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STORIE DI VITA

La sorpresa di Caterina

Vent'anni, studentessa, due gemelli in arrivo e un fidanzato che i genitori non accettano. E un Cav in difficoltà perché la Regione ha tagliato i fondi. Un colloquio, tante telefonate e un aiuto economico che non arriva. Ma ...

Editoriali 28_06_2014
Madre

Novembre 2012. Proprio in quei giorni, Regione Lombardia aveva deciso di rimettere mano al progetto Fondo Nasko, così ben centrato sui reali bisogni dei cittadini lombardi. Uno dei nuovi criteri introdotti per rimettere in ordine la normativa, era stato quello del “contingentamento” che stabiliva l’obbligo di segnalare le donne da aiutare al territorio di stretta competenza per residenza. Il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli è parte di ASL Milano e, da quei giorni, non ha più potuto inserire progetti nemmeno per le persone del territorio più vicino alla nostra città. Grande crisi! Fino ad allora, infatti, era stata sufficiente la residenza in Lombardia, senza discriminazione territoriale e, in un solo anno, più di cinquecento donne erano state aiutate a scegliere di proseguire la gravidanza.

Una giornata di novembre 2012, fredda e buia in tutti i sensi, dunque, quella in cui si presenta Caterina. Ha solo vent’anni e fa fatica a raccontare. I soliti riti di benvenuto perché possa sentirsi a proprio agio. Aspetta due gemelli, Caterina, e il padre di questi bambini non viene accettato dalla sua famiglia: è solo un operaio, per quanto qualificato e, i suoi genitori, due affermati professionisti.

«Sto frequentando il secondo anno di università. In questi giorni, però, non riesco a concentrarmi. Lo studio è come se non mi interessasse più e pensare che, riuscire a dare gli esami che ho lasciato indietro, sarebbe l’unico modo per tranquillizzare un po’ i miei. I miei genitori, infatti, sono in allarme, sospettano qualcosa di anomalo. Non posso dar loro torto visto che, in passato, sono stata la causa di molte preoccupazioni. Ora sono incinta di nove settimane e, davvero, sono in grande difficoltà: ho paura di comunicare loro questa cosa, sarebbe l’ennesima delusione! Non ho un minimo di autonomia e Marco non riscuote la loro stima. Sono convinta che interrompere la gravidanza sarebbe l’unica soluzione».

Da quelle parole in poi, ci sono state, da parte mia, telefonate di tutti i tipi: colloqui con i genitori molto scettici sull’adeguatezza di Caterina, contatti con il servizio sociale di competenza territoriale che non riusciva ad accettare il mio invio al fine di farle avere il sussidio del Nasko, comunicazioni dei passi inutilmente fatti con Caterina che non si sentiva sostenuta. Non aveva possibilità economiche, una casa dove stare e la sua relazione sentimentale risentiva negativamente di tutto.

L’ultima telefonata  è stata quella con cui le comunicavo tutta la mia fatica di lavorare “in rete” con i servizi pubblici e l’impossibilità che venisse riconosciuta la sua condizione di necessità economica, visto che risultava ancora nello stato di famiglia dei genitori che, per la loro professione, hanno una certificazione ISEE superiore di certo ai 12.000 euro, a quel tempo inteso come tetto da non superare.

Poi, il silenzio. Come sempre mi capita in situazioni di questo tipo, faccio i conti, silenziosamente e in solitudine, con la mia sofferenza e con la stupidità della burocrazia fine a se stessa. Tante volte ho verificato, nella mia testa, che il tempo utile passava. Non ricevevo notizie e l’ineluttabilità degli eventi dolorosi mi faceva provare una grande frustrazione.

Caterina che ne è stato di te, dei tuoi bambini, della tua giovinezza? Era un pensiero ricorrente.

20 giugno 2014. Oh, finalmente suona il telefono!

Sono a casa, apparentemente da sola, e il telefono mi tiene compagnia squillando in continuazione. Raramente mi capita di chiacchierare svagatamente sul filo; sono, infatti, sempre o quasi, richieste di pareri professionali, autorizzazioni per l’aiuto delle donne incontrate dagli altri operatori. Questa in arrivo, però, è una telefonata diversa.

Si tratta di Sara, una delle nostre psicologhe del consultorio: «Paola, disturbo?  Nel mio studio c’è una persona che ti vorrebbe salutare ma è certa che tu non ti ricordi di lei». «Non mi disturbi e lo sai.  Essere disponibile a ricevere le vostre telefonate è uno dei modi per mettersi al servizio; ma come si chiama la persona da salutare?» «È la giovane mamma di due gemelline…»

«Caterina? – domando con la gioia nella voce – davvero è lì con te e con le due piccole?» La risposta è un “sì” e la voce che mi arriva lo conferma. «Caterina, è proprio vero?  Ho aspettato per tanto tempo di risentire la sua voce. Che regalo! Ma come è andata e come va ora?»

Le domande mi si affastellano. Non so dare un ordine. Sono emozionata e felice. «Va tutto bene! Sono qui con le mie due gioielle che adesso hanno dieci mesi e sono anche bravissime. Se non ci fosse stata lei, non ci sarebbero state nemmeno loro».

E così riprende il filo del discorso interrotto: «I miei genitori, dopo feroci resistenze, hanno accettato di aiutarmi. Ora abbiamo un bell’appartamentino in zona Maciachini; Marco lavora come tornitore e mi è di grande aiuto con le bambine».

«E i nonni?». Mi viene spontaneo. «I nonni sembra che concepiscano di vivere solo quando ci sono le bambine. Sto andando in montagna con loro e siamo tutti contenti».
«Grazie, Caterina!  Vogliamo aggiungere anche me alla schiera di quelli contenti?»