La svolta Usa può cambiare le sorti in Siria
L'annunciato cambiamento della strategia americana in Siria, con il regime di Assad non più considerato un nemico e lo stop agli aiuti militari alle milizie anti-Assad, potrebbe incanalare il conflitto siriano verso la sua fine e ridisegnare le alleanze nella regione mediorientale.
Come aveva preannunciato già in campagna elettorale l’Amministrazione di Donald Trump ha intensificato i raid aerei contro lo Stato Islamico in Siria potenziando la presenza di truppe statunitensi nel nord del Paese a sostegno delle milizie curdo-arabe ma ha al tempo stesso modificato l’approccio nei confronti del regime siriano non più considerato nemico.
Si tratta del più importante cambiamento nella strategia statunitense in Medio Oriente dall’inizio delle cosiddette “primavere arabe” incoraggiate da Barack Obama e in qualche caso anche con l’impiego di forze militari come nel caso del conflitto libico contro Muammar Gheddafi e del sostegno ai ribelli siriani (anche quelli jihadisti) contro il regime di Damasco.
Il futuro del presidente siriano Bashar al-Assad "dipenderà dal popolo siriano" ha sottolineato venerdì il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, dopo che l'ambasciatore Usa all'Onu, Nikki Haley, aveva dichiarato che non è più una priorità degli Stati Uniti l'uscita di scena di Assad per risolvere la crisi siriana.
Confermando il rovesciamento della politica perseguita negli ultimi anni dall’Amministrazione Obama, Nikki Haley ha ribadito all’agenzia di stampa AP che ''la nostra priorità non è più focalizzata sui modi per cacciare Assad”.
Haley ha affermato di voler lavorare con Turchia e Russia per trovare una soluzione politica di lungo termine in Siria, piuttosto che mantenere l'attenzione sulla sorte del presidente siriano. Un’apertura che potrebbe accelerare il tracollo dell’Isis in Siria e il raggiungimento di un accordo che forse non dividerà il Paese ma probabilmente ne attribuirà una sorta di “aree di influenza” a garanzia degli interessi di Mosca e Ankara (ma pure dei curdi e dell’Iran che sembra voler ottenere una base navale nel Mediterraneo utilizzando in porto siriano). Un tema spinoso quest’ultimo considerato l’atteggiamento di Washington nei confronti di Teheran.
Per la Haley infatti è “prioritario guardare alla realtà dei fatti e capire come è meglio agire, valutare con chi dobbiamo lavorare per fare davvero la differenza per il bene del popolo siriano”.
Per gli Usa è fondamentale allentare l’influenza di Teheran e la presenza militare iraniana in territorio siriano (circa 60 mila combattenti secondo finti d’intelligence britanniche) anche se Trump ha riaffermato il desiderio di lavorare a stretto contatto con la Russia, assieme all’Iran alleato del presidente Assad, per cercare una soluzione percorribile che metta fine al conflitto.
Del resto già da almeno un anno l’amministrazione Obama aveva messo da parte la pregiudiziale della rimozione di Assad attribuendo maggiore priorità alla lotta allo Stato islamico pur senza rinunciare ad aiutare i ribelli anti-Damasco diversi dallo Stato Islamico. Anche perché l’intervento militare russo a fine 2015 a sostegno del governo siriano aveva reso impossibile far cadere Assad e il suo regime.
Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha sottolineato che il futuro di lungo periodo di Assad “sarà deciso dal popolo siriano” ma la vera svolta di Washington è determinata dallo stop a ogni tipo di aiuto militare alle diverse milizie che combattono Assad per concentrare gli sforzi militari sulle Syrian Democratic Forces, milizie curdo-arabe che combattono l’Isis e stanno avanzando verso Raqqah, capitale del Califfato.
Il cambio di rotta dell’amministrazione americana ha sollevato proteste fra i vertici dell’opposizione anti-Assad. Monzer Makhos, portavoce dell’Alto comitato per i negoziati (Hnc), appoggiato dai sauditi, esclude “qualsiasi ruolo” attuale o futuro per il presidente siriano. “L’opposizione non accetterà mai - ha dichiarato il portavoce ribelle - alcun ruolo di Bashar Assad, in nessun momento".
Sul piano strategico occorrerà ora valutare se Arabia Saudita e Qatar saranno disponibili ad accettare la sconfitta delle milizie che hanno sostenuto finora in Siria in cambio dell’appoggio USA a contenere la potenza iraniana. In tal caso il conflitto siriano potrebbe concludersi entro pochi mesi con la caduta di Raqqah e di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli islamisti anti-Damasco.