La Russia nasconde i danni subiti con le sanzioni
Il presidente russo Vladimir Putin non credeva di trovare tanto gelo nell'estate australiana di Brisbane, in un vertice G20 in cui si è ritrovato completamente isolato. Ma nel frattempo non sappiamo quanti danni le sanzioni abbiano inflitto all'economia russa: il dato resta nascosto dietro a un velo di mistero.
È durata proprio l’espace d’un matin la presunta intenzione di Vladimir Putin di convertirsi alle regole di questo mondo.
Proprio alla vigilia di partire da Mosca per il “summit” di Brisbane, convinto di esserne il protagonista e mai sospettando di trovarvi tanto gelo nell’estate australe, ha chiamato un giornalista dell’autorevole agenzia Tass per sostenere che le sanzioni imposte alla Russia sono «contro i principi e le attività del G20», contraddicono le leggi internazionali perché «possono essere introdotte solo nell’ambito dell’Onu dal Consiglio di Sicurezza» e «contrarie ai principi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio… voluta dagli Stati Uniti che adesso ne stanno violando le regole».
In realtà le sanzioni sono state la reazione alle sue flagranti violazioni del diritto internazionale. Cominciate con lo stracciare l’impegno assunto nel 1994 a Budapest (nel trattato di non proliferazione nucleare, ratificato da Kiev l’11 novembre) di considerarsi co-garante della sovranità e integrità dell’Ucraina in cambio della rinuncia di questa antica parte dell’Urss, allora da due anni indipendente, all’arsenale atomico costituito in epoca sovietica. Inoltre la rivolta in Crimea e poi la sua annessione, preceduta da elezioni presidiate e frettolose, non è certo stata rispettosa del diritto internazionale.
C'è poi quel che sta accadendo – ma egli nega decisamente alcun suo coinvolgimento – nelle autoproclamate Repubbliche filo-russe di Donetsk e Luhansk, e nelle varie operazioni marittime ed aeree segnalate nel Nord Europa e altrove. Sconfinamenti dalla Russia di colonne di equipaggiamenti, di carri armati, artiglieria, di migliaia di soldati e i sofisticati sistemi di difesa aerea. Questi hanno persino disattivato e abbattuto i droni dell’Osce, l’Organizzazione della quale la Russia fa parte, che sta monitorando il conflitto nelle limitatissime zone ucraine che le forze ribelli le consentono. Tutte realtà denunciate dalla Nato e dall’Osce. Per Putin invece Kiev intende “distruggere”gli oppositori dell’Est e le potenze occidentali spalleggiano l’Ucraina in questo disegno.
Paradossalmente più delle accuse di Obama («L’aggressione russa contro l’Ucraina costituisce una minaccia al mondo») sono i dinieghi ufficiali di tutto quel che viene affermato dai vertici della Nato e dell’Osce ad essere percepiti di maggiore gravità dalla comunità internazionale. Anche perché le smentite di Putin («Non so nulla di come vengono acquistate e da dove provengano le armi» dei miliziani, ha risposto a un giornalista che a Brisbane gli diceva come tutto quel che arriva nell’Ucraina dell’Est non possa non passare dalla frontiera russa) e le smentite pure del suo apparato sono enfatizzate quanto occorre per evidenziare l’onta della menzogna: gli accusatori sono presentati come “visionari”, di fatto degli inventori di menzogne. Ma questa non è una novità: fin dall’inizio dell’intervento militare russo in Crimea la mistificazione (ricordate gli uomini in divisa, armati di tutto punto ma senza un segno di riconoscimento?) e la disinformazione (grande eredità del Kgb, sempre con la mobilitazione di tutti i media all’interno della Russia verso l’estero, alla quale ora hanno abboccato molti giornalisti, non solo europei) hanno giocato un ruolo assolutamente primario.
La cosiddetta “informazione” a senso unico continua ad abbondare. Soltanto Putin nell’intervista alla Tass ha ammesso che le sanzioni “naturalmente ci danneggiano” e che il grande colosso petrolifero Rosneft incontra delle “difficoltà”. Finora sugli effetti di queste sanzioni i media russi avevano sorvolato, sottolineando invece e soltanto il grave danno ricaduto su Stati Uniti ed Unione Europea che le avevano imposte. Questo messaggio non poteva non essere recepito subito, anche con titoli allarmistici, dalla stampa italiana. A far cassa di risonanza è stato il recente Forum Euroasiatico di Verona.
«Solo a settembre - ha detto il presidente di Banca Intesa Italia-Russia Antonio Fallico - sono scomparsi quasi cento milioni di euro dal nostro export verso Mosca, mentre da inizio anno l’interscambio è diminuito di circa 3,2 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso». In controcanto, il vice ministro degli Esteri russo Alexey Meshkov, ha predetto che la perdita per l’Europa sarà quest’anno di 40 miliardi e di 50 miliardi per il 2015. I dati Istat di settembre sul commercio estero extra-Ue riferiscono che l’interscambio Italia-Russia ha segnato -2,8 miliardi di euro (-13,7%) e che l’export dell’Italia ha perso in media il 9,4 (il calo è stato del 16,4% soltanto ad agosto).
È singolare che nel convegno di Verona non sia stato per nulla evidenziato il “costo” subito dalla Russia e nemmeno ipotizzato l’ammontare del danno inferto alla sua economia dalle sanzioni europee e statunitensi. Una realtà coperta da un velo pietoso, meglio dire fitto, rappresentato dalla propagandata consolazione russa di essersi rivolta a paesi extra-Ue per l’import agricolo e di aver trovato, in generale, nuovi partner commerciali in paesi asiatici e latino-americani, a cominciare dalla Cina. Dalle dichiarazioni di Putin al Forum di Sochi e poi dell’ambasciatore russo a Bruxelles e di altri diplomatici suoi colleghi, è emerso chiaramente che la colpa di questa crisi ricade soltanto su coloro (Unione Europea e Stati Uniti) che hanno voluto le sanzioni e che le contro-sanzioni sono state motivate da ragioni di “difesa” e non possono essere revocate prima che le revochino gli impositori.
Solo nell’ intervista alla Tass Putin ha riconosciuto che «tutto questo compromette l’intero sistema delle relazioni economiche internazionali. Spero – e mi sto convincendo – che alla fine un accordo sarà raggiunto e ci lasceremo tutto alle spalle». Ma a Brisbane questa apertura al compromesso, che il premier italiano Renzi ha subito raccolto nell’incontro con il presidente russo, non si è concretizzata. L’irrigidimento di esponenti occidentali - fra i quali la Merkel e Cameron, i premier australiano e canadese – lo ha messo all’angolo, come mostra la foto ufficiale del “summit” (Putin, quasi isolato, è all’estremità della prima interminabile fila).
Le prospettive di una soluzione del conflitto si sono allontanate tanto che il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea ha discusso lunedì l’imposizione di altre sanzioni alla Russia. Il potenziamento dell’apparato dei militari separatisti, dopo le loro elezioni del 2 novembre, e dell’esercito regolare ucraino preoccupato di ostacolare la loro espansione territoriale, sono segni inquietanti.