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ECONOMIA

La tempesta continua, Monti attende

Il nuovo capo del Governo cerca ancora di trovare l'equilibrio tra tagli e incentivi alla crescita. Ma la vera partita si gioca sulle liberalizzazioni.

Editoriali 29_11_2011
mario monti

Sarà lunedì 5 dicembre il giorno in cui il Governo presieduto da Mario Monti prenderà le prime misure economiche. Venti giorni dopo aver incassato la fiducia da parte del Parlamento.

A prima vista una delusione. Ma come? sembra legittimo chiedersi, Monti è stato chiamato in tutta fretta perché si era creata una situazione di emergenza sul fronte dei mercati finanziari ed una volta giunto al Governo non ha mosso un dito e non è riuscito nemmeno a nominare in tempi rapidi i sottosegretari? E poi. Si erano moltiplicate le accuse a Berlusconi per essere la causa della continua crescita dei tassi di interesse sui titoli italiani e dopo che è arrivato Monti lo spread (la differenza tra i titoli italiani e quelli tedeschi) ha continuato imperterrito a navigare oltre i 500 punti.


Ma al di là delle polemiche politiche è bene guardare con realismo allo scenario complicatissimo che ci troviamo ad affrontare. E allora non bisogna dimenticare quattro elementi:

1) quello di Monti è sicuramente un Governo di tecnici, ma è un Governo che deve comunque, e giustamente, chiedere l’approvazione del Parlamento per le misure che andrà ad adottare: e quindi ha la necessità di concordare queste misure con i partiti;

2) le misure da prendere devono tener conto di tre obiettivi difficilmente conciliabili, ma comunque indispensabili: il risanamento dei conti, la crescita, l’equità;

3) provvedimenti eccessivamente pesanti e non equilibrati potrebbero avere l’effetto contrario di quello desiderato perché farebbero convincerebbero i mercati che la situazione è peggiore di quella reale;

4) l’Italia è parte della crisi europea e un intervento razionale non può che essere varato con la partecipazione in primo luogo di Francia e Germania con cui il Governo italiano è tornato a dialogare costruttivamente.


Ecco quindi che c’è una logica in questo ritardo. E c’è più di una ragione per credere che la manovra che sarà varata a dicembre non sarà una delle tradizionale “stangate”, cioè un semplice aumento delle tasse, quanto una serie di interventi che dovranno soprattutto creare fiducia interna e internazionale attorno all’Italia.


Come aveva sottolineato Monti nel discorso alle Camere l’Italia ha sì bisogno di consolidare i progressi compiuti sui conti pubblici, ma soprattutto deve cercare di fare un’operazione che liberi le risorse dell’economia, che ridia spazio all’iniziativa e al merito, che metta a frutto il patrimonio dello Stato, che limiti privilegi e rendite di posizione, che rimetta al centro la persona e la famiglia. In questa prospettiva i tecnici delle finanze sono al lavoro perché l’inevitabile aggravio di imposte sia modulato in modo da puntare sulla progressività nel rispetto del dettato costituzionale. E’ da escludere in questa prospettiva una pura e semplice reintroduzione dell’Ici (l’imposta comunale sugli immobili abolita da Berlusconi per la prima casa). E’ probabile infatti che il Governo opererà soprattutto sulla nuova Imu (Imposta municipale unica) di cui era già prevista l’introduzione nell’ambito del federalismo fiscale e che potrà tener conto di redditi e carichi familiari oltre che eventuali situazioni di disagio sociale.


Ma gli interventi sulle imposte, così come quelli sulle pensioni, non potranno essere eccessivamente penalizzanti proprio per evitare ulteriori freni ad una economia che marcia già sul posto.

Il vero salto di qualità a cui è atteso il Governo Monti sarà sul fronte delle liberalizzazioni e delle dismissioni del patrimonio pubblico: due temi fondamentali per crescita e risanamento, due temi su cui i precedenti governi non sono mai riusciti a incidere in maniera significativa. Perché l’Italia ha molti lati positivi: ha grandi ricchezza pubbliche e private, ha un’ancora elevata capacità di risparmio delle famiglie, ha un sistema bancario e assicurativo con solide fondamenta finanziarie, ha forti possibilità di crescita in particolare nel settore dei servizi.


Intanto però la tempesta continua sui mercati finanziari. Quindici anni fa l’allora presidente della Fed, Alan Greenspan, mise in guardia contro quella che chiamò “l’esuberanza irrazionale” dei mercati. Ora si potrebbe parlare di “depressione irrazionale”. Ed è forse il momento di affrontare i problemi alla radice (e c’è un solo modo: invertendo in maniera drastica la tendenza degli Stati ad indebitarsi) senza limitarsi a curare solo le conseguenze della crisi come si è fatto negli ultimi anni.