INTERVISTA
«La storia è in marcia anche in Iran»
Parla la scrittrice iraniana Sara Yalda: «Il movimento verde non mette in discussione la repubblica islamica, ma vuole la democrazia».
Attualità
17_02_2011
La protesta di questi giorni porterà cambiamenti nella società iraniana?
Certo. L’onda egiziana è arrivata fino all’Iran e di conseguenza, dopo più di un anno di silenzio ha risvegliato la fede dei manifestanti. Migliaia di persone hanno coraggiosamente sfidato il divieto governativo e sono scesi in strada a manifestare, lunedì 14 febbraio. Non solo per le strade di Teheran, ma anche per quelle d’Ispahan e di Chiraz. Quale sarà la conquista della contestazione? Il governo se ne andrà o farà delle concessioni politiche e sociali? Per il momento la situazione è difficile e dura: gli ultraconservatori hanno accusato i leader dell’opposizione, Moussavi e Karoubi, e adesso loro sono tenuti agli arresti domiciliari. La storia è in marcia, ma non avanzerà nella stessa maniera che al Cairo e a Tunisi. L’Iran è un paese di chiari-scuri, una società che poggia sulla dissimulazione e s è evoluta in maniera sotterranea senza decodificare mai del tutto le forze che l’attraversano. Un paese che può improvvisamente passare dall’apparenza e dal nascondiglio alla luce.
Quali differenze fra la protesta iraniana di oggi e quella del 2009?
Nel 2009 i manifestanti contestavano le elezioni presidenziali. Allora c’è stata la nascita del movimento verde. Oggi il movimento c’è, anche se molto giovane e poco strutturato, però esiste e fa riferimento a quanto è avvenuto in Egitto e in Tunisia.
Quali sono le somiglianze e le differenze tra la protesta iraniana e quelle in Egitto e in Tunisia?
Il fenomeno comune è che la protesta, anche in Iran, nasce dalla borghesia istruita che comunica attraverso le tecnologie moderne, usa le televisioni satellitari, socializza tramite internet e sfugge in questo modo alla censura. Oltre a ciò, motore comune delle proteste è una economia debole accompagnata da problemi sociali e dalle esigenze democratiche delle nuove generazioni. Il contagio però non è uniforme. Le differenze tra le rivolte egiziana, tunisina e iraniana sono molte. Le differenze sono di più dei punti in comune. Il movimento egiziano è caratterizzato da una fierezza nazionale ferita, da un antagonismo sempre più visibile con gli Stati Uniti e Israele ed è evidente l’importanza del ruolo dei Fratelli Musulmani. In Iran, non bisogna mai dimenticare che gli iraniani sono gli antichi persiani, appartenenti ad una storia a loro molto, molto cara. Per ciò gli iraniani non chiederanno al movimento verde, da buoni musulmani, come sono veramente in gran maggioranza, di rimettere in causa la legittimità della repubblica islamica, vogliono solo elezioni pluraliste e libere. Inoltre sono stanchi dell’embargo economico che pesa fortemente sull’economia della popolazione: l’idea di un riavvicinamento all’Occidente attraversa gli spiriti. Si, l’Egitto potrà rivedere le sue alleanze internazionali, l’Iran cercherà di ritrovarle.
Pensa che le dichiarazione del presidente americano e del segretario di stato americano a favore della protesta iraniana aiutino la piazza?
Le dichiarazioni degli americani a favore della protesta in Iran potranno servire come pretesto a manifestare o contro gli oppositori. Ma i giovani non hanno aspettato Monsieur Obama o Madame Clinton per scendere in strada. Il movimento è iraniano e appartiene agli iraniani dell’Iran. Gli Stati Uniti si sono finalmente decisi a sostenere la “primavera araba”. Ma come reagiranno se l’onda delle proteste arriverà al regime saudita?
Proteste senza veri leader è una caratteristica comune alle rivolte?
Certo, è chiaro che internet e i social networks hanno, considerevolmente, cambiato la realtà. Hanno reso il vasto mondo un villaggio planetario. Ma, d’altro canto, la tecnologia non può rimpiazzare gli uomini. Accelera il processo, ma senza capi i movimenti rischiano di perdersi in una spirale di vuoto.