La rivolta di Evin, un segnale al regime di Teheran
Inizia la quinta settimana di proteste in Iran. Nel carcere di Evin è scoppiato un incendio, a seguito di una rivolta. Il centro di detenzione è famoso in tutto il mondo per essere uno dei più duri, soprattutto per prigionieri politici e stranieri arrestati dalla Repubblica Islamica.
Inizia la quinta settimana di proteste in Iran. Il carcere di Evin è famoso in tutto il mondo per essere uno dei più duri luoghi di detenzione, soprattutto per prigionieri politici e stranieri arrestati dalla Repubblica Islamica. Con grande apprensione, anche in Italia, abbiamo assistito alle scene del suo incendio, nello scorso fine settimana, sapendo che vi è internata anche la nostra connazionale Alessia Piperno. Sollievo per la famiglia e per tutti noi sapere che sta bene, secondo fonti della Farnesina. Ma la crisi che si è conclusa con l’incendio della prigione di massima sicurezza di Teheran è una spia di una situazione che sta evolvendo molto rapidamente, da una rivolta di donne contro gli abusi della Polizia Morale ad una rivolta generalizzata che sembra sempre più il prodromo di una rivoluzione.
Secondo le autorità di Teheran, l’incendio è stato causato da un tentativo di fuga andato male e sono state le fiamme ad uccidere 4 prigionieri e intossicarne 61. Secondo fonti indipendenti, avvocati dei detenuti e testimoni, l’incendio è scoppiato sabato sera a seguito di una rivolta. La reazione della polizia è stata immediata e brutale, non si sa ancora quale sia la causa immediata dell’incendio, iniziato durante lo scontro. I morti sarebbero il doppio, almeno otto, rispetto a quelli ufficialmente dichiarati.
Entro la domenica mattina, la polizia aveva ripristinato l’ordine nel carcere di massima sicurezza. Resta il fatto che una rivolta a Evin è un evento raro. Secondo le autorità, la ribellione era, appunto, un tentativo di fuga iniziato nel braccio dei detenuti comuni e non ha nulla di politico. Ma a giudicare dalle testimonianze delle famiglie dei prigionieri (che hanno potuto visitare i parenti domenica, in brevi incontri), le rivoltose nel braccio femminile del carcere gridavano slogan rivoluzionari contro il regime. Una prima ribellione sarebbe avvenuta già venerdì, organizzata dai sindacalisti indipendenti detenuti. Avrebbero gridato slogan anti-governativi, poi sarebbero stati costretti a rientrare nelle loro celle. Il giorno successivo si sarebbero ribellati alla punizione della polizia, dando inizio alla rivolta.
Evin è ormai un carcere sovraffollato. Con gli arresti di massa effettuati per reprimere le manifestazioni contro la Polizia Morale, ora conta 15mila internati. E’ sintomatico che una rivolta scoppi proprio all’interno delle sue mura, saldandosi idealmente con le manifestazioni che continuano, comunque, in tutto il Paese, dopo l’arresto e l’uccisione di Mahsa Amini (rea di non portare il velo in modo corretto) il 16 settembre scorso.
L’ultima manifestazione, in ordine di tempo, è stata organizzata dal sindacato degli insegnanti nella città nord-occidentale di Ardabil, dove una studentessa è stata picchiata a morte dalla polizia. Le autorità, come sempre, hanno negato ogni responsabilità e hanno dichiarato che sia morta per un attacco cardiaco.
Lunedì scorso era giunto un altro grave segnale per il regime di Teheran: la ribellione si è estesa per la prima volta anche agli operai del comparto petrolchimico, il settore trainante dell’economia nazionale. I lavoratori di un impianto nell’Iran meridionale, ad Assaluyeh, sul Golfo Persico, hanno proclamato uno sciopero in solidarietà con i manifestanti e sono scesi in piazza gridando lo slogan “morte al dittatore”, “non temete, restiamo uniti”. Prima di loro, altri settori dell’economia avevano mostrato solidarietà, piccoli negozianti, soprattutto, che hanno organizzato serrate.
Il regime di Teheran mantiene la sua linea. L’ayatollah Alì Khamenei accusa Usa e Israele di aver organizzato le proteste. Il parlamento, a conclusione della sua inchiesta, ha assolto la Polizia Morale dall’accusa di aver ucciso Mahsa Amini.