La solita caccia ai cattolici, omofobi immaginari
La vicenda secondo una buona fetta di giornali è andata così. Siamo a Monza presso l’Istituto cattolico professionale Ecfop. C’è un sedicenne gay che posta su Instagram una foto in cui a petto nudo abbraccia un suo amico. Per questo viene sbattuto fuori dalla classe dal preside e deve seguire le lezioni in corridoio. Ma non è così.
La vicenda secondo una buona fetta di giornali è andata così. Siamo a Monza e la storia si svolge presso l’Istituto cattolico professionale Ecfop. C’è un sedicenne che è gay. Quest’ultimo posta su Instagram una innocente foto in cui a petto nudo abbraccia al mare un suo amico e per questo viene sbattuto fuori dalla classe dal preside e deve seguire le lezioni in corridoio per giorni e giorni. I carabinieri, allertati dalla madre in pianto, manu militari riaprono la porta della classe per il discriminato ragazzo. Deputati di Forza Italia e del Pd, insieme a molte sigle dell’associazionismo gay, chiedono che il ministro dell’Istruzione intervenga per sanzionare questo barbaro atto di violenza tipico di un certo cattolicesimo omofobo.
Ma basta grattare un poco la vernice e sotto questo strato di tinteggiatura massmediatica ecco apparire la realtà dei fatti. Il ragazzo pare proprio che non fosse semplicemente a petto nudo, ma completamente nudo abbracciato a un suo amico. È la stessa madre, non sospetta certo di partigianeria, a dirlo al Giornale di Monza: «quando ho chiesto come mai fosse in corridoio, mi hanno spiegato che è per via di una fotografia pubblicata su Instagram nella quale mio figlio è nudo assieme a un altro ragazzo». Ci sono altri due dati che vanno a confortare la tesi della nudità dell’adolescente. Sono stati gli stessi ragazzi che, come prima cosa e in modo autonomo, hanno chiesto al social network di togliere dal sito quella immagine, immagine che era stata mostrata loro dal compagno, segno evidente che la foto non brillava per pudicizia. E Instagram lo ha fatto, altra prova che la foto era davvero indecente. In secondo luogo, dato che palesemente quella foto li aveva turbati non poco, hanno deciso di segnalare il fatto anche agli insegnanti.
Si obietterà: «questo non giustifica sbattere in corridoio un ragazzino». É bene a questo punto inquadrare la vicenda personale di questo adolescente, originario dell’Est Europa. Il ragazzo non deve essere dei più quieti, anzi rientra nella categoria dei “ragazzi difficili”. Infatti, tempo addietro fu la stessa madre che chiese aiuto alla scuola, assai preoccupata dal fatto che frequentasse adulti maschi, molto più grandi di lui. La scuola chiamò gli assistenti sociali e, a tutt’oggi, il ragazzo è ancora preso in carico dai servizi sociali brianzoli. Con buona probabilità, quando il 16enne ha mostrato la propria foto ai compagni, questi non ci hanno visto più. La classica goccia che fa traboccare il vaso. Gli animi si sono accesi e per il bene del ragazzo è parso opportuno separarlo dalla classe, ma non mettendolo in corridoio bensì in una postazione esterna alla classe. Postazione poi non creata ad hoc per lui, ma già esistente per tutti quegli studenti che necessitano di essere seguiti singolarmente. Il ragazzo non è stato quindi abbandonato, ma seguito personalmente da un educatore, con un’attenzione maggiore rispetto a quella riservata agli altri suoi compagni.
Ecco il racconto del preside Corioni: «I compagni del ragazzo, a cui lui aveva mostrato la foto sul social network, hanno prima chiesto e ottenuto dal sito la rimozione dell'immagine pedopornografica, e dopo si sono rivolti agli insegnanti. A quel punto abbiamo deciso di sistemare il ragazzo in un postazione a parte, insieme con un educatore, come facciamo quando uno dei nostri corsisti chiede di approfondire un argomento di studio. In attesa di parlare sia con la famiglia, sia con i servizi sociali che hanno in carico il ragazzo. E per capire come affrontare la questione con i compagni ed evitare discussioni in classe». Quindi nessuna discriminazione a danno dello studente, bensì un atto pedagogico e prudenziale utile sia per lui che per gli altri alunni, come tiene a precisare il preside: «Non è questione di discriminazione, i cristiani non discriminano: accettiamo tutti, abbiamo ragazzi di tutte le religioni. Volevamo proteggere sia il corsista sia i suoi compagni».
Ma c’è un’altra motivazione che ha spinto il preside a prendere questa decisione, sebbene impopolare e facilmente oggetto di strumentalizzazione. Corioni così prosegue: il ragazzo «influenza negativamente gli altri ragazzini e vanno protetti gli altri bambini. La nostra attenzione è alla formazione professionale dei giovani, seguendo il dettame della pastorale sociale della Chiesa cattolica». Ecco, ha detto ciò che non doveva dire: ha tirato in ballo la Chiesa, lui preside di un istituto cattolico. Non si fa. Ha peccato perlomeno di ingenuità e deve essere punito. In realtà questo peccato mortale di impronta laicista è un merito agli occhi di Dio ed anche a quelli dei portatori sani di buon senso. La scuola retta dal dott. Corioni si ispira ai principi di fede e morale propri della dottrina cattolica. Tra questi non c’è spazio per omosessualità, volgarità ed esibizionismo. Ma c’è invece uno studente che non rispetta questi valori: libero lui e i suoi genitori di mandarlo in un altro istituto, ma se decidi di rimanere devi rispettare le regole del gioco. In altri tempi sarebbe stato punito. Il preside invece, con spirito moderno, sceglie di aiutarlo mettendogli accanto un educatore e lo allontana dalla classe per preservare non solo l’armonica convivenza, ma anche il pudore – sì c’è anche questa parola in fondo al baule del bravo cattolico – il pudore degli altri ragazzi. Se in molte scuole sono giustamente vietate minigonne, seni a vista e berretti in classe, figuriamoci diffondere foto in costume adamitico.
Pare ovvio. Ma l’evidenza è ormai merce rara che si trova solo di contrabbando Quando di mezzo c’è il bene delle persone allora non ci sono centimetri di pelle esposta che tengano e certe questioni – era a petto nudo oppure nudo completamente? – appaiono superflue nella loro speciosità e di lana caprina. Quindi il buon preside con questa decisione ha condannato condotte non consone al Dna del suo istituto, ma non ha condannato il ragazzo gay, bensì lo ha aiutato ed ha tutelato gli altri suoi compagni. Il risultato mediatico è invece che Corioni è un mostro omofobo da licenziare. E, ahinoi, è questo che alla fine conta: vale più un grammo di percepito che una tonnellata di fatti – è proprio il caso di dirlo – nudi e crudi.