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AUTARCHIA

La Russia distrugge il cibo in odio all'Occidente

Da tre giorni la Russia sta dando una strana dimostrazione di orgoglio nazionale. Le autorità stanno distruggendo immense quantità di cibo per rafforzare l'embargo contro l'Occidente. Sdegno e proteste da parte dei russi per questo enorme spreco, in un paese che conta 20 milioni di cittadini sotto la soglia di povertà.

Esteri 09_08_2015
Distruzione del formaggio a Belgorod

Da tre giorni la Russia sta dando una strana dimostrazione di orgoglio nazionale. Le autorità stanno distruggendo immense quantità di cibo.

La Russia ha proclamato l’embargo su gran parte dei generi agroalimentari importati da Unione Europea, Usa, Canada, Norvegia e Australia, come reazione alle sanzioni imposte da Ue e Stati Uniti. Queste ultime colpiscono singole aziende, istituti finanziari e personalità militari e politiche russe (coloro che sono ritenuti responsabili dell’occupazione della Crimea e della guerra nel Donbass), vietano il commercio con la Crimea e l’esportazione in Russia di armi, equipaggiamento bellico e materiale che possa avere un uso militare. Mosca ha risposto sin da subito, nel 2014, con un embargo sulle importazioni di cibo, seguendo una strategia ormai consueta che era stata già applicata contro la Polonia e la Georgia, in tempi di crisi. Mai come in questo caso, l’embargo sui prodotti agroalimentari riguarda una quantità così estesa di prodotti e di paesi. E’ una sorte di prova generale di autarchia. Dopo l’estensione delle sanzioni di Usa e Ue a tutto il 2016, anche Mosca ha esteso il suo embargo fino al 6 agosto prossimo e lo ha rafforzato con nuove misure repressive. Con una mossa che ricorda i tempi dell’Unione Sovietica, un decreto presidenziale ordina, appunto, la distruzione del cibo sotto embargo, quello arrivato di contrabbando e quello giunto in Russia tramite triangolazioni (da paesi non sotto embargo, come la Svizzera, o gli Stati sudamericani). E’ praticamente impossibile verificarne con esattezza la provenienza e il semplice sospetto che giungano dall’Ue o dagli Usa, dopo un passaggio da un paese terzo, fa sì che vengano sequestrati e distrutti comunque. Il provvedimento non riguarda solo i prodotti alimentari che giungono alla frontiera e che fino alla settimana scorsa venivano semplicemente rispediti al mittente. Ma anche quelli che avevano già passato la dogana e si trovavano già sugli scaffali dei supermercati o nei banchi dei mercati. La decisione di sequestrare la merce di “contrabbando” spetta a tre istituzioni: il Servizio federale delle dogane, Rosselkhoznadzor (ente per il controllo qualità dei prodotti agricoli) e Rospotrebnadzor (diritti dei consumatori).

La prima reazione è stata quella di zelo delle autorità locali, che vogliono mostrarsi fedelissime alle direttive di Mosca. A Belgorod (vicino al confine ucraino) i bulldozer sono entrati in azione 24 ore prima dell’entrata in vigore del decreto presidenziale, distruggendo sotto i cingoli 10 tonnellate di formaggio. Ad Altai, vicino al confine con il Kazakhstan, sono state distrutte mele olandesi, funghi polacchi e kiwi italiani. Sempre con giorni di anticipo rispetto all’entrata in vigore del decreto, le autorità di Samara hanno ordinato la distruzione di 114 tonnellate di carne di importazione. Nella prima giornata del nuovo corso, il 6 agosto, sono finite in cenere o sotto i cingoli oltre 100 tonnellate di frutta, verdura e formaggi.

Di fronte a questa opera di distruzione, che avviene in pompa magna davanti a telecamere e fotografi, la Coldiretti, in Italia, lamenta le perdite: stima che l’Italia abbia subito 240 milioni di euro di danni a causa di un anno embargo russo. I soli Grana Padano e Parmigiano Reggiano avrebbero registrato perdite per 15 milioni di euro. Un’altra conseguenza dell’embargo è la proliferazione, in Russia e nei paesi che non subiscono l’embargo, di imitazioni dei prodotti italiani. L’industria casearia, in particolar modo, ci sta copiando mozzarelle e parmigiano e nella Federazione Russa sta facendo fortuna. I russi, tuttavia, non hanno molto di che festeggiare. Infatti, da un punto di vista economico, i prezzi dei generi alimentari sono cresciuti del 20%. E questo in un Paese che è ancora in recessione (-2,2% del Pil nel primo trimestre del 2015).

A vivere peggio questa azione di propaganda e di boicottaggio economico, sono proprio i russi. Centinaia di migliaia di essi (più di 300mila nei primi tre giorni) hanno sottoscritto una petizione online contro la distruzione di cibo commestibile, prelibato, tutt’altro che scaduto. Quelle immagini di bulldozer che spappolano il formaggio stanno giungendo agli occhi dell’opinione pubblica come uno scempio. Soprattutto considerando che il 15% dei russi (circa 20 milioni di individui) vive sotto la soglia di povertà, che a Rostov permane il grave problema di profughi dall’Ucraina orientale bisognosi di tutto. La distruzione di cibo suscita brutti ricordi collettivi, come afferma la professoressa Ekaterina Shulman, professoressa dell’Accademia per l’Economia Nazionale e la Pubblica Amminstrazione: “Sono tante le generazioni nel nostro Paese che, una dopo l’altra, hanno convissuto con la mancanza di cibo oppure con la privazione di determinati alimenti. La cosa si tramandava: quando non avevamo fame, soffrivamo comunque per la mancanza di qualcosa. Ecco perché consideriamo il cibo come un vero tesoro”. “E’ un provvedimento, folle, stupido, ignorante – dichiara un pope di Mosca, Alekseij Uminskij – tutto quel cibo poteva essere distribuito, tramite associazioni caritatevoli, ai poveri, ai senzatetto, agli anziani, ai rifugiati”. Dello stesso parere è Aleksandr Boroda, presidente della Federazione delle comunità ebraiche russe: “Crediamo che dare in beneficenze ai bisognosi i beni sequestrati sia un modo più razionale e giusto di utilizzarli che non distruggerli”.

Olga Savalijeva, la donna che ha lanciato la petizione online, dichiara fuori dai denti che “questo è il provvedimento più stupido della storia russa” e che avrà l’effetto di “una guerra contro la popolazione”: “Toccarci il cibo è una mossa molto pericolosa” e avverte che, a parer suo, le autorità farebbero meglio a cambiare rotta, “se non vogliono trovarsi con un Maidan in casa”, cioè con una rivolta di piazza analoga a quella ucraina del 2013-2014. Misure autarchiche, come queste, possono alimentare il nazionalismo o risultare controproducenti. Sono comunque prove di forza che rivelano quanto Mosca si sia allontanata dall’Europa, quanto sia diventata ostile all’Occidente. Al punto di togliersi il pane di bocca, pur di combatterlo.