La Sede vacante e il caso san Vincenzo Ferreri
In una situazione ingarbugliatissima, nata dall’incertezza sull’elezione di Urbano VI, san Vincenzo Ferreri sostenne per un certo tempo la legittimità dell’antipapa Benedetto XIII. Ma quel che fece poi, di fronte all’ostinazione di quest’ultimo, non fu dichiarare la Sede vacante. Vediamo come andarono i fatti.
Nel 1409, dopo trent'anni di “convivenza” tra due papi (di cui solo uno, ovviamente, legittimo), il tentativo di risolvere la dolorosa e disorientante situazione era sfociata in uno strappo ulteriore: l'elezione di un “terzo papa”, come si è visto, nella persona di Pietro Filagro (Alessandro V), durante il concilio di Pisa (1409). Ma torniamo indietro agli anni in cui vi erano “solo” due papi: quello di Roma e quello di Avignone. A sostenere la legittimità di Benedetto XIII, antipapa avignonese dal 1394 al 1423, vi era un grande santo: il dotto frate domenicano Vincenzo Ferreri (in valenciano, Vicent Ferrer; 1350-1419).
Nato a Valencia ed entrato nell'Ordine dei Frati predicatori in giovanissima età, insegnò teologia nella città natale e venne notato per la sua preparazione dal cardinale aragonese Pedro de Luna, il futuro Benedetto XIII. Il cardinale aveva dapprima cercato di sostenere la legittimità di Urbano VI, per poi sostenere l'invalidità del conclave che lo elesse e divenendo così sostenitore dell'antipapa Clemente VII. Eletto “pontefice”, scelse proprio Vincenzo Ferreri come suo confessore. San Vincenzo sosteneva la legittimità di Benedetto, ma non era indifferente alla grande lacerazione della cristianità, divisa tra due e poi tre obbedienze, che minacciavano di instaurarsi in modo perpetuo, portando avanti tre linee di successione di prelati che rivendicavano di essere il papa legittimo.
Nel 1413, l'imperatore Sigismondo (1368-1437) convocò un concilio a Costanza, che si sarebbe svolto nel novembre dell'anno seguente, con il preciso scopo di risolvere lo scisma. Dei tre “papi”, solo Giovanni XXIII, che quel concilio aveva appoggiato proprio con l'intento di uscire dalla crisi, accettò di presentarsi; ma proprio a lui venne riservato il trattamento più rude e scorretto: fu accusato ingiustamente di ogni nefandezza e deposto. La “leggenda nera” sul cardinale Baldassarre Cossa fu portata avanti per secoli, e solo di recente una preziosa monografia ne ha riscattato la memoria (M. Prignano, Giovanni XXIII. L’antipapa che salvò la Chiesa, Brescia, 2019, con prefazione del card. Walter Brandmüller): antipapa sì, ma non delinquente.
Gregorio XII, papa legittimo, che era esule in Romagna, accettò di abdicare. L'unico che restò inamovibile fu Benedetto XIII. Il re di Aragona, Ferdinando (1380-1416), chiese a Vincenzo Ferreri, la cui fama di santità era molto diffusa, di convincere Pedro de Luna a presentare la propria rinuncia, per permettere poi una pacifica elezione di un nuovo pontefice. Il frate domenicano, nell'agosto del 1415, si recò dall'antipapa, a Perpignan, ma non riuscì a piegarne l'ostinazione. Il mese successivo, persino l'imperatore Sigismondo, con una rappresentanza del concilio di Costanza e alcuni rappresentanti dei vari regni cristiani, raggiunsero Perpignan, ma anche loro non ebbero la meglio sull'ostinazione di Benedetto, che nel frattempo si era ritirato nella fortezza di Peniscola. Un'ostinazione che scandalizzò e addolorò anche i suoi sostenitori, i quali chiesero a san Vincenzo Ferreri di offrire la propria autorità per pronunciare l'ultima parola sulla questione: il santo, il 6 gennaio 1416, lesse solennemente nel castello di Maiorca, davanti a diecimila fedeli, l'editto dei re di Aragona, Castiglia e Navarra, concordato con i padri del concilio di Costanza, il quale stabiliva che, a fronte dell'indurimento del “papa”, era ormai divenuto lecito ai suoi sudditi di ritirargli la propria obbedienza. Benedetto XIII era ormai di fatto un (anti)papa senza gregge.
