La task force degli psicologi per sdoganare il «poliamore»
All’interno della Divisione 44 dell’Apa, quella deputata a normalizzare gli stili di vita omosessuali e transgender, si sta formando una squadra di psicologi (con un enorme budget) per rispondere «ai bisogni delle persone che praticano la non monogamia sessuale». Un ulteriore passo nella guerra dichiarata alla famiglia e al diritto naturale.
Psicologi al lavoro per sdoganare le unioni «poliamorose», quelle cioè composte da molteplici partner. No, purtroppo non è una bufala bensì quanto sta accadendo in seno all’American Psychological Association (Apa), dalla cui Divisione 44 - quella deputata, in buona sostanza, a normalizzare gli stili di vita omosessuali e transgender - sta venendo a formarsi nientemeno che una task force per rispondere «ai bisogni delle persone che praticano la non monogamia sessuale» e alle loro «identità marginalizzate».
Ora, che cosa vuol dire battersi per l’inclusività di chi pratica la «non monogamia sessuale», se non legittimare le unioni «poliamorose»? È palese che si tratti di questo. Del resto, chi volesse entrare a far parte di questa istituenda unità è tenuto a esprimere il proprio consenso ad affermazioni del tipo «appoggio la ricerca e la sensibilizzazione sui problemi che debbono affrontare gli individui impegnati in relazioni consensuali non monogamiche»; non ci sono dunque dubbi sul fatto che l’Apa - ovviamente camuffando la propria azione con i soliti intenti solidaristici - intenda davvero procedere verso lo sdoganamento dei «poliamori». Fanno inoltre pensare sia l’enorme budget che l’Apa pare abbia a disposizione (si parla di oltre 100 milioni di dollari) sia il fatto che alla guida di questo gruppo ci saranno Amy Moore e Heath Schechinger, con quest’ultimo già autore di scritti - ovviamente possibilisti - sulla «non monogamia sessuale».
Trova così un’ulteriore conferma il sospetto di chi ipotizzava che, dopo le nozze gay, sarebbe stata questa la tappa successiva nell’ormai pluridecennale guerra avviata contro il diritto naturale. D’altra parte, è da anni che tutto un certo tipo di ambiente culturale si augura chiaramente, apertis verbis, l’avvento delle unioni «poliamorose». Come per esempio Jacques Attali, l’economista ed ex consigliere di Mitterrand, nonché padrino politico del presidente Macron, il quale nei suoi testi prefigura un mondo dove le relazioni tutte verranno sostanzialmente a liquefarsi in favore di illimitate libertà, con legami multipli e sempre revocabili. «Un giorno», prevede a questo proposito Attali, che andrebbe preso tremendamente sul serio, «il sentimento amoroso potrà essere talmente intenso da implicare più persone alla volta […], il poliamore, in cui ciascuno potrà avere più partner sessuali distinti; la polifamiglia, in cui ciascuno apparterrà a più famiglie; la polifedeltà, in cui ciascuno sarà fedele a tutti i membri di un gruppo dalle sessualità multiple».
Come se non bastasse, già nel 2009 il settimanale Newsweek riferiva di molte decine di migliaia di unioni «poliamorose». E non sono mancati neppure cosiddetti vip, negli ultimi tempi, a sponsorizzare tutto ciò. Si pensi, tanto per fare un esempio, a Frankie Grande, 35 anni, attore e ballerino - fratello della più nota Ariana, attrice, cantante e compositrice statunitense - il quale lo scorso anno ha annunciato pubblicamente su Instagram il suo rapporto a tre con una coppia gay.
Gli psicologi americani, nell’istituire la loro task force per i «poliamori», non fanno quindi che conferire un tocco istituzionale e una patina di (pseudo)scientificità a una propaganda in corso da tempo. E, come si diceva poc’anzi, del tutto prevedibile. D’altra parte, come hanno fatto notare fior di intellettuali quali il professor Robert P. George, accademico di Princeton, una volta accettato il principio secondo cui la famiglia non deve necessariamente prevedere componenti di sesso diverso, il superamento della stessa idea che l’unione familiare sia una cosa a due - anziché a tre o cinque o dieci - è solo questione di tempo. E questa accelerazione dell’Apa, a ben vedere, lo conferma.
Continua così quel processo di folle rivoluzione per cui l’accettazione del disordine reca con sé pure la stigmatizzazione del normale. Siamo cioè ormai al punto che è chi disapprova le «nozze gay» e, tra poco, le unioni «poliamorose» a essere guardato come a un caso umano, senza che a quasi nessuno venga più in mente che esiste un ordine naturale che nessuna società può permettersi di stravolgere senza poi pagare un prezzo altissimo. Come fermare questo processo? Scriverne e parlarne, prima che si sia messi dinnanzi al fatto compiuto, può essere già un piccolo passo in avanti. O almeno non uno indietro. Che di questi tempi è già moltissimo.