La sfida di un missionario alla nostra Chiesa
Capacità di andare all'essenziale della fede; semplicità di atteggiamento e vicinanza col popoli, il nome scelto che indica l'attenzione ai poveri. Sono queste le caratteristiche principali di papa Bergoglio che piacciono ai missionari.
Giovedì sera 13 marzo ero nella parrocchia di Pieve Emanuele (Milano) col parroco don Benvenuto Riva, per una delle tre serate di predicazione quaresimale su Santa Teresa del Bambino Gesù. Alla notizia del Papa latino-americano abbiamo applaudito, pieni di gioia. Don Benvenuto è stato sacerdote fidei donum della diocesi ambrosiana in Zambia per dodici anni, io sono missionario e da più di mezzo secolo visito le missioni. Ci siamo capiti al volo. Papa Francesco ha caratteristiche che piacciono ai missionari. Rappresenta il modello di pastorale e di vita cristiana delle missioni dove nasce la Chiesa, dove lo Spirito soffia forte e compie le meraviglie che leggiamo negli Atti degli Apostoli. Oggi la maggioranza dei cattolici e dei cristiani vivono nel Sud del mondo. Non è ancora un Papa asiatico o africano, ma anche l’America Latina, dopo 500 anni di virtuale evangelizzazione, con l’occupazione di tutto il territorio da parte di diocesi e parrocchie (all’inizio del ‘900 nel Sud America le diocesi erano 140, oggi sono più di 600), da mezzo secolo sta vivendo il tempo del “primo annunzio” di Cristo. Il tempo delle missioni.
Lo Spirito Santo ha preso Jorge Mario Bergoglio “dalla fine del mondo” e l’ha mandato nelle nostre antiche Chiese d’Europa quasi come una sfida al nostro modo di concepire la parrocchia, la pastorale e la vita cristiana. Già da vescovo ausiliare (1992) e poi da arcivescovo di Buenos Aires (1998), padre Bergoglio abitava in un appartamento di una casa comune, visitava i malati in casa loro, a volte andava a mangiare alla mensa dei poveri, viaggiava in autobus o in metropolitana, raccomandava ai suoi preti di usare la misericordia di Dio. L’ultima volta che sono stato a Buenos Aires nel 1996, l’amico Walter Gardini, professore all’Università dei gesuiti e collaboratore del “Clarin”, mi raccontava che era stato con mons. Bergoglio a visitare una “Villa miseria”, le baraccopoli della capitale argentina. Emigrato dall’Italia da non molto tempo, Gardini era ammirato della naturalezza con la quale il vescovo avvicinava gli ultimi, entrava nelle baracche, si sedeva, si interessava dei loro problemi, parlava e mangiava con loro, portando la Parola di Dio e il conforto dell’Eucarestia, facendo intervenire la Caritas per i più poveri.
Al Conclave i cardinali hanno scelto lui perché hanno voluto dare, a noi cristiani dell’Occidente che viviamo una grave crisi di fede e di vita cristiana, un forte segnale di novità, di rinnovamento, nel senso di avvicinarci al modello di Cristo e alla gente comune. Nei suoi primi gesti dopo l’elezione a successore di Benedetto XVI, Papa Francesco rappresenta bene il mondo missionario in almeno tre aspetti.
1) La capacità di andare all’essenziale della fede, al cuore del messaggio evangelico, come avviene con il “primo annunzio” dove nasce la Chiesa. L’omelia ai cardinali nella prima Messa da Vescovo di Roma (14 marzo nella Cappella Sistina) è indicativa. Ha parlato a braccio e ha detto cose che non rimangono come testi da citare, però quel parlare immediato, diretto, ha certamente toccato il cuore dei principi della Chiesa. Ha ricordato ai suoi “fratelli cardinali” che la vita è un movimento, un cammino “alla presenza del Signore vivendo irreprensibili”; è un costruire la Chiesa “sulla pietra angolare che è lo stesso Signore”; un confessare Gesù Cristo: “Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio… Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce non siamo discepoli del Signore: siamo mondani: siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore!". Parlava ai cardinali, ma parlava anche a tutti noi membri della Chiesa.
2) L’umiltà e la semplicità di atteggiamento e di vita e la vicinanza col popolo. Porta la croce di ferro che aveva da vescovo, non si è seduto sul trono pontificio ma su una poltrona come i cardinali; ha chiesto alla folla dei fedeli di pregare per lui, ha lasciato una pausa di silenzio per questa preghiera e si è inchinato davanti a loro; ha viaggiato con i cardinali in pullman per andare a Santa Maria maggiore. Sarà un Papa che governerà la Chiesa in presa diretta con il Popolo di Dio. Presentando il suo ministero di Vescovo di Roma ha detto: “Incominciamo questo cammino di fratellanza, di fiducia, di amore, di reciproco sostegno nella preghiera”. Poi ha chiesto di pregare per lui e alla fine ha benedetto tutti. Non contano tanto i gesti in sé, ma i messaggi che danno al mondo e ai credenti in Cristo.
3) Il terzo segnale che avvicina il nuovo Papa ai missionari è il nome stesso che ha scelto: Papa Francesco evoca San Francesco d’Assisi e la povertà evangelica, il mondo dei poveri. La provenienza di questo Papa dal Sud del mondo rappresenta i miliardi di uomini e donne, figli di Dio come noi, che ancora vivono nella miseria a volte veramente “nera”, con 100-200-1000 dollari di reddito pro capite! Noi in Italia siamo sui 35.000 dollari e ci ricordiamo di queste schiere infinite di fratelli e sorelle per dare qualche volte un’elemosina, un aiuto, e poi con i circa 12.000 missionari e volontari italiani nel Sud del mondo. Con tutto il rispetto e la com-passione per le difficoltà economiche e di lavoro che vivono molte famiglie e giovani nella nostra Italia, non c’è dubbio che, per rinnovare la nostra vita in senso evangelico, siamo chiamati a ben altra coscienza, condivisione e solidarietà verso gli ultimi dell’umanità. Papa Francesco vuol rinnovare la Chiesa anche per questo.