La seconda volta di un Castro in Vaticano
Fidel Castro, quando incontrò Giovanni Paolo II, concesse una normalizzazione dei rapporti fra il regime cubano e la Chiesa. Oggi l'incontro fra Raul Castro e Papa Francesco, cosa determinerà nel prossimo futuro? Sotto il regime castrista il dissenso è ancora punito col carcere e la libertà di religione è più illusoria che reale.
Sono passati quasi venti anni prima di rivedere un Castro entrare nelle mura del Vaticano. Il 19 novembre del 1996, Fidel fu ricevuto con tutti gli onori alla Santa Sede. Invece il 10 maggio 2015 sarà ricordato come il giorno della visita di un altro Castro, suo fratello Raul. Due rappresentanti di un regime noto per le violazioni dei diritti umani in conseguenza delle misure spesso severe contro i dissidenti, membri del clero inclusi.
Nel 1996 bastarono 35 minuti in privato con Wojtyla per parlare della “normalizzazione delle condizioni di esistenza della Chiesa a Cuba”, come disse Joaquin Navarro Valls, il portavoce vaticano di quel periodo. Giorni di attesa per la libertà di movimento pastorale della Chiesa nell’isola, visto il rigido isolamento economico e politico dopo il crollo dell’Urss.
Oggi invece l’incontro avviene con in corso il disgelo nelle relazioni tra Washington e L’Avana, e dopo la conferma della visita di Papa Francesco a Cuba. A margine dell’incontro appare un tema da non sottovalutare, visto con molta cautela da Washington ma soprattutto da Roma: il nuovo benefattore di Cuba, il Venezuela, è in grave crisi.
Ancora una volta la linea della Segreteria di Stato sembra evitare strappi, nessuno in Vaticano ha condannato pubblicamente la violazione dei diritti umani e nemmeno la mancanza di libertà religiosa nell’isola. Mosse controvento per la Chiesa cubana?
L’attacco più forte contro la Chiesa è avvenuto nel 1961, quando Fidel cacciò 131 sacerdoti da Cuba, a bordo della nave spagnola Covadonga. Subito dopo altri 470 sono andati via di propria volontà. Secondo quanto riferisce la stampa spagnola, su 800 preti ne sono rimasti circa 200 nel 1963; oggi l’arcidiocesi dell’Avana registra 340 sacerdoti.
“Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”, disse San Giovanni Paolo II durante il suo storico viaggio a Cuba (dal 21 al 25 gennaio 1998), il primo Papa a mettere piede nell’isola. Da allora il dialogo tra la Santa Sede e Cuba è stato sempre più stretto. Ma ancora oggi ci si domanda se veramente qualcosa è cambiato per i cattolici cubani.
“A Cuba non c’è libertà di religione perché i sacerdoti non possono evangelizzare fuori delle loro chiese”, ha affermato l’ex sacerdote cubano Froilan Dominguez, che fu vicario della diocesi di Cienfuegos a Cuba (1963-1970). I fatti dimostrano che a Cuba niente è come sembra all’esterno: ancora oggi non c’è libertà di religione, la Chiesa cubana non può istituire scuole cattoliche e nemmeno ha acceso ai mass media.
Forse sono alcune delle “difficoltà storiche” riferite dal cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, durante l’intervista pubblicata da Radio Vaticana, al suo rientro dalla visita alla Chiesa cubana durante il mese di aprile scorso. “Ci sono stati dei progressi e direi che è uno dei segni di un avanzare negli spazi della libertà che corrispondono alla Chiesa. Però, credo che la visita del Papa porterà anche nei mass media delle novità positive, molto desiderate”, ha detto Stella.
La visita di Papa Francesco a Cuba porta speranza perché ci siano dei cambiamenti strutturali. Ma le voci dissidenti mettono in guardia: il sacerdote cubano Jose Corrado ha riferito al giornale El Nuevo Herald di Miami che “il governo cubano non ha rinunciato alla sua volontà totalitaria”. Applaude lo sforzo di conciliazione di Papa Francesco ma spiega che “la Chiesa ha bisogno di essere più audace a Cuba”, non collaborando troppo con i fratelli Castro.
Sono tante le ipotesi giornalistiche intorno all’incontro di Raul Castro con Jorge Mario Bergoglio. Nel frattempo nei movimenti diplomatici in corso tra Santa Sede, Stati Uniti e Cuba, ci sono dei fatti da mettere sotto la lente di ingrandimento.
Il primo ospite del Cremlino alla Parata del 9 maggio a Mosca è stato Raul Castro, insieme a lui il presidente del Venezuela Nicolas Maduro. Il giorno dopo Castro arriva da papa Francesco a parlare della ripresa dei rapporti con gli Usa. Nel frattempo, Maduro dichiara che tanto la Russia quanto il Venezuela combattono contro le nuove “minacce nazifasciste”, confermando il suo impegno “nella lotta contro il colonialismo, l’imperialismo, e tutte le forme di dominazione”. Discorso non condiviso dalla maggioranza dei venezuelani ma legittimato dal silenzio internazionale.
La strategia Castro sulla scacchiera ancora non è chiara, ma certamente l'incontro in Vaticano e la visita di Papa Francesco nell'isola deve servire a spingere un vero cambiamento all’interno di Cuba finalizzato al raggiungimento di una vera libertà tanto civile quanto religiosa. Gli spazi di manovra per la diplomazia vaticana non sono molti ma soprattutto serve la volontà dell'Avana.