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GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

«La Sindone svela l'enigma della sofferenza»

Per Benedetto XVI quel telo ci ricorda che non siamo mai soli quando sperimentiamo il male: nel volto dei malati c'è quello di Cristo.

Attualità 03_02_2011
Sindone


La Santa Sede ha presentato oggi il Messaggio di Benedetto XVI per la XIX Giornata Mondiale del Malato, che si celebrerà il prossimo 11 febbraio, formalmente datato 21 novembre 2010. Il Magistero più recente procede ampiamente attraverso i messaggi pontifici per le varie giornate mondiali: della pace, delle comunicazioni sociali, fino appunto a quelle del malato. Anno dopo anno, questi messaggi vanno a costituire un corpus sui diversi argomenti, che dev'essere studiato con attenzione come espressione particolarmente significativa del Magistero ordinario.

La Giornata Mondiale del Malato è stata voluta, e fissata ogni anno nel giorno della festa della Madonna di Lourdes, dal venerabile Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale ha poi testimoniato anche con la sua vita come «la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana» (Benedetto XVI, enciclica «Spe salvi», n. 38). Una celebrazione particolarmente solenne della Giornata Mondiale del Malato, annuncia il Papa, avrà luogo nel 2013, al Santuario mariano di Altötting, in Germania.

Il Papa confessa la speciale relazione che, a partire dall'ostensione del 2010, si è stabilita per lui tra i malati e la Sindone di Torino, che è al centro del Messaggio. «Ho ancora nel cuore, scrive, il momento in cui, nel corso della visita pastorale a Torino, ho potuto sostare in riflessione e preghiera davanti alla Sacra Sindone, davanti a quel volto sofferente, che ci invita a meditare su Colui che ha portato su di sé la passione dell'uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati. Quanti fedeli, nel corso della storia, sono passati davanti a quel telo sepolcrale, che ha avvolto il corpo di un uomo crocifisso, che in tutto corrisponde a ciò che i Vangeli ci trasmettono sulla passione e morte di Gesù! Contemplarlo è un invito a riflettere su quanto scrive san Pietro: “dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24). Il Figlio di Dio ha sofferto, è morto, ma è risorto, e proprio per questo quelle piaghe diventano il segno della nostra redenzione, del perdono e della riconciliazione con il Padre; diventano, però, anche un banco di prova per la fede dei discepoli e per la nostra fede: ogni volta che il Signore parla della sua passione e morte, essi non comprendono, rifiutano, si oppongono. Per loro, come per noi, la sofferenza rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da portare».

In effetti, prosegue il Papa, «è proprio attraverso le piaghe del Cristo che noi possiamo vedere, con occhi di speranza, tutti i mali che affliggono l'umanità. Risorgendo, il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice. Alla prepotenza del Male ha opposto l'onnipotenza del suo Amore». Il rapporto con il mistero dell'Incarnazione e del Cristo sofferente svela il grande significato della sofferenza umana. «San Bernardo [1090-1153] afferma: “Dio non può patire, ma può compatire”. Dio, la Verità e l'Amore in persona, ha voluto soffrire per noi e con noi; si è fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo reale, in carne e sangue. In ogni sofferenza umana, allora, è entrato Uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; in ogni sofferenza si diffonde la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di Dio per far sorgere la stella della speranza (cfr Lett. enc. Spe salvi, 39)».

Ai giovani, in particolare, il Papa spiega che «spesso la Passione, la Croce di Gesù fanno paura, perché sembrano essere la negazione della vita. In realtà, è esattamente il contrario! La Croce è il “sì” di Dio all'uomo, l’espressione più alta e più intensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Dal cuore trafitto di Gesù è sgorgata questa vita divina». Occorre allora imparare «a “vedere” e a “incontrare” Gesù nell'Eucaristia, dove è presente in modo reale per noi, fino a farsi cibo per il cammino, ma sappiatelo riconoscere e servire anche nei poveri, nei malati, nei fratelli sofferenti e in difficoltà, che hanno bisogno del vostro aiuto».

Continuando a meditare sulla Sindone di Gesù, che ha tanto colpito il Papa, «il nostro sguardo si rivolge al suo Cuore sacratissimo, in cui si manifesta in sommo grado l'amore di Dio. Il Sacro Cuore è Cristo crocifisso, con il costato aperto dalla lancia dal quale scaturiscono sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), “simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingano con gioia alla fonte perenne della salvezza" (Messale Romano, Prefazio della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù)».

Nel dramma testimoniato dalla Sindone è presente naturalmente «la Vergine Maria, che invochiamo con fiducia Salute degli infermi e Consolatrice dei sofferenti. Ai piedi della Croce si realizza per lei la profezia di Simeone: il suo cuore di Madre è trafitto (cfr Lc 2,35). Dall'abisso del suo dolore, partecipazione a quello del Figlio, Maria è resa capace di accogliere la nuova missione: diventare la Madre di Cristo nelle sue membra. Nell’ora della Croce, Gesù le presenta ciascuno dei suoi discepoli dicendole: “Ecco tuo figlio” (cfr Gv 19,26-27). La compassione materna verso il Figlio, diventa compassione materna verso ciascuno di noi nelle nostre quotidiane sofferenze (cfr Omelia a Lourdes, 15 settembre 2008)».

Una volta che la si pone in relazione con quanto la Sindone testimonia, che rimanda anche alle devozioni al Sacro Cuore e alla Madonna Addolorata, la sofferenza dei malati non diventa più una questione che riguarda solo loro e chi li cura, ma un elemento di meditazione che sta al cuore della vita cristiana di ognuno di noi. A tutti è rivolto l'invito di Benedetto XVI: «nei volti dei malati sappiate vedere sempre il Volto dei volti: quello di Cristo».