La santità, vocazione per tutti i battezzati
“Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48), è l’invito universale che Gesù rivolge a ciascuno di noi e che si declina in modi diversissimi, secondo la multiforme fantasia di Dio, come ci ricordano i santi, da Francesco di Sales a Teresa di Gesù Bambino. Scoprire la propria vocazione, in qualunque stato di vita, è quindi fondamentale per realizzare in pienezza ciò a cui Dio ci chiama.
Quando si parla di “vocazione” si è comunemente portati a pensare alle vocazioni di speciale consacrazione, ma spesso si dimentica che la prima vocazione è quella alla santità, che interessa tutti i battezzati. “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48) è l’invito universale che Gesù rivolge a ciascuno di noi e che si declina in modi diversissimi, secondo la multiforme fantasia di Dio.
Come scrive San Francesco di Sales nel grande classico di spiritualità Filotea: “Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai Cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione”. E ancora: “Pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. È vero che la devozione contemplativa, monastica e religiosa non può essere vissuta in quelle vocazioni; ma è anche vero che, oltre a queste tre devozioni ce ne sono tante altre, adatte a portare alla perfezione quelli che vivono fuori dai monasteri”.[1]
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33)
Denominatore comune di tutte le vite sante è un profondo amore per Dio, un’intimità amorosa coltivata di giorno in giorno, sostenuta dalla preghiera e dall’accostarsi con frequenza ai sacramenti, una costante e generosa offerta di sé nella minuziosa fedeltà ai doveri del proprio stato, il rifiuto di qualsiasi compromesso per dare la priorità assoluta a Dio nelle scelte piccole e grandi della vita. Abbiamo luminosi esempi di come tali principi si declinano nei diversi stati di vita guardando alle vite di Santa Teresa di Gesù Bambino, monaca Carmelitana Scalza e dei suoi genitori, anche essi recentemente canonizzati.
Teresa di Gesù Bambino si fece santa nel Carmelo di Lisieux, ma la Chiesa, che l’ha proclamata Dottore della Chiesa, ci propone la sua “piccola via” come modello universale. Santa Teresina non godette di doni mistici o visioni soprannaturali, la sua fu una santità assolutamente “imitabile”, costruita attimo per attimo, nell’umile e rigorosa osservanza della Regola, nel costante rinnegamento di sé, nell’offerta di ogni istante della propria vita come olocausto d’amore a Gesù.
I suoi genitori, i Santi Luigi e Zelia Martin, le avevano insegnato la strada: pienamente inseriti nella vita sociale dell’epoca, benestanti, lui artigiano orafo, lei ricamatrice specializzata nella produzione di pizzi con la tecnica del “Punto d’Alençon” e con diverse lavoranti alle sue dipendenze, attendevano con rigore e coscienziosità a tutti i doveri lavorativi e genitoriali costitutivi della loro chiamata matrimoniale. Una “normale” famiglia borghese? Non proprio. La cifra distintiva di questi “incomparabili genitori”, come li definì la stessa Teresina, fu quella di affermare in ogni circostanza di vita la priorità assoluta di Dio. Alle figlie insegnavano la preghiera, l’esame di coscienza, la devozione autentica. Nonostante la fatica del lavoro e della famiglia numerosa, entrambi si recavano ogni giorno alla Messa delle cinque e mezza del mattino. Luigi Martin era un fervente animatore dell’Adorazione notturna tanto che fu per merito delle sue insistenze che questa pratica fu introdotta nella Cattedrale di Lisieux. Luigi, inoltre, era rigorosissimo nell’osservanza del riposo domenicale: la sua bottega orafa restava inesorabilmente chiusa di domenica e, contrariamente a quanto gli amici gli paventavano, questo per lui non fu affatto motivo di perdita economica. Al contrario, sua moglie era certa che proprio a questa fedeltà si dovesse la loro agiatezza.
“Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19, 26)
Un altro tratto peculiare dei santi è la Prudenza, ovvero la virtù di saper scegliere i mezzi adeguati al raggiungimento del fine. Ecco dunque che vediamo i santi impegnarsi a fondo, mettendo a frutto tutte le capacità umane loro donate da Dio, e allo stesso tempo non porre limiti alla potenza dell’intervento divino, in un abbandono fiducioso che lascia a Dio lo “spazio” per intervenire e completare con lo straordinario ciò che i soli mezzi umani non potrebbero conseguire.
Santa Zelia Martin, ad esempio, lavorava alacremente, senza risparmiarsi, sia per la conduzione della sua attività di merlettaia, sia per accudire le figlie ma, soprattutto, confidava nella continua assistenza divina. Così scriveva al fratello, colpito da rovesci economici: “Le ho detto di non lambiccarsi il cervello per tutto ciò, che non vi era che una cosa da fare: pregare il buon Dio […] Lui saprà ben tirarci fuori di qui, quando troverà che abbiamo sofferto abbastanza, ed allora tu riconoscerai che non è né alle tue capacità, né alla tua intelligenza che devi la riuscita, ma solo a Dio, come accade a me con il mio punto d’Alençon: questa convinzione è molto salutare, l’ho provato di persona”.[2]
Anche nelle prove più dolorose, le lettere di Santa Zelia ci testimoniano una fede degna di Giobbe. Nonostante avesse già subito la perdita di tre figli piccoli, quando la neonata Teresina era in pericolo di vita, eccola nuovamente rassegnarsi alla Volontà di Dio: “Mi sono inginocchiata ai piedi di San Giuseppe e gli ho domandato la grazia che la piccina guarisse, pur rassegnandomi alla volontà di Dio, se voleva prenderla con sé. Io non piango spesso, ma mi scendevano le lacrime mentre facevo quella preghiera”.[3] Da questa osservazione finale traspare che la sua rassegnazione non era indice di una disumana freddezza, ma che in lei la fiducia e l’abbandono in Dio erano superiori perfino ai richiami strazianti del cuore di madre.
Del tutto simile è la reazione che, molti anni dopo, avrà papà Luigi, vedovo e con due figlie già in monastero, quando la sua prediletta Teresina gli confiderà il proprio desiderio di entrare al Carmelo a soli quattordici anni: “Tra le lacrime gli confidai che desideravo entrare nel Carmelo; allora le lacrime sue si unirono alle mie, ma non disse una parola per distogliermi dalla mia vocazione […] nella sua fede profonda, esclamò che Dio gli faceva un grande onore chiedendogli così le sue figlie. […] Pareva che Papà godesse di quella gioia tranquilla che dà il sacrificio consumato, mi parlò come un santo…”.[4]
Frequentazione amorosa di Dio, fedeltà in ogni atto della vita, abbandono incondizionato; questi e altri aspetti della risposta alla vocazione di Dio verranno approfonditi durante il corso di esercizi spirituali dal titolo “Maestro, dove abiti? Venite e vedrete” che si terrà da venerdì 7 giugno al mattino di domenica 9 giugno 2019 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi in viale Cesare Battisti 52 a Monza. Il corso, rivolto a persone di ogni età e stato di vita che desiderano riflettere sulla propria vocazione, sarà predicato da padre Claudio Truzzi, padre Eugenio Alfano e padre Giorgio Maria Faré. Per informazioni e iscrizioni è possibile scrivere a padre Faré: faregiorgio@gmail.com.
* Sacerdote e Carmelitano Scalzo