La rivolta dei sindaci? Inscenata per registrare 30 coppie
Tutti contro il ministro Alfano, accusato dai sindaci Pd di applicare la legge. Quella che proibisce la registrazione dei matrimoni gay da parte dei Comuni. Una rivolta conto lo Stato quella di questi sindaci di sinistra e che riguarda solo 30 coppie.
I GIURISTI DENUNCIANO IL SINDACO DI EMPOLI di Gianfranco Amato
Povero Landini, per portare il sindacato in piazza contro l’articolo 18 e convincere i suoi ultras della Fiom a occupare le fabbriche, ci sta rimettendo l’anima e salute. Non siamo più ai bei tempi quando la classe operaia andava in paradiso e il segretario del Pci picchettava ai cancelli della Fiat. Oggi Renzi fa i summit con la Merkel e Obama e nelle fabbriche non ci sono manco gli operai. Lavoro e disoccupazione non tirano più: a sinistra oggi vanno forte i gay e la fecondazione per conto terzi. Landini lasci perdere i metalmeccanici e impari dai sindaco disobbedienti, quelle che, senza se e senza ma, sono scesi in piazza contro lo Stato macho e sessista, pronti alla rivolta e alle barricate. In nome del dei diritti del popolo gaio e degli sposi omo.
A leggere i titoli dei giornali, pare di essere alla vigilia di una inedita guerra di secessione: la bandiera arcobaleno dei Comuni contro il Tricolore, il registro dei matrimoni omosessuali sventolato come un nuovo libretto rosso di Mao Gay Tung contro la cospirazione omofoba del ministro Angelino Alfano. “Sindaci pronti alla disobbedienza”, annuncia preoccupato il Corriere della Sera. “Cancellate le registrazioni, sindaci in rivolta: noi ci rifiutiamo”, strilla l’esagitata Repubblica che rifila ai coriacei lettori il solito pippone politico-giuridico dell’immancabile Rodotà. Il Manifesto, sempre signore dell’humour, titola invece con un tocco di surrealismo napoletano: “Il maschio Angelino”. Insomma, s’ode a sinistra uno squillo di tromba: ma l’insurrezione dei municipi rossi, come vedremo, è solo un colpo di tosse, un pallone gonfiato per fare apparire il rospo più grosso di quello che è.
Il povero Alfano si dice stupito e incredulo: non pensava che una semplice circolare potesse far scoppiare la scintilla della rivoluzione comunarda e dell’insubordinazione ricchiona: «Sono stato insultato senza giusti motivi. Non c’era nulla di ideologico in quello che ho fatto, ho solo voluto far rispettare la legge italiana». Cioè: fine della sceneggiata delle registrazione dei finti matrimoni gay celebrati all’estero e cancellazione di quelli già trascritti. Ma loro, i sindaci Pd hanno lanciato il passaparola: da Milano a Roma, da Bologna a Firenze, da Udine a Empoli, da Grosseto a Napoli è risuonato forte il grido: «Io non ci sto». Dalla capitale, il cattolicissimo professor Marino non ha mancato di impartire la sua lezioncina di storia prêt-à-porter: «Ritengo che questa discussione sulle unioni civili nel 2014 rifletta sentimenti visioni tipici del ‘900: chi cerca oggi una conflittualità sull’amore vive probabilmente nel secolo passato». Già, nel passato, quando i sindaci rispettavano le leggi e non c’era bisogno di una circolare del governo per ricordarlo.
Perché solo di questo si tratta: può un borgomastro, anche il più importante e illustre come il professor Ignazio Marino, permettersi una tale libertà, annunciare il “non obbedisco”, dichiarare il suo Comune zona franca e impipparsene bellamente delle leggi dello Stato? No, che non può e se insiste potrebbe pure passare guai seri in sede penale. I prefetti servono anche a questo. E poi, diciamo la verità, a guardare i numeri, fanno davvero ridere questi Roberspierre dell’amore gay, improbabili comunardi che minacciano l’iradiddio solo per quattro gatti di coppie dello stesso sesso venute dall’estero. Perché, come dice Totò, è la somma che fa il totale. E la cifra è quella: in tutti i registri messi insieme, gli sposi omosex non arrivano neppure a 30. Più che un popolo, un club della briscola, riservato i soci di Acrigay, Arcilesbo, Arcitrans e arcivaffa ai quali, per vanità mediatica e stupidità istituzionale, i sindaci in rivolta fanno a gara a reggere la coda nuziale.
Prendete Milano, per esempio, dove l’avvocato Giuliano Pisapia, già Rifondazione Comunista e oggi arancione, scimmiotta Bossi e Grillo e minaccia la guerra a Roma solo per soddisfare i gusti matrimoniali di 12, dicasi 12, coppie che si sono scambiati gli anelli oltre frontiera. Nozze (gay) alle masse e chissenefrega se la sua amministrazione è tra le più succhiasangue d’Italia. Dall’addizione Irpef ai ticket dei mezzi pubblici, dalla gabella per arrivare in centro alla Tasi che peserà sui redditi bassi molto più dell’Imu del 2012. Ma queste sono quisquilie e pinzillacchere: prima di tutto vengono quei 12 che per Pisapia sono come gli apostoli della nuova era Lgbt. Presto verrà il messia, l’ecce homo dei diritti gender, e l’avvocato sarà in prima fila. Ma le strade malconce, la microcriminalità, i clandestini accampati nelle vie, il casino del traffico e le altre scoccianti emergenze quotdiane? Che vadano al diavolo. Se è così a Milano, figuratevi nella Roma del dottor Marino o nella Napoli di De Magistris, sindaco on the road e con le pezze al culo.
Vabbè, la sinistra ci ha abituato alle comiche di questi rivoltosi senza popolo, sindaci improvvisati che per un passaggio sul Tg1 in prima serata si batterebbero pure per ottenere gli elenchi telefonici in arabo. Il dramma, però, è che anche il centrodestra, quello nella versione berlusconiana, pare ben avviato sulla stessa strada. Il movimento Lgbt fan gola pure a loro, perché, come dice Mara Carfagna, nuova direttrice del Dipartimento Diritti civili di Forza Italia e quinta colonna delle associazioni gay, «una forza liberale di centrodestra come Forza Italia ha il dovere di occuparsi di questa materia». E poi l’accusa a Renzi di non aver ancora presentato la legge promessa sui matrimoni omosessuali, «ma adesso ci penseremo noi, solleciteremo il Parlamento a inserire subito l’argomento in agenda. Anzi, faremo di più». Oddio, cosa? «Forza Italia, all’avvio dei lavori del dipartimento», fa sapere la gaia Mara, «proporrà al Partito democratico un Patto del Nazareno sui diritti». Già, Berlusconi approva e Giuliano Ferrara sta già vendendo le sue t-shirt con la scritta: “Siamo tutti nazareni” (non è una battuta, l’ha fatto davvero). Ok, ma not in my name, please.