La posizione di san Vincenzo Ferreri è stata a torto considerata da alcuni come un esplicito sostegno della tesi sedevacantista, per cui sarebbe legittimo a chiunque – sebbene non per qualsiasi ragione – dichiarare la Sede apostolica vacante, ritenendo che anche il santo avrebbe fatto questa dichiarazione in virtù del proprio giudizio privato autorevole e “illuminato”. Ma il breve riassunto che abbiamo fatto sul Grande Scisma è sufficiente per comprendere che vi sono almeno due elementi fondamentali che non collimano con le posizioni sedevacantiste. Anzitutto, in quella circostanza, si era nella situazione di papi la cui elezione era considerata dubbia, ossia pontefici, o presunti tali, che non erano stati accettati dalla Chiesa universale. La validità dell'elezione di Urbano VI era stata infatti considerata incerta fin dall'inizio, a motivo delle constatabili minacce del popolo romano, che arrivò addirittura a invadere l'aula in cui erano riuniti i cardinali elettori. La divisione fu netta, a partire dalla componente gerarchica della Chiesa, e l'incertezza dell'elezione appariva insolvibile, persistendo anche dopo l'attenta analisi di giuristi ed ecclesiastici competenti.
I professori Erwin Iserloh e Karl August Fink spiegano che, in effetti, ci furono molti interrogatori per comprendere che cosa fosse accaduto durante il conclave che portò all'elezione di Urbano VI (1378): 23 testimoni interrogati a Roma nel 1379 fecero propendere per la legittimità di Urbano, mentre le cento deposizioni dell'anno successivo, raccolte sia ad Avignone che nell'Urbe, erano discordi tra loro. Altre 40 deposizioni, raccolte dal re d'Aragona, propendevano per Clemente VII. Risultato? Si ritenne che l'elezione «non fu libera, ma si svolse sotto la impressio e il metus qui cadit in constantem virum [espressione giuridica per indicare una coazione violenta e non solo modica, n.d.a.]; perciò non è assolutamente valida né assolutamente invalida, ma in tutti i casi contestabile» (Storia della Chiesa V/2, a cura di H. Jedin, 1977, p. 139).
Un nodo gordiano insolvibile. Si trattò dunque di un'elezione veramente dubbia, e di fatto non accettata dalla Chiesa universale (che non corrisponde evidentemente al 100% dei fedeli, ma alla sua parte più rappresentativa, normalmente identificata nei cardinali), per cui, secondo il noto principio papa dubius, papa nullus, nessuno poteva esse vincolato ad un'obbedienza piuttosto che ad un'altra.
Ad ogni modo, quello che san Vincenzo Ferreri fece, non fu dichiarare la Sede vacante, né deliberare che Benedetto XIII non fosse papa (sebbene, effettivamente, non lo fosse), e nemmeno che avesse perso l'ufficio ipso facto per eresia o scisma, sulla base di un giudizio privato. Più semplicemente, nella situazione appena descritta, egli si limitò a leggere un editto sottoscritto da tre re e da tutti i vescovi riuniti a Costanza, che sollevava i sudditi dei tre regni dall'obbedienza dovuta a Benedetto XIII: praticamente più nessuno sosteneva l'antipapa. Non fu dunque senza un “giudizio” della Chiesa che san Vincenzo Ferreri prese una posizione; posizione che non dichiarava la Sede vacante, ma più semplicemente annunciava che, dal momento che Benedetto XIII non accettava di dimettersi per favorire la riunificazione all'interno della Chiesa, era lecito non prestargli più obbedienza.
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