese in passato ha ospitato analoghe esercitazioni con la Francia, gli Stati Uniti e con la NATO.

L’interesse attuale nei confronti del continente africano da parte di diversi paesi, per assicurarsi le sue risorse e non soltanto, fa dire a molti osservatori che è iniziata una nuova “corsa all’Africa”, la terza. La prima (chiamata anche “spartizione dell’Africa”) risale alla fine del Diciannovesimo Secolo e ha portato alla colonizzazione europea del continente: a “spartirsi” l’Africa sono stati sette paesi europei. La seconda si è verificata durante la guerra fredda (tra il 1947 e il 1991) quando gli stati occidentali e quelli comunisti hanno cercato di estendere a quanti più paesi africani possibile la loro influenza.

Ma questa volta l’Africa non è indifesa e inerme. I suoi leader avidi e irresponsabili, ma tutt’altro che sprovveduti, sanno che cosa vogliono e come ottenerlo. I paesi concorrenti si disputano il continente a suon di miliardi di dollari, incuranti del fatto che per malgoverno e corruzione tanta parte vada sprecata e per questo il continente affondi nei debiti. Gli Stati Uniti dicono di voler convincere gli africani con argomenti di carattere morale promettendo che i loro aiuti e i loro prestiti saranno trasparenti e corretti a differenza di quelli offerti dalla Cina. “Non siamo in competizione con la Cina – ha spiegato il segretario al tesoro Usa Yellen, arrivata in Sudafrica il 24 gennaio appena poche ore dopo la partenza del ministro russo Lavrov – ma vogliamo evitare di creare i problemi che a volte gli investimenti cinesi hanno causato. Vogliamo garantire che ci sia trasparenza, che i nostri progetti arrechino davvero benefici generali agli africani e non lascino una eredità di debiti insostenibili”. Non è detto che funzioni. Gli africani finora hanno dimostrato di apprezzare chi offre prestiti alle condizioni più favorevoli, contratti con paesi e organismi internazionali (come l’Fmi e la Banca Mondiale) disposti a chiudere un occhio su come vengono usati e a rinegoziarli, meglio ancora a cancellarli. Se poi per trasparenza e correttezza si intendono controlli rigorosi, inflessibili su come aiuti e prestiti vengono spesi, molto probabilmente continueranno a scegliere chi ne fa a meno.