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VITA

La scelta di Rosalie, prima mamma poi moglie

Storia di Rosalie, una delle mamme che si erano rivolte al Cav per una gravidanza in una situazione difficilissima: single e senza lavoro. Da una situazione apparentemente senza via d'uscita, è nata una nuova famiglia cattolica.

Editoriali 04_01_2014
Paola Bonzi

Da poco è passata la mezzanotte e:
”Auguri, auguri, che il nuovo anno porti con sé cose più belle che il 2013!”
“Rosalie, Rosalie, che bello sentirti! Brava che ti sei ricordata!”
“Lo Farò sempre, sempre!”

Rosalie è una delle mie amiche mamme, forse una delle più care, sicuramente la più fedele.
Sono passati diciotto anni da quando l’ho incontrata, in una giornata umida d’inverno.
Aspettava il suo bimbo, allora, aveva solo il desiderio di tenerselo ma non aveva nessuna idea di dove poter andare.
Sola, con il suo zaino in spalla, la sua biancheria da lavare, ma non sapeva dove.
Il padre del suo bambino deve partire, anzi è già partito, poiché gli hanno segnalato un lavoro in Veneto, lontano.
“Il lavoro per noi è importante e lui è andato, ma io?”
Ma lei, lei con il suo pancione ancora invisibile, dove sarebbe andata?
A quel tempo avevamo ancora, vicino a San Siro, una casa di accoglienza per le madri sole. Ero riuscita a convincere gli altri amici del Centro di Aiuto alla Vita della necessità di un divano letto in soggiorno, non si sa mai.
Oggi so molto bene chi è Rosalie, ma allora…
Ci penso, ha lo zaino in spalla, una piccolissima pancia e della biancheria da lavare.
Che cosa faccio, mi chiedo, per poi rispondermi subito ‘la porterò a casa nostra’.

La gravidanza andò avanti, nacque Nancy, il suo uomo ricominciò a farsi sentire.
In Veneto il lavoro andava bene, era piuttosto stimato dai proprietari dell’azienda.
Un giorno, la giovane madre, venne al colloquio:
“Vorrei far battezzare la mia bambina.”
Trovati i padrini, organizzammo una bella cerimonia.
Nella nostra casa si tenne anche una grande festa, per il piacere di tutti. La cosa che mi colpì furono i gesti di tenerezza di questo padre che si era sobbarcato parecchie ore di viaggio per essere presente, senza perdere nessun’ora di lavoro.

Qualche altro tempo passò ed ecco Rosalie con un’altra richiesta:
“Patric, così si chiama il papà di Nancy, e io, vorremmo sposarci, civilmente per ora, visto che lui non è stato nemmeno battezzato. Vorrei che tu e tuo marito mi faceste da testimoni.”
Altri preparativi, un bouquet di fresie, un piccolo pranzo.
Il tempo non si ferma e nemmeno i nostri sogni, nonostante tutto.
La famigliola non voleva restare divisa; cominciò la ricerca di una casa in Veneto.
Non fu cosa facile, la diffidenza verso gli stranieri era molta.
Finalmente riuscimmo a concludere il contratto per un piccolo alloggio e, tra le lacrime di tutti noi, mescolate ai sentimenti di soddisfazione per il buon esito dell’impresa, partirono.

Il contatto non venne mai a mancare ed ecco: “Aspetto un altro bimbo, ma questa volta siamo insieme e siamo contenti che nasca.”
Anche Emanuele arrivò.
Rosalie aveva trovato lavoro, i bambini errano sistemati al nido e alla scuola.
“Ci stiamo trasferendo, c’è l’occasione di un appartamentino da comprare, il lavoro non manca, siamo convinti di farcela.”
Così l’ennesimo trasferimento.

Le cose andavano bene ma era come se ancora qualcosa mancasse.
Un giorno: “Sai, Patric sta iniziando un cammino di catechesi. Vorremmo sposarci in Chiesa.”
Era marzo, quella volta, e noi partimmo da Milano per Marostica.
La chiesa era gremita. Rosalie, come tutte le spose che si rispettino, non arrivava mai. Patric guardava un po’ nervosamente l’orologio.
Sulla porta della chiesa, mi sembrò la sposa più bella del mondo: avanzava, quasi maestosamente, al braccio di uno zio.

Piango sempre ai matrimoni, non ho mai capito il perché, e me ne stavo lì, un po’ vergognosa, nel mio banco.
Rosalie, vicino a quel banco, si ferma: “Cosa fate qui? Dovete venire avanti, al posto dei testimoni!”
La festa fu più che gaia, suoni, luci e colori, un evento quasi fantasmagorico. Erano tutti presenti: i parenti degli sposi e i loro amici, ma soprattutto i loro concittadini, dal sindaco ai datori di lavoro, che pubblicamente dimostrarono stima e affetto.  E poi, noi.
C’era un regalo di famiglia per Rosalie e Patric ma io avevo una scatolina. Gliela misi in mano dicendo:
“È perché tu sei la mia ‘stellina’ “Portava una stellina, infatti, il braccialetto che Rosalie trovò nella scatolina.
“Lo porterò sempre, anche se non sarà necessario per pensare a te. Non ti dimenticherò mai”.